Alessandra Ciattini[1]
Premessa
Obiettivo di questo breve intervento è cercare di spiegare le ragioni del successo della protestantizzazione dell’America Latina e della nuova forma religiosa (pentecostalismo), che conta attualmente 600 milioni di affiliati[2], tenendo presente in primo luogo le caratteristiche specifiche del pentecostalismo, in secondo luogo le ragioni strategiche di questo processo, in terzo luogo analizzando per brevi cenni le trasformazioni realizzatesi negli ultimi decenni nel subcontinente latinoamericano.
Ovviamente tale indagine non potrà non basarsi sulla riflessione sviluppata da alcuni autori negli ultimi decenni sul fenomeno, anche se non potrò dare delle varie teorie una visione esauriente. Cercherò di essere schematica e di illustrare in maniera i diversi punti che dovranno essere oggetto di dibattito.
Caratteri del pentecostalismo
Cominciamo con i dati. Una recente ricerca, condotta dal Pew Research di Washington, pubblicata nel novembre 2014 (http://www.pewforum.org/2014/11/13/religion-in-latin-america/)[3], mette in evidenza che oggi i cattolici in America latina costituiscono il 69% della popolazione, mentre fino agli anni ’60 del 900 erano il 90%. Inoltre, sempre dalla stessa indagine risulta che i cattolici latinoamericani hanno in gran parte fatto propri una serie di valori secolari come il divorzio, l'uso degli anticoncezionali; inoltre, si dichiarano propensi all'introduzione di significative innovazioni nella struttura ecclesiastica come il sacerdozio femminile, la fine del celibato per i religiosi.
Il risvolto di tale fenomeno è rappresentato dalla contemporanea crescita degli evangelici (in America Latina non si usa chiamarli protestanti perché questo termine è in stretta relazione con la storia europea), i quali tra il 1970 e il 2014 sarebbero passati dal 9 al 19%[4]. In generale, in una percentuale più alta rispetto ai cattolici, essi attribuiscono un ruolo centrale alla religione nella loro vita. A differenza dei cattolici gli evangelici hanno un atteggiamento assai più rigorista, nel senso che sono contrari al divorzio, al matrimonio tra individui dello stesso sesso, all'uso degli anticoncezionali; si differenziano dai cattolici anche per la loro maggiore partecipazione alla vita religiosa, per il loro attivismo caritatevole nei confronti dei poveri. L'aborto sembra osteggiato, invece, sia pure in percentuali diverse, da entrambe le comunità religiose; l'Uruguay è il paese in cui l'interruzione della gravidanza è più accettata.
Da tale ricerca si ricava anche che il 60% dei protestanti, che provengono dalla Chiesa cattolica[5], ha abbandonato questa forma religiosa, perché volevano essere accolti in un contesto in cui si dà maggiore importanza alla vita morale e desideravano una esperienza religiosa più coinvolgente.
I due terzi degli evangelici latino-americani appartengono a una denominazione pentecostale o si definiscono tali; essi si sono dislocati nella regione dando vita a chiese indipendenti, che si diramano sul territorio secondo una struttura a rete. Pur essendo assai eterogenee per struttura, credenze e liturgia, le chiese pentecostali hanno le loro radici nelle “Missioni di fede” statunitensi, provenienti dal movimento protestante di santificazione, il quale è portatore di un fondamentalismo evangelico volto ad un proselitismo aggressivo mirante all'incremento delle conversioni. Esso focalizza tutto il suo interesse sulla vita del singolo individuo, che deve essere riformata e ristrutturata secondo i nuovi ideali religiosi, stimolando l'indifferenza verso l'ambiente sociale e conseguentemente il disimpegno politico. Ha, inoltre, un esplicito orientamento anticattolico – giacché considera pagano il cattolicesimo – e anticomunista, essendo il comunismo una visione del mondo del tutto incongruente con la fede professata (Rondón Palmera 2007, p. 98).
Al centro del fenomeno pentecostale sta la fede nella discesa dello spirito santo sui seguaci del Cristo, avvenuta cinquanta giorni dopo la Pasqua di resurrezione, con la quale una serie di doni o carismi vennero effusi sugli astanti, che grazie alle straordinarie capacità da questi attribuite avrebbero potuto portare avanti con successo l'evangelizzazione. L'importanza di tale evento segna tutta la liturgia pentecostale, nel corso della quale si mira essenzialmente a “sperimentare” collettivamente il sovrannaturale, che in essa si manifesta tramite miracoli, guarigioni, soluzione di problemi esistenziali. Si tratta, dunque, di una liturgia in cui non si trasmettono dottrine, quanto piuttosto ci si predispone, con danze e canti, con comportamenti emotivamente coinvolgenti, a raggiungere quella sorta di estasi collettiva, che già Émile Durkheim aveva considerato il fattore fondamentale sul quale si costruisce ogni concezione religiosa del mondo. In definitiva, una religione orale, gestuale, emotivamente trascinante, dai caratteri simili a quelli di uno spettacolo televisivo, che trasforma gruppi di individui di origini culturali ed etniche diverse in una comunità, sotto la tutela e il controllo – abbastanza visibile – di un leader carismatico. Allo tempo stesso, una religione che ha recepito una serie di pratiche provenienti dal mondo africano (anche negli Stati Uniti e dal cattolicesimo popolare in America Latina), e che sembra coinvolgere essenzialmente i settori sociali bassi e medi della popolazione dei paesi, in cui attecchisce. In realtà, su questo punto c'è un dibattito tra gli studiosi, alcuni dei quali rifiutano l'idea di considerare il pentecostalismo una religione dei poveri, giacché essa coinvolge anche gruppi benestanti, i quali a mio parere però debbono essere considerati l’élite pentecostale. Ad essa appartiene, per esempio, Eduard Cuhna, presidente della Camera dei Deputati brasiliana che ha diretto il procedimento di impeachment avviato per giungere alla destituzione di Dilma Roussef in Brasile. D’altra parte, a mio parere, il richiamo alla cosiddetta Teologia della prosperità, secondo la quale Dio ci vuole felici e con un portafoglio ben fornito, non dipinge la condizione dei fedeli, quando la loro sacrosanta aspirazione ad uscire dalla povertà.
Ma è necessario entrare più a fondo nell’ideologia religiosa pentecostale, soffermandosi sul tema della trance collettiva e su quella del rituale come spettacolo, perché così potremo individuare una serie di nessi tra questa e le condizioni di vita nella società contemporanea. In realtà, i due temi sono strettamente collegati, perché sia nella trance, prodotta dalla discesa della Spirito santo, che nel rito-spettacolo i fedeli perdono la qualità di soggetti, in quanto essi sono agiti dalla forza sovrannaturale e diventano spettatori, sia pure partecipanti, ma di una performance che non hanno costruito spontaneamente e liberamente.
Tale condizione potrebbe richiamare alla mente la nozione di fascinazione, utilizzata da Ernesto De Martino per dar conto di quella che egli chiama la <<bassa magia cerimoniale lucana>> (1982: 8). Con tale termine lo studioso napoletano intende indicare <<un senso di dominazione, un essere agito da una forza tanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta>> (Ibidem)[6]. Volendo si potrebbe stabilire anche un parallelo tra le miserrime condizioni dei contadini lucani nell’Italia degli anni ‘50 del Novecento e quelle dei contadini urbanizzati che vivono poveramente nelle favelas dell’America Latina, ai quali il pentecostalismo fornisce una serie di servizi essenziali (salute, cura dei bambini, aiuto per intraprendere un’attività lavorativa)[7]. Ma tale parallelismo deve essere sviluppato più a fondo per farci capire anche la funzione psico-sociale di questa forma religiosa; funzione che contribuisce a farci intendere il suo successo.
