Cosimo Cerardi
Verso la fine del 1847, finalmente, Marx ed Engels vedono il risultato positivo della loro azione politica, la vittoria conseguente alle loro insistenti discussioni e esortazioni: nel giugno 1847 la Lega dei giusti è diventata Lega dei comunisti, con nuovi statuti, che le tolgono completamente il vecchio carattere cospirativo.
Si pubblicò anche un primo numero della rivista, che Marx da tempo proponeva: la «Kommunistische Zeitschrift», della quale uscì, anche questa volta, un solo numero, e che è rimasta famosa perché, ad opera di Marx e di Engels, vi apparve, per la prima volta, invece del motto della vecchia Lega dei giusti — «Tutti gli uomini sono fratelli» — quello che avrebbe pochi mesi dopo concluso il Manifesto, e sarebbe diventato la parola d’ordine rivoluzionaria: «Proletari di tutti i paesi, unitevi!» A un vago sostituto di religione, si sostituiva il motto di un organismo di lotta politica, di un partito politico. Nello stesso periodo, Marx comincia la collaborazione alla «Deutsche Brusseler Zeitung», più continuativa delle altre varie collaborazioni a riviste tedesche. È di questo anno 1847 anche il famoso scritto di critica alle dottrine economiche e sociali del Proudhon, la Miseria della filosofia; ed è di quest’anno la maggiore partecipazione di Marx alla attività della Associazione degli operai tedeschi di Bruxelles (Circolo di Studi): per questa associazione socialista Marx tenne una serie di conferenze economiche, delle quali è rimasta una parte (1). Di questo periodo, e particolarmente degli ultimi mesi del 1847 e dei primi del 1848, è anche la partecipazione di Marx ed Engels all’ Associazione democratica per l’unione e la fratellanza dei popoli.
In mezzo a questa attività politica e scientifica, Marx ebbe da Engels l’invito a preparare il Manifesto. La Lega dei comunisti doveva riunirsi per l’autunno dello stesso anno 1847, e per questo secondo congresso si voleva avere una professione di fede da pubblicare e diffondere affinché la posizione dottrinale della Lega dei comunisti apparisse chiara e distinta dai vari socialismi utopistici, e affinché particolarmente si potesse eliminare ogni residuo delle fantasie del Weitling. I progetti dello Schapper e di Moses Hess, elaborati sotto forma di catechismo, a domanda e risposta, vennero scartati dalla comunità parigina della Lega.
Se si confrontano questi appunti anche nella condizione frammentaria nella quale ci sono rimasti, con le «domande e risposte» di Moses Hess pubblicate nel «Vorwarts» parigino, nel 1844, e ripubblicati dal Cornù (2) si vedono i progressi compiuti verso una considerazione storica e concreta: la preoccupazione di definire il lavoro, il denaro, la libertà, la servitù, e così via, l’idea dell’organizzazione, dell’armonia, diventa consapevole e politica.
Le proposte della comunità di Parigi della Lega dei comunisti e gli appunti di Engels, vanno però confrontati anche con il tentativo di Engels di offrire egli stesso il catechismo richiesto. Sono i Principi del comunismo (3) che vengono in alcuni punti riportati all’attenzione per una prima analisi ed anche confronto tra il precedente scritto engelsiano e il noto testo marxiano, appunto Il Manifesto. E vero che dopo l’edizione fattane a parte, come scritto autonomo e conclusivo, dal Bernstein, nel 1914, e le traduzioni che ne sono state fatte (la prima italiana è quella di Angelica Balabanoff), lo si è inteso ripubblicare, questo scritto, come cosa a sé.
In realtà, il posto di questo testo engelsiano è degli altri tentativi, di altri autori, dello Schapper e dello Hess, insieme alle circolari della Lega dei comunisti e della Lega dei giusti, specialmente in una pubblicazione come la nostra, hanno il chiaro intento di aiutare il lettore a riporre il Manifesto nel momento storico nel quale è stato composto, più che fornire materiale per riflessioni teoriche e ideologiche (cosa che ha la sua importanza, ma alla quale preferiamo una raccolta di materiali per l’intendimento e l’informazione storica, senza per questo il voler svalutare minimamente l’altro modo di presentazione, quella autonomo della scritto). Engels stesso, con la sua insoddisfazione e per la forma catechistica e per il tono dogmatico che veniva già dato dalle domande stesse dello Schapper e del Moll, e per il lavoro compiuto, conferma questo carattere. Anche Gustav Mayer, il biografo di Engels, lo considera come un abbozzo, gettato giù senza nessuna pretesa che rappresentasse qualcosa di definitivo, e non più rielaborato per mancanza di tempo; era pensato per l’ambiente ristretto degli artigiani delle varie sezioni e comunità della Lega, con riguardo ai residui di pregiudizi weitlingiani, al sentimentalismo di Moses Hess, al proudhonìsmo di molti dei membri della Lega.
Di qui il tono divulgativo, il linguaggio elementare che non presuppone cognizioni storiche ed economiche, che non ha nulla che possa risvegliare l’antipatia operaistica per il linguaggio difficile e pretenzioso dell’intellettuale, di qui il semplice andamento di colloquio, tanto diverso da quello del Manifesto. Con questo non si vuole negare che la struttura dell’abbozzo di Engels corrisponda largamente alla linea generale del Manifesto, come osserva il Mayer: l’uno e l’altro cominciano con la definizione del proletariato, espongono come questo sia sorto e trattano del contrasto fra borghesia e proletariato, distinguono il proletariato dalle categorie di lavoratori di epoche precedenti, espongono la teoria del salario, e dimostrano la necessità di un nuovo ordinamento sociale, e dimostrano che questo nuovo ordinamento della società non può non essere quello comunista.
