Andrea Vento
Inquadramento generale
Il subcontinente Latinoamericano costituisce una macroregione dalla spiccata omogeneità culturale che, tuttavia, evidenzia comuni caratteristiche anche dal punto di vista storico, demografico ed economico. Gli ultimi 500 anni di storia hanno, infatti, profondamente trasformato e uniformato le società locali, soprattutto per effetto della colonizzazione ispanica e portoghese. La dominazione europea non solo ha annientato le floride civiltà precolombiane, ma ha anche prodotto altre importanti trasformazioni: ha alterato la composizione etnica e la struttura sociale della popolazione, ha introdotto nuovi modelli economici e, non ultima, è stata profondamente intrisa dalla matrice cattolica. L’aver subito per almeno 3 secoli la dominazione coloniale europea e successivamente neo-coloniale statunitense[1], ha provocato un pesante saccheggio di risorse naturali, energetiche, minerarie e finanziarie da impedirne il raggiungimento di un livello di sviluppo economico e sociale in linea con le proprie potenzialità.
Il percorso storico post indipendenza
Il conseguimento dell’indipendenza (nella maggior parte dei casi all’inizio dell’800’) non ha comportato per gli stati del subcontinente significativi cambiamenti nella distribuzione interna della ricchezza: le oligarchie economiche, in prevalenza fondiarie, hanno continuato ad essere il ceto dominante, assumendo anche ruolo politico, e hanno perseverato nell’attuazione di strategie improntate al mantenimento dei propri privilegi, come testimoniato dalla mancata attuazione di provvedimenti di politica economica orientati al progresso sociale, in primis la riforma agraria.
L’assoggettamento neo-coloniale ha, non solo perpetrato lo sfruttamento delle risorse in atto da secoli, ma ha anche favorito l’affermarsi di governi autoritari e dittature militari che, espressione degli interessi delle élites economiche locali e delle multinazionali estere, hanno represso, spesso con brutale violenza, le richieste popolari di affermazione di diritti umani fondamentali, di rispetto delle comunità indigene, di tutela ambientale e di attuazione di riforme economiche improntate ad una maggior giustizia sociale. Le sperequazioni socio-economiche interne agli stati dell’area sono ancora oggi molto accentuate e, salvo rare eccezioni, non hanno registrato significative contrazioni sino alla fine del secolo scorso.
L’America Latina è stato anche terreno di scontro fra Stati Uniti e Unione Sovietica nel secondo dopoguerra, registrando uno dei momenti di massima tensione della Guerra fredda tramite le vicende legate alla crisi missilistica di Cuba del 1962, quando fu addirittura sfiorato il conflitto nucleare est-ovest. L’accordo fra le 2 superpotenze che consentì la risoluzione della crisi in questione, rafforzò l’egemonia geopolitica ed economica statunitense sul subcontinente, non a caso da loro stessi definito “il cortile di casa”. La revolucion cubana, in base all’accordo, era destinata a rimanere l’unica “anomalia” in un' area completamente assoggettata agli interessi statunitensi.
Il trentennio buio
Contemporaneamente alle vicende cubane, negli anni 50' 60' e 70', nella maggior parte degli stati si affermarono dittature, spesso feroci (Argentina, Cile, Brasile, Paraguay, Nicaragua ecc)[2] e democrazie autoritarie che oltre a rappresentare una delle pagine più nere della storia recente nel campo della violazione dei diritti umani, hanno fatto registrare battute d’arresto in campo economico, a seguito sia dello sfruttamento di risorse da parte delle multinazionali estere che del saccheggio delle casse pubbliche ad opera di esponenti dei vari governi dittatoriali.
Il complesso ritorno alla democrazia
Gli anni ’80 hanno visto il graduale ritorno dei paesi latinoamericani verso forme di democrazia più compiuta; una transizione non priva di ostacoli e che, in alcuni casi, è risultata particolarmente difficile a causa della trasformazione di esponenti dei precedenti regimi militari in soggetti politici che, talvolta, hanno promulgato leggi speciali tese a garantire la sostanziale impunità dai crimini efferati di cui si erano macchiati durante i periodi dittatoriali[3].