A differenza di quanto accade nei processi psico-sociali descritti da De Martino, il senso del dominio esercitato da un potere altro e sovrannaturale, in quanto esso è benefico, non produce senso di vuoto e labilità del soggetto, ma un’autoesaltazione scaturente dall’esperienza condivisa da individui accomunati dalla fede e affratellati dal vigile controllo del pastore. Tale autoesaltazione, prodotto della recezione collettiva dello stato d’animo suscitato dalla discesa dello Spirito santo, provoca quella ritualizzazione dell’ottimismo[8], dal quale germoglia quel sentirsi meglio e quella speranza di aver finalmente conquistato i mezzi per migliorare il proprio futuro.
Tale analisi viene sviluppata in particolare dallo storico e psicologo Marco Fernandes, assai vicino al movimento dei Trabajadores Sin Techo, il quale accusa la sinistra di non comprendere la funzione simbolica della religione, né di darsi conto dell’effettivo contributo positivo dato alla vita quotidiana dai pentecostali. Egli osserva anche che le forme religiose predominanti negli anni ‘60, come le comunità ecclesiali di base, che hanno contribuito alla costituzione in Brasile della Central de los Trabajadores (CUT) e dello stesso Partito del lavoro, avevano un senso in quel contesto ormai disintegratosi. Ora il liberalismo ha spazzato via la famiglia nucleare più o meno strutturata, il lavoratore qualificato con un impiego stabile, e li ha sostituiti con la precarietà lavorativa e con la famiglia monoparentale instabile, i cui membri non trovano facilmente una collocazione sociale (http://www.cetri.be/Pentecostalismo-y-movimientos?lang=frLo), se non nel mercato informale. Fernandes paragona la ritualità pentecostale alle sedute psicoanalitiche che la classe media e, magari anche di sinistra, può permettersi.
Si potrebbe aggiungere che, in un certo senso, la centralità dello Spirito santo corrisponde all’affermazione di una concezione non teistica o posteistica del sovrannaturale, la quale caratterizzerebbe la religiosità contemporanea (Ortiz Acosta 2011). Tale concezione si concreta nella nozione di un potere sovrannaturale impersonale che domina in maniera misteriosa e imperscrutabile la vita dei singoli, ai quali è offerta una sola possibilità di salvezza: abbandonarsi ad esso.
A mio parere, tale atteggiamento non è casuale ed è strettamente legato al processo di passivizzazione delle masse popolari prodotto in ambito religioso dalla sconfitta delle correnti progressiste – come la Teologia della liberazione -, in ambito politico-economico dall’affermarsi del neoliberalismo e, infine, in ambito, ideologico dalla società dello spettacolo. Questa ultima muta costantemente in immagini e rappresentazioni ciò che gli esseri umani nelle varie parti del mondo sperimentano nel loro quotidiano vissuto, trasformandoci tutti in spettatori di una dimensione scaturita dal reale, ma da esso scissa e resasi indipendente (Debord 2008: 53-55). Ma tale dimensione immaginativa non è illusoria, falsa, giacché essa è prodotta dal reale e <<la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo, e riproduce in se stessa l’ordine spettacolare portandogli un’adesione positiva>> (Debord 2008: 55).
In particolare, nel caso dei pentecostali, lo spettacolo sta nella stessa dimensione liturgica, nella quale si palesa il potere sovrannaturale impersonale come <<positività indiscutibile e inaccessibile>>, che esige una <<accettazione passiva>> (Debord 2008: 56); attraverso di esso si concreta la dinamica effettiva della realtà nella quale essi si trovano a vivere. Per essere più precisi, in tale momento rituale si palesa la relazione che essi hanno con l’ordine sociale, e che sostanzialmente si basa sulla subordinazione a un dominio non identificabile e comprensibile, totalmente estraneo. Dominio perverso e spietato, ma che si rovescia nel suo opposto, perché la sua vera natura, da un lato, è occultata dalla sua rappresentazione spettacolare veicolata dai mass media; dall’altro, la piena coscienza di tale meccanismo sarebbe in contraddizione con la ritualizzazione dell’ottimismo, che aiuta gli esseri umani a fronteggiare anche le situazioni più disperate.
Molti studiosi hanno sottolineato che il pentecostalismo, nelle sue varie forme, costituisce una nuova forma di cristianesimo, la quale ribalta una serie di temi propri della fede tradizionale cristiana. In particolare questi sono l'accettazione della sofferenza, che vede il suo apice nella imitatio Christi, cui si ispirano i santi, la rassegnazione ai mali o al negativo, in quanto inviati dalla stessa Provvidenza divina per ragioni imperscrutabili ai comuni mortali. Infatti, come scrivono Enzo Pace e Annalisa Butticci a proposito di come i pentecostali intendono la divinità, questi è: <<un Dio vicino, a “portata di mano”. Un Dio che comunica attraverso segni visibili e che esorta gli uomini al soddisfacimento dei propri bisogni e alla realizzazione dei propri desideri di benessere spirituale e materiale. È un Dio che non chiede il calvario della sofferenza e la beatitudine della povertà di spirito, ma il godimento dei beni dello Spirito>> (2010, p. 125).
Queste parole sono condensate in uno degli slogan centrali dei pentecostali <<pare de sufrir>> (smetti di soffrire). In tali parole si esprime la speranza nutrita dai gruppi sociali marginali di ottenere, attraverso la mediazione dello Spirito santo, il miglioramento della propria vita sia in senso morale che in senso economico; speranza che si concreta nel cosiddetto Vangelo della prosperità[9], e che induce Pace e Butticci a definire i leader pentecostali <<mistici intramondani>> (2010: 125), ossia personaggi che operano nel mondo terreno sia pure con un atteggiamento mistico verso il sovrannaturale. I due studiosi italiani li definiscono anche <<imprenditori del carisma e del sacro>> (Ibidem), in quanto operano come agenti indipendenti per diffondere il loro verbo e per valorizzare, anche in senso economico, la loro chiesa. D’altra parte, come è stato già notato, in virtù di queste caratteristiche, il pentecostalismo appare come <<un’etica economica funzionale allo spirito d’impresa e al principio del libero mercato>> (Bastian cit. in Pace e Butticci 2010: 42). E ciò deve essere debitamente contestualizzato, perché tale etica è vincolata allo sviluppo del mercato informale, predominante nell’economia latinoamericana, in cui operano una miriade di “microimprese” produttive e commerciali, da cui deriva il sostentamento di gran parte della popolazione priva di impiego stabile.
