Emiliano Alessandroni
Prima di distinguere fra «cesarismo progressivo» e «cesarismo regressivo»[1], con un implicito riferimento, da un lato all'Unione Sovietica e dall'altro ai regimi nazifascisti, Antonio Gramsci aveva a suo tempo spiegato che il fenomeno dell'inflessione autoritaria di un governo, suscettibile di conoscere una massiccia intromissione «dell'elemento militare nella vita statale»[2], costituisce il risultato non già dell'arbitrio soggettivo di un singolo despota, ma di una condizione oggettiva che vede le forze sociali in lotta tendenzialmente equilibrarsi.
Sicché quando i ceti subalterni guadagnano terreno in termini di forza economica o politica e cominciano a influenzare la vita della società, sottraendo potere ai ceti superiori, può avvenire che:
- essi riescano a dar vita a un cesarismo progressivo pronto a sottomettere attraverso la violenza i blocchi sociali superiori fino a rendere questi inoffensivi (che è quanto si è tentato ad esempio di fare in Francia, in Inghilterra e in Russia dopo le rispettive rivoluzioni), il che comporta che quando un sistema sociale ne soppianta un altro (quando si passa, per dire, da un sistema feudale a uno capitalistico o da uno capitalistico a uno socialista) venga tendenzialmente inaugurata una fase temporale dispotica nella quale l'embrione del nuovo assetto tenta di proteggersi dagli attacchi sferrati e di sbaragliare tutti i propri nemici impegnati a fare immediatamente crollare l'edificio che è appena stato faticosamente eretto.
Oppure,
- che i ceti sociali superiori ricorrano loro per primi a una torsione autoritaria, a un cesarismo regressivo, che ripristini il divario fra le forze sociali e renda nuovamente inoffensivi i ceti subalterni (che è quanto è avvenuto, ad esempio, in Italia e in Germania, rispettivamente con l'ascesa del fascismo e del nazismo).
Come rilevava Gramsci, «la democrazia [liberale ndr] consisteva solo in questo, per i contadini e per gli operai: che essi avevano, alla base, la possibilità di creare una rete di organizzazioni e di svilupparle». Ma sia pure «in questo semplicissimo fatto era implicita, per il regime [liberal]democratico, una sentenza di morte». Non appena le masse popolari cominciarono infatti ad aggregarsi e a scuotere le fondamenta del dominio capitalistico, sfruttando gli spazi, sia pur ridotti, di democrazia giuridico-politica, ovvero le possibilità legislative di organizzarsi e coordinarsi, ampi settori della borghesia supportarono «il fascismo», che operò «in modo sistematico, per distruggere queste possibilità». Il risultato, continua Gramsci, fu che «dopo tre anni di un’azione di questo genere la classe operaia ha perduto ogni forma ed ogni organicità, è ridotta ad una massa slegata, polverizzata, dispersa». A questo punto, quindi, le componenti più liberali della borghesia possono a) «separare la loro responsabilità da quella del fascismo che essi hanno armato, favorito e incitato alla lotta contro gli operai» e b) «restaurare “l’impero della legge”, cioè una condizione di cose in cui non sia negata la possibilità di esistenza di una organizzazione dei lavoratori».
In sostanza, «la libertà di organizzarsi è concessa dai borghesi ai lavoratori solo quando essi hanno la sicurezza che i lavoratori sono ridotti al punto da non potersene servire»[3].
Oggi in Occidente e ancor più in Italia, il mondo del lavoro subordinato è per l'appunto ridotto a «una massa slegata, polverizzata, dispersa». Esso non sta guadagnando terreno, sul piano dei diritti economici e della forza politica, ma lo sta sempre più perdendo.
Il governo Meloni, pertanto, si presume che provocherà un ulteriore arretramento dei diritti economico/sociali, come lo hanno provocato i governi precedenti, e un ulteriore arretramento dei diritti civili. Incentiverà probabilmente un aumento del tasso di repressione nelle piazze e favorirà senz'altro un revisionismo storico, nonché un piegamento delle coscienze, in senso sempre più reazionario. Ma nonostante questo, non instaurerà un dispotismo fascista: non vieterà le organizzazioni sindacali, non abolirà il pluripartitismo, non metterà fuori legge i giornali antifascisti e non costringerà, pena il licenziamento, a giurare sul fascismo tutti i professori universitari. E non lo farà semplicemente perché di questa inflessione dispotica dello Stato per sfiancare i gruppi subalterni non v'è alcun bisogno, essendo questi già sfiancati ed essendovi d'altronde la possibilità di seguitare a sfiancarli già in modo democratico, talvolta persino con il loro stesso consenso.