Nella maggioranza dei paesi, i militari e i dittatori deposti, saldando i propri interessi a quelli delle potenti oligarchie fondiarie, hanno continuato ad avere un peso politico rilevante, frenando sia il completo affermarsi di regimi democratici che l'attuazione di politiche orientate al progresso sociale. I nuovi governi sono anche stati costretti a fronteggiare il gravoso problema dei disastrati conti pubblici, venendo indotti ad attingere al credito estero, dapprima privato e successivamente, e allorché non più in grado di onorare i pagamenti, all’indebitamento presso le istituzioni finanziarie internazionali. Il Fondo Monetario Internazionale mi concesse loro prestiti condizionati però all'attuazione di misure di chiara matrice neoliberista definite di “aggiustamento strutturale”, concernenti: la vendita di importanti aziende di stato, il taglio della spesa e degli investimenti pubblici, l'aumento delle esportazioni di prodotti agricoli (sottraendoli alla domanda interna) e la svalutazione della moneta. Le finalità di tali politiche erano, secondo le istituzioni internazionali, di ottenere valuta pregiata per far fronte al rimborso dei prestiti; tuttavia, fornirono risultati macroeconomici positivi solo a breve termine (es. Argentina del primo governo Menem). Nel medio periodo gli stati si trovarono privi di importanti aziende strategiche (telecomunicazioni, compagnie aeree di stato ecc.), con le casse statali vuote e a dover fronteggiare le inevitabili crisi sociali che, in alcuni casi (es. Argentina 2002), esplosero in modo drammatico a seguito di crisi economico-finanziarie di carattere strutturale. La questione del debito permane tuttora, per l’entità raggiunta[4], come una delle principali cause di freno allo sviluppo dell’intero subcontinente.
Il nuovo corso
Il quadro socio-economico descritto ha innescato, a partire dall’inizio del nuovo millennio, una fase evolutiva sostanzialmente inattesa, a testimonianza del fatto che l’America Latina, seppur a lungo depredata e sottomessa non era stata completamente soggiogata. Movimenti, forze politiche progressiste e comunità indigene, provati dai fallimenti di un ventennio di politiche neo-liberiste, hanno preso consapevolezza (forse illuminati dall’esperienza Zapatista in Messico) delle proprie potenzialità, aprendo una stagione di rivendicazioni e di progettualità politica in larga misura imprevista. L’elezione in Brasile, a Presidente della Repubblica, di Luiz Inacio "Lula" da Silvia nel 2002, ha sancito il decollo di una nuova fase, avviata dalla vittoria di Chavez alle presidenziali venezuelane del 1998, che nel giro di pochi anni ha visto l’ascesa di governi di diversa natura politica e in totale rottura con la storia, recente e passata, dell’intero subcontinente. Oltre al Brasile[5], che ha ricoperto ruolo trainante in quanto principale potenza regionale, e al Venezuela, troviamo: l’Argentina, il Cile, la Bolivia, l’Uruguay, l’Ecuador, il Paraguay, il Nicaragua, Panama, Guatemala, l’Honduras (benché scosso da un golpe nel giugno 2009[6]), e, a fine 2014, dal Salvador, che hanno registrato a partire dal 1999 la vittoria di coalizioni di sinistra e di centrosinistra[7]. Il primo gruppo composto principalmente dal Venezuela di Chavez, dalla Bolivia del primo presidente indio dell’America Latina Morales e dall’Ecuador di Correa, ha attuato politiche simili sia dal punto di visto economico che delle relazioni geopolitiche segnando una netta discontinuità rispetto alla storica subalternità nei confronti degli Usa.
I membri dell’altro raggruppamento, che ha visto come esponenti principali il Brasile, l’Argentina, l’Uruguay e, con posizioni diverse, il Cile, pur non effettuando riforme economiche significative hanno mostrato indubbiamente maggiore sensibilità nei confronti di politiche che fino a quel momento erano rimaste sostanzialmente disattese nell’intero subcontinente: il rispetto delle regole democratiche, la difesa dei diritti umani e l’attuazione di politiche più sensibili alle problematiche sociali.
Nonostante i paesi dell’asse social-liberale (centro-sinistra) non abbiano assecondato le rivendicazioni dei movimenti sociali e indigeni escludendoli dalle scelte politiche, hanno costituito, tuttavia, una barriera contro il ritorno della destra conservatrice e dalle pulsioni reazionarie mai del tutto sopite.