Gli Stati Uniti e la protestantizzazione dell’America Latina
In risposta all’espansionismo di Napoleone III, che aveva sostenuto la costituzione di un’America Latina e cattolica opposta a quella dei wasp, nel 1912 Theodor Roosevelt aveva osservato che il cattolicesimo era il maggiore ostacolo alla penetrazione degli Stati Uniti in America Latina (Stefanini 1993: 176). Il “pauperismo” cattolico (America Latina era stata evangelizzata dagli Ordini mendicanti) si scontrò immediatamente con l’individualismo imprenditoriale protestante, non favorendo la neocolonizzazione del subcontinente. È interessante osservare che Roosevelt sembra aver letto il celebre saggio di Max Weber (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904-1905), in cui si prefigura che l’etica calvinista avrebbe dato un contributo in Europa allo sviluppo del capitalismo. Se, dunque, il pentecostalismo ha ripreso elementi tradizionali della religiosità latinoamericana, d’altra parte li ha innestati in un altro contesto, la cui conformazione denuncia in maniera evidente l’influenza neoliberale e statunitense, stimolando quel processo di protestantizzazione dell’America Latina sempre auspicato dalle amministrazioni di quel potente paese, ma realizzatosi oggi in maniera alquanto problematica.
Con tale termine ci si riferisce ad una specifica politica delineata in una serie di documenti, che quando qualcuno menziona per spiegare le trasformazioni religiose subite dall'America Latina negli ultimi decenni, viene immediatamente accusato di essere sostenitore della “teoria della cospirazione”, come se tale teoria non funzionasse in certi casi. Da tali documenti (Informe di N. Rockfeller del 1969, Documento di Santa Fe I e II, 1980 e 1989) si ricava la forte preoccupazione dell'amministrazione statunitense per le tendenze progressiste presenti nella Chiesa cattolica latinoamericana, ispirate dal Concilio Vaticano II e dal Conferenza episcopale di Medellín (1968). Da tali valutazioni scaturisce, dunque, la necessità di modificare la religiosità di quella regione, avviando la sua protestantizzazione; processo che l'avrebbe resa più facilmente inglobabile. Insomma, tali documenti esprimono ancora una volta che per gli Stati Uniti ogni tendenza di carattere progressista in America Latina può costituire una minaccia alla loro sicurezza e ai loro interessi, e pertanto è quanto mai opportuno reagire, ma con i mezzi adeguati. Inoltre, il documento di Santa Fe II si sofferma sulla riflessione di Antonio Gramsci, per la grande importanza che questi ha attribuito alla dimensione culturale e morale, agendo sulla quale sarebbe possibile innescare un processo di trasformazione radicale della società, guidato dagli intellettuali postisi alla guida dei movimenti sociali. Almeno questa è la lettura di Gramsci che si ricava da questo documento e da cui si vuole prendere spunto per operare a livello ideologico in maniera profonda, con l'intento di spezzare il legame tra le masse da un lato, la religiosità e la cultura progressista dall'altro. In sostanza, esso mostra che per gli intellettuali che lo redassero <<Non basta più lo Stato con i suoi caudillos, non basta il giogo della dipendenza economica, non basta nemmeno l'intervento militare diretto degli USA>> (Filippini 2011: 150), bisogna anche operare con vigore nel campo ideologico[10].
Questo processo è stato individuato e condannato dalla chiesa cattolica, come si può ricavare dalle parole J. Ratzinger: <<gli Stati Uniti promuovono ampiamente la protestantizzazione dell’America Latina e quindi il dissolvimento della Chiesa cattolica ad opera di forme di chiese libere, per la convinzione che la Chiesa cattolica non potrebbe garantire un sistema politico ed economico stabile, in quanto dunque fallirebbe come educatrice delle nazioni, mentre ci si aspetta che il modello delle chiese libere renderà possibile un consenso morale e una formazione democratica della volontà pubblica, simili a quelli caratteristiche degli Stati Uniti>> (cit. in Prandini http://www.parrocchie.it/correggio/ascensione/sette_protestanti.htm).
D’altra parte, che il protestantesimo sia un elemento costitutivo della potenza statunitense è ben messo in evidenza da Samuel Huntington, che scrive: <<In America la Riforma protestante ha creato una nuova società: unica tra tutti i paesi, l’America è figlia di queste riforme, senza di queste non ci sarebbe l’America come la conosciamo>> (cit. in Prandini, http://www.parrocchie.it/correggio/ascensione/sette_protestanti.htm).
Anche sulla spinta della Rivoluzione cubana, dagli anni 60 si sviluppa in America Latina una stretta relazione tra i movimenti di guerriglia e di liberazione e parte del clero autoctono. Da questa relazione, a tutta prima inimmaginabile, scaturì la cosiddetta Teologia della liberazione, che si fondò sulla teoria della dipendenza, secondo la quale la miseria del subcontinente era generata dal rapporto di dipendenza dagli Stati Uniti, e per tanto, per trasformare a fondo le condizioni di vita delle masse popolari, tale nefasto legame doveva essere spezzato. La teoria della dipendenza si sviluppa in un settore della sinistra latinoamericana nato ai margini dei partiti comunisti tradizionali, che sostenevano la necessità di stabilire un’alleanza tra le borghesie nazionali e il proletariato contro l’imperialismo statunitense (Rada Arangol 2014: 4).
Alla base della Teologia della liberazione sta un miscuglio di teorie marxiste e di una lettura politica del Vangelo, condannata dall’attuale papa. Il suo retroterra era stato costituito dalla Conferenza di Medellín (1968), inaugurata da Paolo VI, nella quale fu formulata la opzione per i poveri. Nella Conferenza emerse la volontà di trasformare l’America Latina e ciò avveniva in un contesto, in cui leader campesinos, studenti operai stavano optando per la lotta armata. Era la prima volta che la Chiesa latinoamericana si presentava come entità indipendente dalla Chiesa romana, indicando il percorso che avrebbe voluto seguire. Tale svolta fu interpretata come una minaccia dagli Stati Uniti e dai regimi militari, soprattutto perché il discorso dei teologi della liberazione impediva di considerare i guerriglieri come bande isolate di terroristi. Era evidente che si poteva far fuori il marxismo, eliminando gli intellettuali, ma era assai più problematico far fuori il cattolicesimo seguito dalle masse. Si decise di seguire due strade: da un lato, eliminando i suoi esponenti più scomodi, utilizzando l’apparato repressivo delle dittature, dall’altro trovando degli antagonisti al cattolicesimo, finanziando movimenti religiosi alternativi, come gli arancioni del reverendo Moon, che arrivò a comprare il Washington Time.
Tutto ciò avviene in coincidenza con l’elaborazione del Counterintelligence Program, orientato anche a contrastare il movimento statunitense di protesta con misure repressive e con l’appoggio alle congregazioni cristiane protestanti sotto la presidenza di Lindon Johnson (1963-1969).
L’adozione di questa linea politica da parte dell’amministrazione statunitense può farci capire la risposta di Wojtyla negli anni 90, che sostenne la lotta contro la Teologia della liberazione, tagliando le relazioni con una parte importante della base della Chiesa cattolica.