Nell’abbozzo di Engels si insiste un po’ più che nel Manifesto sulla possibilità di realizzare il comunismo con mezzi pacifici, benché si parli per disteso anche della prossima rivoluzione. C’è meno polemica con gli avversari del comunismo, e c’è più insistenza sulle benefiche conseguenze dell’eliminazione della proprietà privata. Non mancano i cenni sulla distinzione della Lega dei comunisti dagli altri movimenti e partiti politici.
Questo vale anche per il contenuto fondamentale: dimostrazione che l’età del capitalismo, della libera concorrenza, della egemonia della borghesia si dovrà capovolgere, per la forza stessa delle energie produttive che hanno fondato quell’egemonia, in un’epoca di comunità guidata da un programma comune consapevolmente elaborato, di comunismo, dove la proprietà privata sia abolita, un’età di comunismo, fondata sull’egemonia del proletariato (4). L’impianto engelsiano è però più vicino alle opere precedenti elaborate in comune dai due amici, e soprattutto a quanto ebbero a scrivere nella Ideologia tedesca, poiché sottolinea l’ideale dello sviluppo integrale e onnilaterale delle facoltà di ogni uomo, quell’ideale dell’uomo integrale o totale, che la emancipazione del proletariato avrebbe dovuto realizzare, anzi, permettere di realizzare.
Per il Mayer questa differenza fra i Principi di Engels e il Manifesto sembra una differenza sostanziale, di contenuto, in quanto nel Manifesto sarebbe meno insistente, anzi, quasi obliterato a favore delle forze oggettive della storia, l’interesse per l’individuo.
Sembra piuttosto che si tratti, nell’abbozzo, di una permanenza più sensibile, più diretta e immediata, delle idee svolte ed elaborate ancora pochi anni prima, nella discussione con gli intellettuali tedeschi loro amici, da Marx e da Engels insieme: quell’idea dello svolgimento pieno e libero della persona umana, di tutti gli individui umani secondo le loro facoltà e possibilità intrinseche, che in Marx ed Engels ha il luogo dell’egualitarismo grossolano, e che li congiunge alle idee fondamentali che sono all’origine della filosofia classica tedesca e del romanticismo prima del ripiegamento e dello sfruttamento reazionario e conservatore: la piena libertà dell’individuo, la libertà e la personalità.
Nel Manifesto questi motivi sono meno sottolineati, ma non mancano affatto, come non scompariranno mai dal pensiero di Marx e di Engels, benché ad essi ci si richiami sempre di meno, perché proprio la lotta politica e dottrinale, il lavoro di analisi e di critica, di organizzazione e di polemica, dal Manifesto alla Internazionale, dall’Antiproudhon al Capitale, sono lotta per quell’ideale, ma lotta concreta, storicamente consapevole, cioè vera e propria attuazione storica di quelle idee, e non semplice invocazione generica di esse.
La lotta per la libertà e la personalità non sta nel parlare di libertà e personalità, ma nell’esercitare la libertà e nell’ampliare con un lavoro specifico e concreto la personalità nostra e degli altri uomini che vivono con noi. Il nesso fra i Principi e la Ideologia è stato osservato dal Pischel, il quale non vi ha insistito programmaticamente, ma ha fatto l’utile lavoro di accostare vari passi della Ideologia a vari punti dei Principi.
Il Mayer (5) nota anche come il Manifesto sia politicamente più radicale dei Principi: abolizione della proprietà fondiaria senza risarcimento, ecc. Ma il lettore potrà agevolmente fare da sé altri confronti, come quelli che riguardano la discussione coi socialisti: nei Principi si accettano idee come quella della organizzazione del lavoro di Louis Blanc, che nel Manifesto scompare, o come le speculazioni sui modi di superare il contrasto fra campagna e città, che anch’esse scompaiono nel Manifesto. Per tutte queste ragioni, abbiamo ritenuto di mettere i Principi del comunismo fra gli altri scritti preparatori del Manifesto che qui abbiamo cercato di raccogliere.
Quando Engels aveva preparato il suo abbozzo, sembra che Marx non avesse ancora nulla di pronto, o per lo meno che non ne avesse ancora scritto all’amico (cosa piuttosto inverosimile) (6). Insoddisfatto, come s’è detto, del proprio lavoro, Engels scriveva a Marx, il 24 novembre 1847, che si occupasse un po’ anche lui della professione di fede, e che sarebbe stato bene chiamare lo scritto non professione di fede o catechismo, ma «manifesto». La forma catechistica era usuale allora per gli scritti ideologici e dottrinali, per i programmi politici e sociali che venivano diffusi negli ambienti artigiani ed operai, e di recente se ne erano serviti il Cabet e il Considerant. Ma anche la forma del manifesto aveva una sua tradizione e, appunto, Marx aveva, a piene mani, attinto a questa tradizione.
Note
(1) K. Marx, Il Capitale, Torino, Einaudi, 1975, cap. XXIV, La cosiddetta accumulazione originaria, pp. 879-939. Sono le conferenze sul libero commercio e i dazi protettivi, sul salario, sul lavoro salariato e il capitale, rintracciabili anche su internet nell'Archivio Marx-Engels (K. Marx, Discorso sul libero scambio, 1848).
(2) A. Cornu, Moses Hess et la Gauche hégélienne, Paris, 1934, pp. 108-118.
(3) Friedrich Engels Principi del comunismo, Torino, Einaudi, 1962.
(4) G. Mayer, Friedrich Engels, la vita e l'opera, Torino, Einaudi, 1977, p. 287.
(5) Ibidem.
(6) Ivi, p. 283.