La disamina del mosaico geopolitico latinoamericano di inizio nuovo millennio si completa con l’ultimo gruppo di stati che, caratterizzati da governi di destra o centro-destra, hanno continuato nell’applicazione di politiche economiche neoliberiste e subalterne agli interessi delle multinazionali. In alcuni casi, come nella Colombia di Alvaro Uribe[8], si sono consolidate alleanze strategiche che hanno portato alla creazione di numerose basi militari, milizie paramilitari e ad importanti forniture di armamenti, per contrastare il dissenso socio-politico organizzato, le lotte delle comunità indigene e reprimere la resistenza e i movimenti rivoluzionari[9]. Oltre alla Colombia gravitano nella sfera d’influenza statunitense, anche il Messico, il Perù, Panama, la Costa Rica, il Belize, la Guyana e il Suriname. Casi particolari rivestono invece l'Honduras e il Paraguay. Il paese istmico, investito nel 2009 da un golpe che ha estromesso il legittimo presidente, Manuel Zelaya[10], è rientrato nell’orbita statunitense con l'elezione di Porfirio Lobo prima e, successivamente con Juan Fernandez, entrambi esponenti della destra. Vicenda storica parallela è rappresentata dal Paraguay ove nell'aprile del 2008 il candidato progressista (l'ex vescovo) Fernando Lugo ottenne una storica vittoria nelle elezioni presidenziali[11] per essere poi deposto da un "golpe soave" nel giugno 2012[12]. La successiva elezione dell'imprenditore Horacio Cartes del partito Colorado, nell'aprile del 2013, ha interrotto la breve stagione progressista paraguayana e riportato al potere le potenti oligarchie fondiarie[13] e affaristiche oltreché il paese nell'orbita statunitense. La destituzione di Lugo è stata aspramente condannata dall'Unasur e dai paesi del Mercosur arrivando persino a decretare la sospensione del paese da quest'ultimo organismo per circa un anno e mezzo.
Le nuove strategie statunitensi
Gli Stati Uniti non hanno accettato di buon grado questa nuova fase ed hanno cercato, sotto l’impulso della presidenza di G.W. Bush, di espandere l’Accordo di Libero Commercio del Nord America (Nafta)[14] all’intera l’America Latina impedendo soluzioni geopolitiche inedite nel segno della discontinuità dal “Washington consensus”[15], mettendo in cantiere, a partire dal 2000, la realizzazione dell’Area di libero scambio delle Americhe (Alca). Le caratteristiche di questo organismo non sarebbero dovute essere quelle di un semplice accordo di libero commercio su base paritetica fra i membri, ma avrebbero presentato una spiccata asimmetria nei regolamenti a favore degli Usa (come il mantenimento dei sussidi in campo agricolo) al fine ultimo di consolidare la propria area di dominio neocoloniale nel Subcontinente. Il progetto statunitense è fallito definitivamente nel 2005 non soltanto per l’indisponibilità di un gruppo sostanzioso di paesi latinoamericani ad una nuova forma di subalternità geoeconomica, ma anche perché si è andata affermando, su scala mondiale, una tendenza alla cooperazione e alla integrazione regionale fra i paesi del Sud, alla cui affermazione l’America Latina ha fornito un contributo determinante. Infatti, il Presidente brasiliano Lula ha contrastato fin dalla sua prima elezione il progetto dell’Alca, operando, invece, a favore di un progetto di integrazione sudamericana attraverso l’ampliamento e il rafforzamento del Mercosur[16].
Il processo di integrazione latinoamericano
L’opposizione all’Alca è stata ancor più decisa nei paesi con governi marcatamente di sinistra (Cuba, Venezuela, Bolivia, Nicaragua ed Ecuador) i quali hanno dato vita nel 2004 ad una nuova organizzazione politica ed economica basata su regole di scambio diverse rispetto a quelle del commercio internazionale: l’Allenza Bolivariana per le Americhe (Alba)[17]. L'organizzazione latinoamericana sorta sul consolidamento dell'asse geopolitico L'Avana - Caracas, oltre a creare un nucleo aggregativo contrapposto all’espansione statunitense, ha prodotto incoraggianti risultati economici favorendo la cooperazione economica e riducendo la dipendenza commerciale dai paesi del Nord, ma ha, soprattutto, introdotto un elemento innovativo nel campo d’azione degli organismi sovranazionali: l’attuazione di politiche di sviluppo e di integrazione sociale.