Il neocolonialismo ha prodotto una svolta nella storia religiosa dell’America Latina. Dalla fine dell’Ottocento alla seconda metà del Novecento, quando ancora le grandi compagnie statunitensi non si erano del tutto impadronite dell’economia latinoamericana, i protestanti costituivano una minoranza insignificante (1%). La loro etica aveva dato impulso all’iniziativa privata e la loro appartenenza religiosa era stata impiegata per opporsi al potere della Chiesa cattolica alleata dei partiti conservatori. Il massiccio arrivo dei missionari statunitensi aveva determinato la conversione a chiese forti negli Stati Uniti (metodismo e congrezionalismo). Successivamente, in seguito alla nascita del pentecostalismo nelle Chiese situate in zone povere e marginali degli Stati Uniti, promosso da un pastore afroamericano (1906), anche questa forma religiosa giunse in America Latina. La differenza tra il protestantesimo storico e il pentecostalismo sta nel fatto che per il primo il rapporto tra Dio e il credente si realizza nell’interpretazione diretta delle Sacre Scritture; per il pentecostalismo, invece, è possibile stabilire un dialogo diretto con la divinità, in virtù di un’esperienza emozionale e trascinante, che si realizza grazie alla discesa dello Spirito santo, avvenuta per la prima volta il giorno della Pentecoste.
Il pentecostalismo si radica nello strato religioso precristiano, accettando la religiosità popolare e rifiutando il cattolicesimo, perché pagano. Dà vita a un insieme di chiese collegate da una struttura a rete e accetta tutti come possibili pastori. L’accento posto sulla ricerca della relazione diretta con il sovrannaturale allontana le masse dalle problematiche sociali, spoliticizzandole e spostandole a destra. Per es. i pentecostali cileni appoggiarono la dittatura di Pinochet.
Nel 1949 Mao Zedong proibisce l’ingresso dei missionari cristiani, i quali si dirigono in massa verso l’America Latina. In seguito a ciò, nel subcontinente si sviluppa un anticomunismo militante, di cui sono portatori gli esponenti alcune chiese statunitensi che si caratterizzano per il loro fondamentalismo, come per es. i mormoni.
Nel decennio 1940-1950 si creano due organizzazioni, sostenute direttamente dagli Stati Uniti, Nuevas Tribus e l’Instituto linguistico de Verano, che dichiarandosi intenzionate a tradurre la Bibbia nei dialetti indigeni, avviarono un processo di acculturazione forzata degli indigeni, costringendoli in alcuni casi a spostarsi per lasciare le loro terre alle multinazionali statunitensi.
Dagli anni 60 questi movimenti fondamentalisti si espandono, strappando fedeli alla Chiesa cattolica, ma svolgendo lo stesso ruolo politico di quest’ultima e rigettando ogni analisi critica della società. Si stabiliscono nelle aree periferiche delle città, dove svolgono attività di assistenza, sviluppando attorno al pastore gruppi clientelari. Ma – come abbiamo visto – nello stesso decennio compaiono i preti rivoluzionari schierati anche con la lotta armata (come Camilo Torres Restrepo), che non potevano semplicemente essere costretti a non esprimersi, perché il loro punto di vista era diffuso tra la popolazione.
Per la Chiesa cattolica, stretta tra la prospettiva emancipatoria della Teologia della liberazione e l’ideologia neo-capitalistica dei protestanti, si stava profilando il serio pericolo di perdere la regione che aveva la più numerosa popolazione cattolica al mondo. Si tenga conto che nel 1935 i protestanti erano due milioni e mezzo, mentre nel 1960 erano già diventati 10 milioni.
Giovanni Paolo II mantenne buoni rapporti con i regimi dittatoriali, che ammazzavano gli esponenti più pericolosi della Teologia della liberazione, limitandosi a rimproverare aspramente e in pubblico gli altri più noti, come accadde ad Ernesto Cardenal ministro del governo del Nicaragua. Lo smontamento dottrinale della Teologia della liberazione fu portato avanti da Ratzinger, nominato da Wojtyla capo della Congregazione per la dottrina della fede.
Con la sua politica di attacco alla Teologia della liberazione e alle Comunità ecclesiali di base, luoghi di aggregazione e di riflessione sulla realtà sociale, la Chiesa cattolica aveva indebolito una delle sue basi politiche, favorendo il passaggio di molti suoi fedeli a quelle chiese che si pongono il problema della povertà, certo in maniera diversa da quella proposta dai preti militanti.
Secondo il teologo cattolico Clodovis Boff il pentecostalismo non deve essere considerato in modo negativo, giacché dà ai poveri inurbati un forte senso di identità, dal quale scaturisce l’autostima e la dignità. Inoltre, favorisce la partecipazione comunitaria a culti vivi, stimola la preghiera libera, il rigore etico e suscita l’entusiasmo nella evangelizzazione. I pastori pentecostali sono dei professionisti della pastorale e dei grandi comunicatori. A parere di Boff le strutture cattoliche, le parrocchie, sono troppo pesanti e accentrate per adattarsi alla nuova realtà, e sono troppo razionalizzate. Manca il richiamo al misticismo, all’esperienza emozionale del contatto con il divino offerti dai pentecostali. La Chiesa cattolica si preoccupa di questioni dottrinali, morali e amministrative e non è pervasa dalla fiamma dello spirito (Boff, http://www.noisiamochiesa.org/Archivio_NSC/mondo/BoffMC1.htm) e, inoltre, deve far fronte alla diminuzione del clero e in genere delle vocazioni religiose.
Il conflitto tra pentecostalismo e Chiesa cattolica ha paradossalmente dato avvio al cosiddetto movimento di Rinnovazione carismatica, che ha trasformato la liturgia cattolica, pentecostalizzandola.
Il neoliberalismo in America Latina
Come sostiene James Petras, il neoliberalismo non rappresenta una novità per la società latino-americana, giacché dalla metà del secolo XIX agli anni ’30 del XX la maggior parte dei paesi latino-americani ha seguito una strategia liberale, la quale si fondava su un’economia aperta, la specializzazione nelle esportazioni, la proprietà privata (in prevalenza in mano agli stranieri) delle risorse primarie e la dipendenza dai prestiti e dagli investimenti esteri. Tale fase, che ha prodotto un’estrema concentrazione della ricchezza e del potere con il conseguente aumento massiccio della povertà e della disoccupazione, entra in declino per la crisi stessa del sistema capitalistico e per le rivolte che si sviluppano in vari paesi dell’area. Ad essa segue una diversa tappa economica di carattere nazional-populista, nella quale si sviluppano politiche volte a proteggere il mercato interno, a favorire l’industrializzazione sostenuta dallo Stato e a implementare programmi sociali. Il neoliberalismo riappare in America Latina con le dittature militari (il Cile è il caso emblematico), e non in virtù delle importanti innovazioni tecnologiche affermatesi (come l’utilizzo del computer e lo sviluppo dell’automazione), giacché esso si ripresenta ciclicamente indipendentemente da esse. A parere di Petras esso scaturisce dall’alleanza tra i gruppi che controllano le esportazioni e il settore finanziario, i quali, sostenuti dalle potenze imperialistiche, hanno stabilito il controllo sullo Stato e hanno imposto politiche neoliberali (2000: 1), cercando anche di destabilizzare i governi di quei paesi (Brasile, Bolivia, Ecuador, Venezuela, Nicaragua) che avevano avviato politiche economiche di altro segno.
Le misure economico-politiche neoliberali sono ben riassunte da Daniele Pompejano, il quale, in una pagina dedicata al cosiddetto Washington Consensus[11], le indica in questi termini assai precisi: << drastica disciplina fiscale (tagli alle spese statali, ai servizi, ai sussidi ai prezzi politici), estensione della fiscalità indiretta, liberalizzazione finanziaria e commerciale, privatizzazione e deregulation, tassi di cambio fra le monete regolati dai valori del mercato, investimenti diretti affrancati dalle limitazioni nazionalistiche relative al rimpatrio dei profitti>> (2012: 264).