Dove i ceti subalterni stanno invece guadagnando terreno è sul piano internazionale. La Repubblica Popolare Cinese, ad esempio, ha condotto la più grande lotta alla povertà della storia umana e numerosi altri paesi, in Asia, in Africa, in America Latina, si apprestano ancora a crescere sul piano economico e politico. La “grande divergenza” fra l'Occidente e il resto del mondo, viene dunque sempre più colmata dall'incalzare della “grande convergenza”.
È contro questo sviluppo economico e politico dei popoli e dei paesi del Terzo Mondo che la violenza fascista tende oggi a scatenarsi. Così, soltanto con l'arma dell'embargo gli Stati Uniti dai primi anni '90 hanno provocato più morti fra la popolazione civile (compresi vecchi, donne e bambini), di tutte le armi di distruzione di massa della storia messe assieme[4]. E quando l'embargo non è più sufficiente, ecco allora che subentrano le invasioni militari e le bombe, al fosforo bianco, come all'uranio impoverito. Ed ecco che torna sempre più il rischio, ad ogni piè sospinto, di guerra nucleare planetaria.
Che il dominio del capitalismo bianco/occidentale stia cominciando ad essere eroso dal fenomeno della “grande convergenza” Giorgia Meloni lo ha ben capito. E così non ha mai fatto mistero dei suoi rapporti con il Likud israeliano. E così ha indicato nella Polonia (da cui ha ricevuto acclamazioni ed elogi), il proprio modello attuale di riferimento. E così si è professata fieramente filoamericana, avvisando minacciosamente gli alleati interni meno convinti che «chi non condivide la linea atlantista è fuori, a costo di non fare il governo»[5]! E anche sulla questione ucraina è stata chiara: Kiev deve vincere per difendere i valori della civiltà bianca e occidentale, che se perdesse la minaccia gialla si rafforzerebbe e la barbarie cinese e comunista avanzerebbe verso di noi: «Se l’Ucraina cade e l’Occidente perisce, il grande vincitore non sarà la Russia di Putin ma anche la Cina di Xi Jinping, e chi è più debole in Occidente, l’Europa, rischia di ritrovarsi sotto l’influenza cinese. Per questo secondo me bisogna combattere questa battaglia», ha affermato in maniera perentoria la leader di FdI, perché la guerra in Ucraina «è solo la punta dell’iceberg di un conflitto che ha come obiettivo la revisione degli assetti globali»[6].
Ecco dunque i riferimenti internazionali di Giorgia Meloni per combattere con tutti i mezzi (anche assoldando neonazisti veri e propri) la guerra contro la “grande convergenza”: Israele, la Polonia, l'Ucraina e gli Stati Uniti. Almeno due di essi esprimono governi apertamente di destra o di estrema destra (come nel caso della Polonia ad esempio). Eppure, non sono tutti costoro anche i principali punti di riferimento in politica estera dei liberaldemocratici?
Ecco allora che liberaldemocrazia e liberalconservatorismo possono spesso convergere e compattarsi, fino allo scatenamento di guerre e al compimento di vere e proprie stragi (Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Palestina), fino all'istituzione di campi di concentramento come ad Abu Ghraib, a Bagram e a Guantanamo, fino all'incarcerazione di giornalisti come Julian Assange, fino alla caccia a figure come Edward Snowden, fino all'uccisione di fotoreporter come Andrea Rocchelli, fino all'assassinio di attiviste per i diritti umani come Rachel Corrie, fino all'arruolamento e all'armamento di gruppi apertamente neonazisti come Pravy Sektor e il Reggimento Azov, fino al finanziamento del fondamentalismo e del terrorismo islamico in Siria, fino al bombardamento di ambasciate altrui come quella cinese colpita a Belgrado, fino al foraggiamento dei “lager dell'orrore” per migranti come quelli libici, fino al rischio di olocausto nucleare mondiale come l'uscita dal “Trattato Inf”, fino a tutto questo e a molto altro ancora, liberaldemocratici e liberalconservatori possono spesso convergere e compattarsi quando il dominio del capitalismo americano/occidentale su scala planetaria si trova in procinto di essere scalfito e di perdere sempre più terreno.
[1]A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 2001, Q 9, 133.
[2]Ivi, Q 13, 23.
[3]A. Gramsci, Democrazia e fascismo, in Id., Per la verità, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 292-298.
[4]Cfr. Mueller J., Mueller K., Sanctions of Mass Destruction, in «Foreign Affairs», maggio-giugno 1999, pp. 43-53.
[5]C. Di Niro, Meloni, ‘schiaffo’ a Berlusconi sull’Ucraina: “Chi non condivide la linea atlantista è fuori, a costo di non fare il governo”, Il Riformista, 19-10-2022.
[6]R. Antonini, Meloni: “Se cade Kiev a vincere non sarà la Russia ma la Cina”, Dire – Agenzia di Stampa Nazionale, 04-09-2022.