Nonostante le differenze, soprattutto nei rapporti con gli Stati Uniti, i due gruppi sono rimasti compatti nella difesa dell’autonomia conquistata. Ne è stata chiara testimonianza il fatto che la cilena Michelle Bachelet, all'epoca presidente di uno dei paesi del gruppo dei moderati abbia accettato la prima presidenza dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur[18]), organizzazione politica ed economica autonoma sorta con lo scopo di integrare le politiche economiche e le strategie internazionali dei paesi dell'America Meridionale.
Gli Stati Uniti tuttavia non hanno rinunciato al proprio disegno egemonico sull'intero continente e, in varie forme, hanno continuato ad attuare strategie tese alla destabilizzazione politica ed economica, inizialmente nei confronti di Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Honduras, Paraguay, e successivamente, anche di Argentina e Brasile. L’insediamento di Barak Obama alla Casa Bianca (2008-2016), aveva suscitato speranze di normalizzazione dei rapporti fra la parte nord e quella sud del continente, ma la mancata condanna effettiva del golpe in Honduras, limitata alle sole dichiarazioni e non supportata da azioni effettive, e quello successivo in Paraguay ha raffreddato, sin dal primo mandato presidenziale, le istanze di cambiamento nelle relazioni.
Di fronte al fallimento dell’Alca nel 2005, le amministrazioni statunitensi, con Bush prima e con Obama successivamente, hanno cercato di intraprendere un percorso diverso nel perseguimento del progetto di dominio neocoloniale. Esercitando il proprio potere economico, geopolitico e militare singolarmente su ciascun paese, nel chiaro tentativo di frazionare il fronte dei paesi latinoamericani, ha provato a conseguire intese di carattere bilaterale che hanno portato alla firma di accordi di libero scambio con alcuni stati. Ad oggi hanno sottoscritto Trattati bilaterali di Libero Commercio (TLC) con gli Usa, la Colombia, il Perù, il Cile e Panama. A rafforzamento di questa strategia geopolitica e per contrastare la minacciosa penetrazione economica cinese nel subcontinente[19], nell'agosto del 2012 è stata fondata l'Alleanza del Pacifico (AP) da Perù, Cile, Colombia e Messico con l'obiettivo di creare un mercato comune simile a quello dell'Unione Europea e integrato a quello statunitense attraverso trattati di libero scambio. Panama e Costa Rica, storicamente vicino a Washington, sono in procinto di fare il loro ingresso nel nuovo organismo[20].
Il progetto di integrazione regionale latinoamericano in atto, seppur contrastato a lungo dagli Stati Uniti, sembra tuttavia difficilmente reversibile. Infatti, attraverso la costituzione della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac)[21] si è cercato, da un lato, di ampliare l'area geografica d'integrazione anche all'America centrale e al Messico e, dall'altro, di aumentare la coesione politica dei 33 stati americani indipendenti, posti a sud del Rio Grande.
Un passo importante effettuato da alcuni paesi dell'area caraibica sulla strada dello sviluppo economico autonomo e dell'emancipazione dall'assoggettamento statunitense è rappresentato dalla costituzione del Petrocaribe nel 2005[22]. Il nuovo organismo economico regionale ha consentito ai paesi aderenti di ottenere forniture petrolifere venezuelane a prezzi agevolati grazie alle quali sono riusciti, non solo a superare la grave crisi economica mondiale deflagrata a fine 2008 ma, anche a fornire un significativo impulso alla sviluppo economico[23] e sociale[24]. L'accordo del Petrocaribe ha permesso, inoltre, ai fragili paesi caraibici di liberare preziose risorse per progetti sociali, socio-produttivi, agricoli ed alimentari; ha inoltre offerto la possibilità di effettuare scambi commerciali basati su forniture di petrolio contro beni e servizi[25], svincolandoli parzialmente dagli approvvigionamenti dalle grandi compagnie petrolifere.