Naturalmente non ho intenzione di approfondire la dimensione economica delle grandi trasformazioni che hanno investito l’America Latina, a partire dagli ultimi decenni del XX secolo, dopo la conclusione della cosiddetta decada perdida[12], data la mia scarsa competenza in materia. Mi limiterò pertanto a riportare alcune considerazioni degli autori già menzionati. In primo luogo, a proposito delle conseguenze prodotte dall’applicazione delle ricette neoliberali imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo monetario internazionale per concedere la rinegoziazione del debito estero, Pompejano scrive: <<Le politiche neoliberiste produssero gravissime ricadute sociali: lo smantellamento delle industrie ISI[13] non concorrenziali, già tenute in vita artificialmente con sussidi e dazi statali, e l’equiparazione dei prezzi interni e internazionali seguita alla liberalizzazione, fecero crescere i prezzi e la disoccupazione...>> (2010: 265).
Da parte sua Petras osserva che l’affermazione del neoliberalismo si deve alla sconfitta militare e politica della sinistra avvenuta tra il 1964 e il 1967 e ciò ha comportato, a suo parere, l’eliminazione della legislazione progressista in favore del lavoro, la privatizzazione delle imprese pubbliche, l’abbassamento dei salari, passi indietro in materia di riforma agraria (2000: 2).
Ma c’è un altro aspetto di fondamentale importanza che deve essere messo in risalto, se si vuole comprendere la portata delle grandi trasformazioni del subcontinente latino-americano a partire dagli ultimi decenni del Novecento. Questo aspetto è messo in luce dal saggio di John Smith L’imperialismo del secolo XXI, tratto da un suo libro e pubblicato nella rivista Monthly Review (http://monthlyreview.org/2015/07/01/imperialism-in-the-twenty-first-century/)[14]. In tale scritto Smith analizza i caratteri dell’imperialismo contemporaneo, soffermandosi in particolare sulla enorme crescita del numero dei lavoratori industriali nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, i quali nel 2010 sarebbero stati il 79% della forza-lavoro industriale, circa 541 milioni di individui. Tale processo sarebbe il risultato della delocalizzazione delle industrie dai paesi industrializzati a quelli in cui il costo della forza-lavoro è più basso, i sindacati sono assenti e il tenore di vita è ai limiti della povertà[15]. Esso avrebbe prodotto lo sradicamento di centinaia di milioni di contadini dalle loro terre e di lavoratori dalle industrie protette, per farli tutti confluire in un <<bacino di manodopera iper-sfruttabile>>. Allo stesso tempo, giacché la base industriale impiantata non è in grado di accogliere tutti questi lavoratori (che diventano quindi “superflui”), molti di loro sono emigrati verso il Nord del mondo, ricevendo anche lì salari miserevoli e contribuendo così, inconsapevolmente, a far abbassare il costo del lavoro nei paesi, in cui si sono stabiliti.
Smith osserva che il FMI indica questi processi con l’espressione <<accedere al bacino globale del lavoro>>, ma altri li hanno definiti <<arbitraggio globale del lavoro>>, in virtù del quale lavoratori ad alto salario sono sostituiti da lavoratori a basso salario all’estero (Ibidem)[16].
Quelli qui elencati costituiscono i tratti di quello che viene comunemente definito “capitalismo periferico”, nel quale il livello di sfruttamento è più elevato e non sono presenti quei correttivi alla spietatezza di questo regime, rappresentati dallo Stato sociale, in via di smantellamento anche nei paesi sviluppati, con conseguente peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari.
Relazione tra vita sociale e pentecostalismo
Molti studiosi hanno cercato di stabilire una serie di relazioni tra le grandi trasformazioni, verificatesi in America Latina dagli anni ’50 del Novecento, e il successo del pentecostalismo, che ha modificato in senso pluralistico il campo religioso[17] di quel continente. Questa indagine è stata accompagnata anche dalla riflessione sulla natura autentica di questa forma religiosa; indagine nella quale ci si è chiesti se il pentecostalismo scaturisse dal rinnovamento del protestantesimo o da una riforma del cattolicesimo popolare. Rispondendo a questo quesito Jean Pierre Bastian afferma che, a suo parere, esso è piuttosto il risultato di una trasformazione della religiosità popolare prodottasi in seguito al processo di acculturazione subito dai protestantesimi venuti in contatto con i valori e le pratiche della cultura cattolica popolare (2006: 463). Secondo questa prospettiva, delineata dallo studioso svizzero, il pentecostalismo, sebbene abbia origini nordamericane, costituisce un fenomeno essenzialmente endogeno, nel quale sono incorporate tre pratiche, presenti nella religiosità latinoamericana, quali la glossolalia, l’esorcismo e la taumaturgia (2006: 460)[18]. Tale ipotesi è legata alla contrapposizione tra i protestantesimi storici, diffusisi in America Latina dalla seconda metà dell’Ottocento, connessi allo sviluppo della modernità liberale e democratica, e il pentecostalismo, caratterizzato da una cultura corporativa e dall’autoritarismo. Questi ultimi avrebbero tratti specificamene latinoamericani, che non hanno nulla in comune con la cultura politica liberale, di cui erano portatrici le comunità protestanti, che si opponevano ai regimi oligarchici e conservatori, instaurati a partire dal 1870 e sostenuti invece dalla Chiesa cattolica (Bastian 2006).
Bastian collega la diffusione del pentecostalismo al processo di industrializzazione e di urbanizzazione, che a partire dal 1950 dette impulso al trasferimento di consistenti masse contadine alla città, gettandole in uno stato di anomia e costringendole a misurarsi con la modernità. In tale nuovo contesto tali masse avrebbero avviato un processo di ristrutturazione comunitaria e di riformulazione delle loro tradizioni religiose, utilizzando le strutture e le credenze pentecostali (2006: 460).
Tuttavia, egli non ritiene che il pentecostalismo sia un fenomeno esclusivamente urbano, giacché esso è presente anche nelle zone rurali, dove alcuni caciques, confrontandosi con i loro avversari, si convertono al pentecostalismo per minare le strutture di controllo politico, verticali e autoritarie, legittimate dal cattolicesimo popolare, producendo così un certo pluralismo religioso (Bastian 2006: 465).
In un altro scritto Bastian sviluppa un interessante parallelo tra le varie interpretazioni del fenomeno pentecostale, facendo riferimento in particolare alle impostazioni culturaliste, che stabiliscono un nesso tra questa forma religiosa e l’emergenza di nuove identità locali. Mi limito a citare l’opera di Allan Anderson, menzionato dallo studioso svizzero, per il quale il pentecostalismo è il frutto dell’incontro di culture diverse (quella anglosassone e quella africana); incontro in cui il cristianesimo protestante viene risignificato e rielaborato alla luce della tradizione africana sempre viva in America Latina (Bastian, https://www.google.it/webhp?sourceid=chrome-instant&ion=1&espv=2&ie=UTF-8#q=bastian%20america%20latina). Come si vede, Anderson rimarca il carattere sincretico del pentecostalismo evidenziato e analizzato anche da Bastian; osservazione su cui si può concordare, ma cercando al contempo di individuare l’elemento innovatore presente del prodotto sincretico o meglio ibrido, che ci consente anche di collegarlo a quella profonde trasformazioni sociali, cui si è fatto cenno in precedenza, senza tuttavia considerare il fenomeno in oggetto un mero riflesso di queste ultime.
