Luigi Cavallaro*

 

Nel luglio 1934, H. G. Wells si recò a Mosca per intervistare Stalin. Il colloquio tra lo scrittore inglese e il leader bolscevico durò circa tre ore, alla presenza di un interprete, e il 27 ottobre successivo ne fu pubblicata la trascrizione integrale sul settimanale britannico The New Statesman and Nation.

Il periodico aveva cominciato le pubblicazioni sotto questo nome tre anni prima, a seguito della fusione di due riviste appartenenti all’area della sinistra socialista e liberale inglese: The New Statesman, che era stata fondata nel 1913 dai coniugi Sydney e Beatrice Webb e da George Bernard Shaw, e The Nation and the Athenaeum, che era invece di proprietà di John Maynard Keynes, che l’aveva acquistata e così ribattezzata nel 1923. La prima era un organo ufficiale della influente Fabian Society, alla quale appartenevano molti esponenti del partito laburista, mentre la seconda, pur guardando con simpatia ai laburisti, aveva mostrato più d’una preferenza per il partito liberale. L’esito delle elezioni del 1929 aveva però convinto Keynes a mettersi al lavoro per realizzare una fusione tra le due riviste; e sebbene il progetto fosse culminato, nei primi mesi del 1931, con l’acquisizione di The Nation and the Athenaeum da parte di The New Statesman, lo stesso Keynes, divenuto presidente del nuovo consiglio di amministrazione, aveva chiesto e ottenuto sia di cambiare il nome della testata (che divenne appunto The New Statesman and Nation), sia soprattutto che direttore responsabile fosse nominato Kingsley Martin, con il quale l’anno prima aveva partecipato al comitato promotore di un altro periodico politicamente molto connotato a sinistra, il trimestrale Political Quarterly, di cui lo stesso Martin era diventato condirettore.

Nelle parole di Keynes, The New Statesman and Nation voleva essere «un organo indipendente della sinistra, senza alcuno specifico legame con un partito politico». Ma la forte personalità di Martin, simpatizzante del Labour Party e soprattutto convinto sostenitore dell’esperimento sovietico, gli aveva impresso da subito una significativa coloritura socialista, talvolta schernita dallo stesso Keynes, che non mancò di giudicare pubblicamente Martin «forse un po’ troppo pieno di buona volontà» nel formulare i suoi giudizi sull’Unione Sovietica e pronto a «trangugiare, se possibile» ogni dubbio che potesse venirgli al riguardo.

Si trattava, tuttavia, di una rivista aperta al dibattito, franco e all’occorrenza anche acceso: e la pubblicazione dell’intervista di Wells a Stalin ne innescò uno destinato a restare negli annali. Sebbene Wells fosse stato da più parti accusato di eccessiva riverenza nei confronti di Stalin, Bernard Shaw intervenne più volte sulle pagine del The New Statesman and Nation con la sua aspra ironia per rimproverargli di essere stato semmai troppo irriverente, suscitando repliche acrimoniose da parte di Wells; e quando anche Keynes scese nell’agone della polemica, Martin, gongolante nel vedere tre fra i più importanti intellettuali inglesi impegnati a darsele di santa ragione sulle pagine della sua rivista, propose loro di ristampare tutto il dibattito in forma di opuscolo, aggiungendovi anche i contributi del drammaturgo tedesco Ernst Toller, allora esule a Londra, e della scrittrice e attivista socialista e femminista Dora Winifred Black, che nel 1921 aveva sposato il filosofo Bertrand Russell.

Wells fu subito d’accordo e rispose a Martin dicendo che «Shaw si era comportato come un mascalzone e andava smascherato»; Shaw si mostrò inizialmente riluttante, pur dichiarando di farlo nell’interesse del suo «vecchio amico H. G.», ma acconsentì anche lui quando seppe che sia Wells che Keynes si erano dichiarati disposti «a mostrare il peggio di sé». In una lettera a Keynes, Shaw aggiunse anzi di non essere «affatto tranquillo circa la proposta di Kingsley Martin di ristampare tutta la roba apparsa sul The New Statesman»: «l’avrei buttata via volentieri, ma nell’interesse di H. G., che si è infatuato nella convinzione di aver messo a posto Stalin e di avermi dato una batosta esemplare, pur essendo evidente che ha fatto piuttosto lui la figura del perfetto idiota». E così, nel dicembre del 1934, l’intervista e la successiva discussione furono ristampati in un pamphlet intitolato Stalin-Wells Talk, che David Low impreziosì con quattro caricature che ne ritraevano i protagonisti principali: Keynes, Shaw, Wells e, naturalmente, Stalin.

Questo pamphlet si offre adesso al lettore nella sua prima traduzione italiana, unitamente a due scritti di Keynes che, in una certa misura, ne costituiscono il complemento necessario: il primo è la recensione di un romanzo di H. G. Wells, The World of William Clissold, che Shaw citò a più riprese nei suoi interventi per dimostrare che aveva rappresentato il retroterra culturale dal quale Wells aveva rivolto le sue insistite obiezioni a Stalin; il secondo, dal titolo Economic Possibilities for our Grandchildren, è il testo di una conferenza tenuta a Madrid, nel giugno 1930, a sua volta rielaborazione di una precedente tenuta agli alunni del Winchester College, nel 1928, in cui Keynes, librandosi a congetturare sulle possibilità economiche dell’umanità futura, diede forse la miglior prova della natura visionaria e provocatoria della sua lucidissima intelligenza.

Entrambi erano apparsi in The Nation and the Athenaeum, rispettivamente nel gennaio 1927 e nell’ottobre 1930, ed entrambi furono poi inclusi negli Essays in Persuasion, la famosissima silloge di scritti che Keynes pubblicò nel 1931. Tranne rarissime eccezioni, nessuno ha però sottolineato che Keynes li collocò nella sezione finale del volume, accomunandoli sotto l’eloquente titolo The Future: eppure, si trattava di un suggerimento di lettura assai rilevante, specie ai fini di una corretta interpretazione del secondo (e indubbiamente più celebre) dei due.

L’idea che qui si proverà ad argomentare è che l’accoppiata dei due testi fosse funzionale a prendere esplicitamente posizione nel dibattito pubblico sul «che fare» allora in corso nella sinistra britannica e, soprattutto, che i riferimenti impliciti ed espliciti che Keynes vi operò nel corso del dibattito con Shaw e Wells (e Stalin) possano tornare utili per gettar luce sulle implicazioni politiche e di lungo periodo della sua opera più famosa, la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, che avrebbe visto la luce appena un anno dopo. Se è vero che la Teoria generale fu concepita per influenzare la politica e per essere immediatamente usata, capire per quale uso politico essa sia stata realmente pensata non è certo meno importante per intenderne appieno l’effettiva portata teorica.

 

* Estratto dall’introduzione a J.M. Keynes, G. Bernard Shaw, Stalin, H.G. Wells, La guerra dei mondi. Discutendo di liberalismo e socialismo, a cura di Luigi Cavallaro, Editori Riuniti, Roma, 2024.

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