Le inquietanti vicende dell'Honduras e del Paraguay, sommate a quelle che hanno investito nel 2014 il Venezuela e l'Argentina, quest'ultima con la controversia giudiziaria aperta dai "fondi avvoltoi"[26], e nel 2016 il Brasile, con la destituzione tramite "golpe istituzionale" di Dilma Rousseff, hanno gettato un'ombra sulla nuova fase di relazioni geopolitiche che il presidente Obama aveva dichiarato di voler inaugurare nei confronti dell'America Latina ad inizio del suo mandato. Se la stagione dei golpe cruenti e delle feroci dittature militari sembra essere superata, una nuova e più raffinata strategia statunitense è iniziata con, maggiore chiarezza, a delinearsi: il processo di integrazione regionale in atto e il tentativo di allontanamento dalla sfera d'influenza statunitense vengono, in questa fase, contrastati attraverso colpi di stato "istituzionali", destabilizzazioni economiche, finanziarie e sociali[27] tese a favorire la caduta di governi politicamente avversi, soprattutto quelli che svolgono ruolo strategico a livello regionale. Alla luce della ripresa, nell'aprile del 2017 ad inizio mandato di Trump, delle violenze di strada, con chiare finalità golpiste, da parte di settori dell'opposizione in Venezuela, ha indotto un numero crescente di analisti a definire la nuova strategia Usa nel subcontinente una sorta di "Plan Condor 2.0", in quanto ricalca, seppur con metodi più raffinati, le strategie golpiste dei bui anni 60' e 70' latinoamericani.
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[1] L’inizio della politica imperialista degli Usa coincide con la loro intromissione nella guerra di liberazione cubana contro la Spagna nel 1898/1901. L’intervento militare statunitense, portò l’isola caraibica al conseguimento di una indipendenza soltanto formale, come sancito esplicitamente dall’Emendamento Platt che, inserito nella Costituzione cubana, prevedeva il diritto statunitense ad intervenire negli affari interni cubani anche militarmente e, proprio per questo, non sottoscritto dai cubani.
[2] Argentina: giunta militare guidata inizialmente dal generale Videla dal 1976 al 1984. Cile: Augusto Pinochet: 1973-1990. Brasile: un golpe militare destituisce il presidente progressista João Goulart nel 1964. Assume la presidenza il generale Humberto de Alencar Castelo Branco, seguito dal gen. Artur da Costa e Silva (1967-1969), dal gen. Emílio Garrastazu Médici (1968-74), dal gen. Ernesto Geisel (1974-79) e dal gen. João Baptista de Oliveira Figueiredo (1979-84). Paraguay: gen. Alfredo Stroessener: dal 1954 al 1989. Il Partito Colorado (Associazione Nazionale Repubblicana), espressione della oligarchia fondiaria e imprenditoriale, è rimasto successivamente al potere fino al 2008. Nicaragua: Anastacio Somoza e i suoi figli dal 1936 sino all'abbattimento nel 1979 della dinastia-dittatoriale da parte del Fronte Sandinista.
[3] Ne sono un limpido esempio le vicende cilene legate alla trasformazione, dopo il Plebiscito a lui avverso del 1988, della dittatura di Pinochet in 'democrazia vigilata', della quale ha continuato ad essere, prima (1990-98), Capo delle Forze Armate e in seguito (fino al 2006) Senatore a vita, con l’impunità dai crimini commessi garantita per legge.
[4] Nel 2002 il debito totale dell’intera America Latina ammontava a 789.838 mld di $, mentre a livello di singoli stati i più indebitati in valore assoluto nel 2001 erano: il Brasile con 226.362 mld di $, il Messico con 168.290 mld di $ e l’Argentina con 158.290 mld di $. Fonte: E. Toussaint : La finance cit. pag 364. Tuttavia risulta maggiormente significativo, al fine di valutare l’effettivo impatto del debito sull’economia interna, il rapporto fra Pil/debito di ciascun paese.
[5] Alla presidenza brasiliana è succeduta a Lula il 1/1/2011 Dilma Rousseff anch’essa del Pt ed ex guerrigliera ai tempi della dittatura (1964-1985) riconfermata per altro quadriennio alla presidenza della Repubblica, a partire dal 2015 ma destituita tramite "golpe istituzionale" nell'estate 2016.
[6] Il Presidente Manuel Zelaya, il 28 giugno 2009, dopo aver proposto un referendum che, attraverso una modifica della Costituzione, avrebbe dovuto rendere possibile un'estensione del mandato quadriennale ed una sua rielezione (nonostante il parere contrario della Suprema Corte), viene deposto da un colpo di stato militare e trasferito nel vicino Costa Rica e sostituito ad interim da Roberto Micheletti (anch'esso del Partito Liberale di centro-destra).