Se, da un lato, il pentecostalismo ha forti radici latinoamericane, d’altra parte, presenta una serie di caratteri che derivano dalla nuova fase economico-sociale che si è affermata in particolare con la svolta neoliberale. Mi soffermo brevemente su due aspetti che, a mio parere, stravolgono la religiosità latinoamericana tradizionale. Il primo aspetto riguarda in particolare la religiosità del singolo che, abbandonata l’accettazione della sofferenza in quanto inerente alla condizione peccaminosa dell’uomo[19], nell’ottica pentecostale, si sente spinto ad agire in maniera fattiva e concreta nella sfera mondana, sentendosi egli stesso propulsore e creatore del proprio successo. Pur supportato dalla comunità dei confratelli, egli in quanto singolo e sulla base delle sue capacità sarà oggetto dell’elargizione dei beni materiali e spirituali emanati dallo Spirito santo, ottenuti anche in cambio del decimo delle sue entrate che versa al pastore. In tale contesto, la comunità non è più una totalità onnicomprensiva, ma la somma delle diverse individualità che la compongono e che intrattengono una relazione particolare e specifica con il sovrannaturale e con il capo carismatico. In questo senso, a mio parere, viene spezzato il comunitarismo tradizionale e introdotto l’individualismo di segno liberale e neoliberale anche in quei settori che erano rimasti legati alle logiche collettive tradizionali. Tale nuova impostazione, del resto, è assai congeniale ad individui che debbono muoversi nel mercato informale, dando vita a microimprese, e a cui si predicano l’“autoimprenditorialità” e la rinuncia di ogni forma di aiuto assistenziale proveniente dallo Stato.
D’altra parte, con le grandi trasformazioni, che hanno incrinato il monopolio religioso, si è costituito un campo religioso in cui operano, a detta di molti studiosi, in piena concorrenza numerosi operatori, che mettono sul mercato una serie di beni simbolici e di salvezza, tra i quali i “consumatori religiosi” possono scegliere “liberamente”, individuando i più efficaci e più adeguati alle loro necessità. Tale cambiamento ha significato l’immissione della logica del mercato in una dimensione, in cui essa in precedenza non operava e che era regolata non dalla “libera scelta” dell’individuo calcolatore del massimo vantaggio, ma soprattutto dal criterio di appartenenza al gruppo di origine. Come si può, ben capire tutto ciò stravolge dalle fondamenta una comunità, basata su relazioni di interscambio e di mutuo appoggio sia pure clientelare, dando vita anche ad aspri conflitti tra le diverse istituzioni che si confrontano spesso in maniera aggressiva nel campo religioso.
Mi vi sono altri esiti scaturiti dalla diffusione del pentecostalismo nelle sue varie forme in America Latina, i quali si concretano in particolare nel legame che si è costruito a partire dagli anni ’80 del Novecento tra gli appartenenti ad esso e le organizzazioni politiche. Come illustra sempre Bastian, tale fenomeno è consistente tanto che in vari paesi, come Venezuela, Brasile, Perù, Guatemala, Colombia si sono presentati candidati pentecostali o da essi sostenuti alle elezioni presidenziali. I casi più eclatanti sono quelli di Alberto Fujimori, eletto nel 1991 in Perù e dotatosi di un vicepresidente pentecostale, grazie all’appoggio delle periferie di Lima e degli indigeni residenti nella Sierra; quello del generale Efraín Ríos Montt, convertitosi al pentecostalismo nel 1977, che è giunto invece al potere in Guatemala grazie ad un colpo di Stato nel 1982 e che comunicava con la popolazione nel corso di trasmissioni televisive secondo lo stile dei tele-evangelisti statunitensi[20].
Analizzando la praxis e i partiti politici fondati dai pentecostali, lo studioso svizzero ritiene arduo che questi ultimi possano dare un contributo allo sviluppo della democrazia (in senso parlamentare) in America Latina, a differenza di quanto era avvenuto dalla seconda metà dell’Ottocento; periodo in cui le società protestanti storiche – a suo parere - avevano operato come laboratori di diffusione dei valori e delle pratiche democratiche, dissociando la sfera pubblica da quella privata investita dalla fede religiosa. E ciò perché, riprendendo la tesi sostenuta da Christian Lalive d’Epinay (1968), nell’opinione di Bastian i pentecostalismi, sorti dalla “cultura della povertà”, riproducono il modello patriarcale e patrimoniale dell’hacienda, in base al quale nel nuovo contesto della comunità religiosa il pastore diventa il patrono della clientela religiosa. Sempre a parere di Bastian tale relazione clientelare si è consolidata ed estesa nella misura in cui la base coinvolta cresceva, ed è stata utilizzata dai pastori per negoziare in forma corporativa con gli attori politici riconosciuti. Seguendo questo filone analitico, lo studioso svizzero rimarca che tra il 1950 e il 1960 la cultura politica liberale si disintegra e che in seguito a ciò le società protestanti storiche si pentecostalizzarono, dando vita a un blocco religioso caratterizzato dal fondamentalismo, dall’anticomunismo e dall’appoggio ai regimi militari; quest’ultimo non condiviso solo da poche chiese metodiste e luterane.
Bastian scopre le radici di questa impostazione politica nell’eredità coloniale, nelle strutture agrarie per lungo tempo immobili e nell’agire delle due strutture portanti della società latinoamericana: la Chiesa cattolica e lo Stato. La congerie di questi elementi ha fatto sì che nemmeno il formalismo liberale abbia mai potuto funzionare, giacché costante è lo scontro tra l’élite bianca e l’amplia platea di meticci, individuati e collocati socialmente a seconda della sfumatura del colore della pelle, animati dalla volontà di uscire dalla miseria e di ascendere la scala sociale. Concludendo Bastian ritiene che i partiti pentecostali intendono indebolire la relazione privilegiata che la Chiesa cattolica intrattiene con lo Stato, ottenendo da quest’ultimo un riconoscimento, che garantisca loro benefici materiali e simbolici in un’ottica neocorporativa (Bastian 1997).
Un altro autore si è occupato del processo, che ha condotto i pentecostali alla fondazione di loro specifici partiti politici, i quali da un lato hanno riunificato vita religiosa e vita pubblica, dall’altro hanno prodotto la confessionalizzazione della politica. Si tratta di Willliam Mauricio Beltrán Cely (2010), che indaga in particolare il pentecostalismo colombiano, ricostruendo il passaggio di questo dal rifiuto della politica, vissuta come una dimensione malvagia e satanica, alla partecipazione attiva ad essa, avvenuta in Colombia a partire dal 1990. Il rifiuto della politica[21] da parte dei pentecostali si concretava, da un lato, nella rassegnazione ai mali della società, dall’altro nella speranza messianica di un intervento divino, unico evento che avrebbe davvero trasformato il mondo; dall’altro, nel rigetto di tutte quelle forme religiose e/o politiche – come la Teologia liberazione e il marxismo – che si impegnano per trasformare la società. Rigetto, quindi anche del comunismo, per il suo carattere ateo, pienamente condiviso da tutte le chiese protestanti.
Secondo Beltrán Cely questo passaggio si realizza tra i pentecostali urbanizzati, che aspirano a raggiungere il livello di vita delle classi medie, i cui membri frequentano le università e svolgono attività professionali (2010: 42). Tra questi fedeli l’enfasi non è più posta sulla vita ultraterrena, ma sulla necessità di stabilire il regno di Dio in terra (ma non nel senso auspicato dalla Teologia della liberazione); obiettivo al cui raggiungimento si è chiamati a dare il proprio contributo, mettendosi in competizione con gli altri attori politici. Questa trasformazione innesca il transito dalla huelga social alla Teologia della prosperità, per la quale il benessere economico e il potere politico costituiscono aspirazioni, cui i figli di Dio possono legittimamente tendere (Beltrán Cely 2010: Ibidem).
Se con l’istituzione dei loro partiti i pentecostali intendono <<cristianizzare la politica>>, non bisogna credere che ciò sia accompagnato dalla volontà di modificare le strutture sociali; essi sono semplicemente convinti che coloro che conducono la propria esistenza, ispirandosi ai principi espressi da Dio e contenuti nella Bibbia, governeranno in maniera più adeguata la società. Tale convinzione è stata messa in pratica in seguito alla costituzione delle cosiddette megaiglesias[22], le quali aggregando moltitudini significative di credenti possono funzionare come <<forze elettorali disciplinate sotto la direzione di un leader carismatico>> (Beltrán Cely 2010: 43).
Quanto alle finalità che si propongono di raggiungere i partiti pentecostali, Beltrán Cely non si discosta dall’opinione di Bastian. Infatti, a suo parere essi mirano – come si è visto nella loro azione per ottenere il riconoscimento della libertà religiosa nella nuova Costituzione della Colombia del 1991 – a estendere i privilegi della Chiesa cattolica alle loro organizzazioni ecclesiastiche, siglando accordi con lo Stato. Con questo strumento nel 1997 lo Stato ha riconosciuto gli effetti civili dei matrimoni da esse celebrati, la presenza dei loro cappellani nelle prigioni e negli ospedali e ha attribuito personalità giuridica a gruppi politici di loro emanazione, che operano come <<microimprese elettorali>> (Beltrán Cely 2010: 45-46).
Un recentissimo articolo molto documentato di Javier Calderón Castillo si riallaccia ai temi qui trattati e approfondisce l’analisi del legame tra il pentecostalismo (nella versione più attuale “neo”) e la politica conservatrice (https://www.telesurtv.net/opinion/Iglesias-evangelicas-y-el-poder-conservador-en-Latinoamerica-20171108-0088.html?utm_source=planisys&utm_medium). Calderón Castillo ci fornisce una serie di cifre come l’esistenza di circa 19.000 chiese di questa matrice nel subcontinente latinoamericano, seguite da circa 100 milioni di fedeli (circa un quinto della popolazione), che dovrebbero suscitare l’interesse anche di chi non si occupa di faccende religiose. Inoltre, lo studioso latinoamericano segnala la capacità di queste istituzioni di avvalersi della sfiducia verso i partiti politici per indirizzarla verso nuove formazioni di carattere confessionale e conservatore, di congiungere l’idea della predestinazione alla salvezza ultraterrena con un discorso politico che profetizza un futuro trasfigurato dalla fede religiosa e che garantisce la redenzione terrena, ossia la felicità e il benessere. Egli indica anche i caratteri fondamentali che le caratterizzano: 1) concezione ultraconservatrice della famiglia e volontà di limitare le libertà sociali; 2) difesa del neoliberalismo e del consumismo; 3) notevole disponibilità economica dovuta anche al sostegno obbligatorio dei fedeli; 4) grande utilizzazione dei mass media, di cui sono proprietarie, per farsi propaganda. Tale visione politica sembra riprendere i temi del movimento “Tradizione, Famiglia, Proprietà” sviluppatosi negli anni 60 del Novecento nel Cono Sud[23].
Conclusioni
Concludendo questa rapida riflessione sulle caratteristiche del pentecostalismo, nelle sue più recenti manifestazioni, e sulle ragioni del suo fecondo attecchimento in America Latina, osservo che questa forma religiosa costituisce un ben riuscito miscuglio di tradizionalismo e di riformismo, nella misura in cui – secondo quanto scrive Schirová – è riuscito ad adattarsi ai processi di modernizzazione, mantenendo in vita il tradizionale ordine gerarchico. Fornendo nella fase neoliberale quel sostegno che né Chiesa né Stato erano in grado di garantire, esso ha creato nuove strutture comunitarie, nel cui contesto l’individuo può aspirare alla salvezza individuale e alla soddisfazione personale, rinunciando alla trasformazione sociale e all’impegno politico. Ha garantito sicurezza e stabilità, per esempio rafforzando la famiglia nucleare e oscurando la prospettiva del cambiamento (Schirová 2001: 30-31). Infine, con la costituzione dei partiti politici confessionali orientati in senso fortemente conservatore, ha trasformato un gruppo sociale, che aveva molte ragioni per essere malcontento e per protestare, in una <<massa di manovra>>[24], a loro legata da uno stretto rapporto clientelare e da orientare in occasione dei comizi elettorali. Tale massa di manovra è assai utile per negoziare con lo Stato e i suoi apparati per ottenere che questi riconoscano all’élite pentecostale una serie di posizioni privilegiate nella struttura di potere.
Da questo punto di vista la penetrazione del pentecostalismo non rappresenta, dunque, il risultato di un’autentica protestantizzazione dell’America Latina (ma d’altra parte anche la cattolicizzazione era sempre stata alquanto problematica), ma non credo che il risultato possa essere così insoddisfacente per l’Institute on Religion and Democracy, accompagnato dalla Commissione per la libertà religiosa internazionale (1998), e per coloro che vogliono relegare questa regione nel capitalismo periferico.
Forse è insoddisfacente per Bastian, che ha una visione alquanto idealizzata della <<democrazia realizzata>>, giacché non coglie che <<anche le cosiddette democrazie si fondano sul predominio di élites>> (Canfora 2002: 41).
Queste considerazioni non vogliono connettere in forma riduttiva il sorgere e la diffusione delle nuove forme pentecostali esclusivamente a fattori di natura politica ed economica, considerandole meramente il riflesso di questi ultimi. Infatti, credo nell’<<autonomia relativa>> delle religioni dalle strutture economico-sociali, che Pierre Bourdieu descrive con queste parole, facendo riferimento al processo (alchimia religiosa) in virtù del quale i rapporti sociali vengono trasformati in rapporti sovrannaturali. Così scrive il sociologo francese: <<La razionalizzazione della religione ha una propria auto-normatività sulla quale le condizioni economiche operano soltanto come “linee di sviluppo” ed è connessa soprattutto a una specifica formazione sacerdotale>> (2012: 83).