[7] Venezuela: Ugo Chavez in carica da gennaio 1999 e il suo successore, Nicolas Maduro dal 14 aprile 2013; Argentina: il neo peronista Nestor Kirchner 2003 (a cui è succeduto per via democratica nel dicembre 2007 la moglie Cristina Fernadez Kirchner); Bolivia: Evo Morales in carica da gennaio 2006; Cile: Ricardo Lagos nel 2000 e Michelle Bachelet marzo 2006, rieletta a fine 2013 da una coalizione comprendente anche la sinistra e i movimenti studenteschi, è di nuovo in carica dal marzo 2014, succedendo al leader della coalizione di centrodestra Sebastián Piñera; Ecuador: Raphael Correa 2007-2016 e Lenin Moreno in carica da maggio 2017; Uruguay: Tabarez Vazquez in carica dal 1/3/05 e successivamente dal 1/3/2015; Josè Mujica del Frente Ampio in carica dal 1/3/10; Paraguay: Fernando Lugo in carica dal 15/8/08; Nicaragua: Daniel Ortega: dal gennaio 2007 (ritorno al potere del Fronte Sandinista dopo la sconfitta del 1990 da parte di V. Chamorro); Honduras: Manuel Zelaya (Partito Liberale) in carica dal gennaio 2006 sconfiggendo Porfirio Lobo del Partito Nacional (conservatore) diventato poi presidente nel gennaio 2010; Panama: Martin Torrijos del Partito Rivoluzionario Democratico eletto il 2/5/2004, ma dal 1/1/2009 è in carica Riccardo Martinelli del partito conservatore Cambio Democratico; Guatemala: Alvaro Caballeros in carica dal gennaio 2008 è stato il primo presidente del paese di centrosinistra da oltre 50 anni; El Salvador: Sanchez Cerem eletto nel marzo 2014 è il primo ex guerrigliero comunista a conquistare la presidenza.
[8] A. Uribe eletto Presidente nel 2002, e riconfermato nel 2004, si è dimostrato il più fedele alleato statunitense nel subcontinente, al quale è succeduto l'ex ministro della difesa del suo governo Juan Manuel Santos , in carica dall'agosto 2010 fondatore del Partito Sociale di Unità Nazionale (liberal-conservatore)
[9] Il principale movimento di resistenza armato sono state le Farc (Fronte Armato Rivoluzionario della Colombia) di ispirazione marxista, per molti anni in conflitto con i governi filoamericani di Bogotà. In Colombia è attivo anche l’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln). Le complesse trattative di pace iniziate a L'Avana nel novembre 2012 fra il governo colombiano di Manuel Santos e le Farc si sono concluse con l'accordo dell'agosto 2016, respinto però dal referendum popolare del 2 ottobre dello stesso anno. Il presidente colombiano Juan Manuel Santos e il leader delle Farc, Rodrigo "Timochenko" Londoño, hanno firmato il 23 novembre 2016 il nuovo accordo di pace che ha messo definitivamente fine a 52 anni di conflitto.
[10] L’Honduras, da sempre stretto alleato degli Usa, ha registrato alle elezioni presidenziali del novembre 2005 la vittoria di M. Zelaya che seppur appartenente ad un partito liberale di centro-destra, intraprese un corso politico che lo ha portato ad aderire all’Alba il 25 agosto del 2008.
[11] Lugo vinse le elezioni, interrompendo 61 anni di dominio della destra (di cui 35 in dittatura), con circa il 41% dei voti contro il 31% Bianca Ovelar del Partito Colorado (conservatore).
[12] Il 21 giugno 2012, una procedura di impeachment nei confronti di Lugo è stata avviata nella camera bassa del Parlamento, controllata dai suoi avversari. A Lugo sono state date meno di ventiquattro ore per prepararsi per il procedimento e solo due ore per la propria difesa. L'impeachment è stato rapidamente approvato, ed il processo svoltosi il 22 giugno al Senato, anche questo controllato dall'opposizione, si è concluso con la rimozione di Lugo dalla carica, e l'assunzione delle funzioni presidenziali da parte dell'ex-vice presidente Federico Franco del Partito Liberale.
[13] Il Paraguay è il paese latinoamericano ove la proprietà fondiaria è maggiormente concentrata: il 2% della popolazione possiede oltre il 75% della terra coltivabile, in un paese in cui oltre il 26% della popolazione attiva è impiegata nel settore primario
[14] Il Nafta (North American Free Trade Agreement) è stato sottoscritto da Canada, Usa e Messico il 17/12/1992 ed è entrato in vigore il 1/1/1994.