Questo processo di “incielamento” è il risultato dell’originale rielaborazione dei pastori-imprenditori pentecostali, che hanno saputo inquadrare in una concezione cosmologica ottimistica l’inserimento di masse consistenti nella società neoliberale. Le potenzialità di tale trasformazione, indotta da un potere ignoto che potrebbe identificarsi con la “logica dei mercati”, si sono materializzate nel potere benefico dello Spirito santo, il quale con i suoi doni incita il singolo a lottare per migliorare la sua condizione di vita e ascendere nella scala sociale. L’adozione di tale comportamento genera effettivamente un miglioramento e affina la capacità di lotta, mostrandoci l’efficacia simbolica e psicologica delle concezioni del mondo, le quali dunque in questo senso “funzionano” e non possono esser tranquillamente abbandonate (v. pp. 5-6).
D’altra parte, il lavoro religioso (così lo definirebbe Bourdieu) dei pastori-imprenditori sconvolge il tradizionale campo religioso latinoamericano, introducendo nuovi protagonisti, che mettono in discussione gli equilibri tradizionali favorevoli alla Chiesa cattolica. Tuttavia, come si è visto, tale processo, se conduce all’ pluralismo religioso, non innesca la democratizzazione della società latinoamericana; promuove piuttosto la costituzione di nuove élites che entrano in competizione con quelle tradizionali in un contesto in cui confliggono tendenze di segno diverso. Tendenze che non possono non tener conto dell’influenza statunitense nella regione.
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[1] Il presente articolo è già uscito in forma abbreviata sulla rivista online “La Città futura” (https://www.lacittafutura.it/unigramsci/la-protestantizzazione-dell-america-latina-e-la-penetrazione-del-pentecostalismo.html).
[2] Non mi addentro qui nella questione della distinzione tra pentecostalismo e neopentecostalimo, su cui non c’è una opinione univoca. Per taluni (come Jean-Pierre Bastian) il neopentecostalismo è solo una fase (la terza) della corrente pentecostale. Per altri (Elio Masferrer Kahn) il neopentecostalismo o neocarismatismo combina elementi del pentecostalismo classico (i carismi) con aspetti del protestantismo storico, la Teologia della prosperità e la “guerra spirituale”, ossia la lotta contro i demoni presenti nel mondo terreno (Martínez 2012)
[3] La ricerca ha riguardato 18 paesi latinoamericani e Porto Rico (colonia degli USA). Cuba non è inclusa nella ricerca.
[4] Secondo fonti cattoliche in America Latina ogni ora 400 fedeli abbandonano la Chiesa cattolica (http://www.catolicosfirmesensufe.org/introduccin-qu-es-la-apologtica-para-que-sirve), anche se poi il cambiamento non è stabile.
[5] La reazione a tale processo di decremento ha innescato trasformazioni significative all’interno della stessa dottrina e liturgia cattoliche, dalle quali è scaturito un movimento di pentecostalizzazione, in genere definito Rinnovamento carismatico, che riscopre ed enfatizza il ruolo della terza persona della Trinità.
[6] Tale concezione del sovrannaturale potrebbe essere collegata alla riflessione di Geodfrey Lienhardt sulla religione dei dinka, una popolazione nilotica, per i quali i poteri sovrannaturali sono l’immagine delle passiones, nel senso di eventi, specialmente negativi, che colpiscono gli esseri umani.
[7] Secondo l’urbanista statunitense Mike Davis il pentecostalismo costituisce il più grande movimento autorganizzato dei poveri urbani del mondo (http://www.cetri.be/Pentecostalismo-y-movimientos?lang=frLo).
[8] Questa espressione di Bronislaw Malinowki propone un’interpretazione della magia diversa da quella sostenuta dagli intellettualisti (Tylor e Frazer) (cfr. 1976: 93-94)
[9] Nel Vangelo della prosperità si condensa l’idea, fondata su alcuni passi biblici, che Dio è disponibile a elargirci benefici materiali, ma esso occulta che nelle Sacre Scritture sta scritto anche che ai fedeli non saranno risparmiati sofferenze e patimenti, sempre emanati dal Padre celeste.
[10] Non deve essere dimenticata la fondazione dell’Institute on Religion and Democracy, attraverso il quale le maggiori chiese protestanti statunitensi appoggiano “i cristiani che lottano per la democrazia in ogni paese”, in particolare in America latina finanziando i gruppi religiosi conservatori e vicini alla politica della Casa Bianca. Tale forma di sostegno è stata apertamente criticata dalla Chiesa cattolica (v. Schirová 2001: 7-8).
[11] Con questa espressione ci si riferisce a un summit, tenutosi a Washington del novembre del 1989, cui hanno partecipato scienziati, diplomatici e funzionari del Dipartimento di Stato e della Federal Reserve, nel corso del quale si sono imposte ai paesi debitori e meno industrializzati misure volte a creare stabilità e a favorire a crescita economica. Almeno questo era l’intento dichiarato.
[12] La decada perdida indica il grave periodo di crisi verificatosi negli anni ‘80 del Novecento, nel quale in particolare si sviluppò in maniera straordinaria l’indebitamento dei paesi latino-americani.
[13] ISI indica le industrie che avrebbero dovuto sostituire le importazioni e avviare la modernizzazione dei paesi latino-americani.
[14] Il saggio è disponibile anche in italiano (https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2016/06/30/limperialismo-nel-xxi-secolo/#more-9495).
[15] Tale processo ha dato vita tra l’altro alle cosiddette maquilladoras, presenti non solo in America Latina, nelle quali in un regime di esenzione fiscale gli operai producono, assemblano e trasformano prodotti destinati all’esportazione.
[16] Citando Marx, Smith ritiene che in questo caso l’incremento dello sfruttamento si realizza <<comprimendo il salario dell’operaio al di sotto del valore della forza-lavoro dell’operaio>> (Ibidem).
[17] Tale nozione è ovviamente ripresa da P. Bourdieu (2012), il quale lo intende come uno spazio relazionale in cui la dimensione oggettiva e quella soggettiva si intrecciano, dando vita ad un insieme di rapporti che oppongono i dominanti ai dominati.
[18] Nel pentecostalismo è, tuttavia, del tutto assente il culto dei santi e della madonna, centrale nel cattolicesimo popolare e rifiutato perché per gli appartenenti a questa forma religiosa non ci sono intercessori tra l’uomo e Dio.
[19] Dobbiamo dire, tuttavia, che questo aspetto non è centrale nel cattolicesimo popolare che pone l’accento sulla funzione taumaturgica del sovrannaturale.
[20] Il dittatore guatemalteco ha ricevuto 20 milioni di dollari dai gruppi protestanti statunitensi.
[21] Lalive d’Epinay definisce tale attegiamento la huelga social (cit. in Beltrán Cely 2010: 40).
[22] Con questo termine si indicano locali, che possono contenere migliaia di persone, spesso ex-sale cinematografiche, nel quale da un palcoscenico parla il predicatore con accompagnamento musicale.
[23] Per esempio, in Colombia i neopentecostali (10 milioni) sono stati chiamati in massa a votare contro l’accordo di pace siglato all’Avana dai movimenti guerriglieri e il governo di Santos.
[24] Espressione usata da Luciano Canfora (2005: 35) per descrivere uno dei meccanismi di funzionamento dei sistemi parlamentari, a suo parere scorrettamente identificati con la democrazia, se la si intende come <<l’esercizio diretto del potere assembleare da parte di un vasto gruppo sociale di non possidenti>> (2005: 34).