[15] L'espressione Washington consensus è stata coniata nel 1989 dall'economista John Williamson per descrivere un insieme di 10 direttive di politica economica abbastanza specifiche che egli considerava come il pacchetto standard da destinare ai paesi in via di sviluppo che si trovassero in crisi economica. Dopo l'invenzione da parte di Williamson, l'espressione è successivamente stata usata abbastanza comunemente con un secondo significato più ampio per riferirsi ad un generale orientamento verso un approccio economico fortemente orientato al mercato (a volte descritto con il termine neoliberismo).
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Washington_consensus
[16] Il Mercosur è il Mercato Comune del Sud. Ne fanno parte in qualità di stati membri, dal momento dell'entrata in vigore il 1/1/1995, Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e, dal 23/7/2012, il Venezuela. Sono inoltre Stati associati la Bolivia e il Cile (dal 1996), il Perù (dal 2003), la Colombia e l'Ecuador (dal 2004), ma solo come partner economici. Il Paraguay che ha ritardato a lungo l'ingresso del Venezuela tramite la mancata ratifica del proprio Congresso, ne è stato sospeso, a causa del golpe ai danni del presidente F. Lugo, dal giugno 2012 al dicembre 2013.
[17] L'Alba è un sistema di cooperazione economica tra alcuni stati dell'America Latina. E' stata costituita il 14/12/2004 sotto l'impulso di Cuba e Venezuela. Lo scopo principale dell'alleanza è la cooperazione tra i paesi per combattere la povertà dei popoli, stabilire la coesione sociale, alfabetizzazione della popolazione, e la creazione di scambi tra le nazioni in modo da compensare le disparità economiche, tecnologiche, sanitarie, sociali. Ne sono membri, oltre a Venezuela e Cuba, Bolivia, Antigua e Barbuda, Ecuador, Nicaragua, Dominica e Saint Vincent e Grenadine.
[18] L'Unasur rappresenta la nuova denominazione della Comunità sudamericana delle nazioni (CSN) una comunità politica ed economica costituita il 23 maggio 2008 con il trattato di Brasilia ed entrata in vigore l'11 marzo 2011. Ne fanno parte tutti i 12 paesi indipendenti dell'America Meridionale (la Guyana francese è regione e dipartimento d'oltremare della Francia).
[19] La Cina è saldamente il primo partner commerciale del Brasile, del Cile, del Perù e del Venezuela ed è il secondo dell’Argentina. Il valore dell’interscambio con l’intero subcontinente è aumentato di 24 volte dal 2000 al 2013. E di fronte alla riduzione degli acquisti da parte dei paesi di antica industrializzazione avvitatisi nella crisi, la Cina con i suoi tassi di crescita e con le sue disponibilità finanziarie è divenuta un’ancora di salvezza insostituibile per molti. L’interscambio, dal 2010 al 2015, è aumentato del 48% col Brasile e del 36% col Messico. Se l’interscambio totale degli Stati Uniti con i paesi latinoamericani ammontava (2013) a oltre 800 miliardi di dollari contro i “soli” 275 della Cina, quest’ultima conta di raddoppiare la cifra entro il prossimo decennio. http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/lavanzata-cinese-venezuela-e-america-latina-12050
21 http://www.alleanzadelpacifico.com/progetto.php.
[21] La CELAC è stata costituita il 23 febbraio 2010, in Messico, e posta in funzione il 3 dicembre 2011 durante il Vertice di Caracas. Raggruppa i 33 Stati sovrani della regione cercando di approfondire l’integrazione politica, economica, sociale e culturale dell’America Latina e Caraibica, basandosi sul pieno rispetto della democrazia e dei diritti umani.
[22] I presidenti Hugo Chavez (Venezuela) e Fidel Castro (Cuba), insieme ad altri 12 Capi di Stato e di Governo dell'America Centrale e dei Caraibi, hanno fondato il Petrocaribe il 29 giugno 2005. La finalità dello schema integrazionista è stringere le relazioni tra paesi fratelli, come potenziare il loro sviluppo in materia di petrolio e dei suoi derivati. L'alleanza è stata costituita inizialmente da 14 stati, tra cui Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize, Cuba, Dominica, Granada, Guyana, Giamaica, Repubblica Dominicana, San Cristobal e Nieves, Santa Lucia, San Vicente e Le Granatine, Suriname e Venezuela. Nel 2007 si sono sommati Haiti, Honduras e Nicaragua, l'anno successivo il Guatemala, e nel 2014, El Salvador, arrivando ad un totale di 19.
[23] Grazie all'accordo, il Pil degli stati membri ha segnato nel periodo dal 2005 al 2012 una crescita complessiva del 24,3% arrivando a toccare i 355 miliardi di dollari, mentre nel solo 2014 si è attestata su un confortante +3%. http:// www.investireoggi.it/economia/il-venezuela-dimezza-gli-aiuti-a-cuba-e-agli-altri-membri-di-petrocaribe/?refresh_ce.
[24] Gli sviluppi dell'accordo hanno permesso l'esecuzione di 432 programmi sociali con un investimento di 3 miliardi e 944 milioni di dollari. http://italiano.prensalatina.cu/index.php?option=com_content&view=article&id=50017:petrocaribe-integrazione-energetica-con-un-modello-nuovo&opcion=pl-ver-noticia&catid=2&Itemid=203.
[25] A differenza degli altri membri di Petrocaribe, che pagano il greggio per metà, inviando per il resto materie prime, L'Avana non effettua alcun pagamento monetario, ma si limita ad inviare, sulla base degli accordi, personale medico e militare nel Venezuela. http://www.investireoggi.it/economia/il-venezuela-dimezza-gli-aiuti-a-cuba-e-agli-altri-membri-di-petrocaribe/?refresh_ce.
[26] La sentenza del giudice Griesa del 2012, confermata nel giugno 2014, dalla Corte Suprema Usa afferma che l’Argentina non può onorare i propri impegni con i creditori «exchange» (93% del totale) - quelli che accettarono le ristrutturazioni del debito del 2005 e 2010 - se prima non versa quanto dovuto agli hedge fund, che non hanno sottoscritto l’accordo di concambio. Un messaggio degli USA dichiara che il 30 luglio 2014 l'Argentina è caduta nel suo secondo default in 13 anni perché entro quella data non ha saputo risolvere una disputa legale in cui gli hedge fund devono ricevere dall’Argentina 1,3 miliardi di $ più interessi e si tratta del risarcimento sui bond sui quali l’Argentina è andata in default nel 2001. http://www.forexinfo.it/QUALE-SOLUZIONE-PER-I-BOND.
Una risoluzione Onu del settembre 2014 ha condannato l'operato degli hedge fund http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-09-26/tango-bond-argentina-incassa-ginevra-risoluzione-onu-contro-hedge-funds-174110.shtml?rlabs=1. 100 economisti statunitensi hanno espresso l'inutilità dell'operazione al Congresso Usa tramite un apposito documento. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-08-01/argentina-100-economisti-scrivono-congresso-usa-sentenza-rischio-inutile-la-finanza-mondiale--154153.shtml?uuid=ABxMTSgB.
[27] Oltre ai "golpe bianchi" di Honduras e Paraguay e la vicenda dei fondi speculativi Usa contro il governo argentino, emblematico è il caso del Venezuela ove facendo leva sul minor carisma del successore di Chavez, Nicolas Maduro, ad inizio 2014 è stata organizzata e finanziata dall'esterno l'opposizione di destra che ha così dato vita alla cosiddetta protesta delle "guarimbas", trascinando il paese sull'orlo della destabilizzazione politica e sociale, per poi ripiegare, una volta fallita questa strategia, sul tentativo di strangolamento economico-fianziario, facendo in modo, grazie alle compiacenti Petromonarchie del Golfo, di indurre la riduzione della quotazione del greggio (dimezzatosi a fine 2014 nel giro di pochi mesi) spingendo a un passo dalla bancarotta non solo il governo bolivariano (il petrolio rappresenta il 97% del totale dell'export venezuelano) ma anche la Russia (per ammorbidirne le posizioni in merito alla crisi ucraina) e l'Iran, in lotta con l'Arabia Saudita per l'egemonia regionale in Medio Oriente e per facilitare il conseguimento dell'accordo Iran-Usa sul nucleare, poi in effetti preliminarmente raggiunto il 2 aprile 2015 a Losanna. La strategia destabilizzante, accompagnata da una massiccia campagna mediatica su scala globale, è nuovamente ripresa, grazie all'appoggio internazionale, ai danni del governo Maduro addirittura con maggior violenza nell'aprile del 2017.