Andrea Vento (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)
Con questo titolo in prima pagina il New York Times ha presentato il video reportage sulla vendita all’Arabia Saudita di armi prodotte in Sardegna dall’azienda Rwm, su licenza della società proprietaria, la tedesca Rheinmetall Defence. Il prestigioso quotidiano newyorkese ha cercato tra le macerie delle case bombardate le tracce dei carichi di morte che partono dall’Italia, visto che le bombe della serie Mk8, sono identificabili dalle matricole A4447: una traccia ritrovata in 5 attacchi in Yemen contro i ribelli sciiti Houthi. In uno di questi raid, che colpiscono prevalentemente i civili, una bomba italiana ha centrato una casa sterminando un’intera famiglia che dormiva (Video 1).
Chiamato in causa, il Ministero degli Affari Esteri si è limitato ad emettere un breve comunicato, che ha immediatamente scatenato indignate reazioni: «L’Italia osserva in maniera scrupolosa il diritto nazionale ed internazionale in materia di esportazione di armamenti e si adegua sempre ed immediatamente a prescrizioni decise in ambito Onu o Ue. L’Arabia Saudita non è soggetta ad alcuna forma di embargo, sanzione o altra misura restrittiva internazionale o europea».
Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa di Brescia, ha invece precisato che "Il ministero si è ovviamente guardato bene dal dire che la legge italiana che regolamenta le esportazioni di armamenti non vieta solamente le forniture a Paesi sottoposti a misure di embargo, ma anche «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa» (Legge 185/1990). Inoltre, come certificato dal «Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen» trasmesso già nel gennaio scorso al Consiglio di Sicurezza dell'Onu (che ha ampiamente documentato l’utilizzo da parte dell’aeronautica militare saudita di bombe fabbricate dalla Rwm Italia per bombardare zone civili in Yemen), non solo questi bombardamenti sono vietati dalle convenzioni internazionali ma «possono costituire crimini di guerra». La Farnesina, prosegue Beretta, ha continuato a tacere riguardo alle tre risoluzioni adottate dal Parlamento europeo che hanno chiesto all’Alta rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, di «avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Ue di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita». Un’iniziativa sulla quale l’Alta rappresentante finora non ha proferito parola. Eppure nell’ultima risoluzione, del settembre scorso, l’europarlamento ha dichiarato che «le esportazioni all’Arabia Saudita violano almeno il criterio 2 della Posizione Comune europea visto il coinvolgimento del Paese nelle gravi violazioni del diritto umanitario accertato dalle autorità competenti delle Nazioni Unite». Ed ha ribadito «la necessità urgente di imporre un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita». Ma c’è di più, conclude Beretta, nella medesima risoluzione, il Parlamento europeo, dopo aver evidenziato che «la situazione nello Yemen si è ulteriormente deteriorata anche a causa delle azioni militari portate avanti dalla coalizione guidata dai sauditi», ha ricordato che «alcuni Stati membri hanno interrotto la fornitura di armi all’Arabia Saudita in ragione delle azioni da essa perpetrate nello Yemen, mentre altri hanno continuato a fornire tecnologie militari in violazione dei criteri 2, 4 6, 7 e 8 (della Posizione Comune europea)". Evidente l'imbarazzo del Ministero degli Esteri e del Governo che al momento non hanno fornito ulteriori dichiarazioni in merito.
Di cosa stia realmente accadendo in Yemen al cittadino medio italiano non è stata offerta l'opportunità di comprendere gran che, visto che la Rai ha scrupolosamente evitato di fornire significative notizie rispetto alla guerra che lacera il più povero in assoluto dei paesi arabi ormai da ben due anni e nove mesi. Fino ad oggi la Guerra in Yemen è stata descritta come un conflitto interno fra la minoranza sciita Houthi, fino a quel momento politicamente emarginata, ed il governo, espressione della maggioranza sunnita, di Hadi che, deposto da un colpo di Stato il 22 gennaio 2015, è stato costretto a riparare nella città di Aden e, tuttora riconosciuto presidente dalla comunità internazionale. Il conflitto interno ha riproposto la sempre più profonda frattura interna al mondo islamico fra sciiti, sostenuti dall'Iran, ed i sunniti, supportati dall'Arabia Saudita, canovaccio questo già sperimentato nelle guerre fratricide che hanno insanguinato l'Iraq e la Siria negli ultimi anni. In pratica una nuova guerra per procura, nella quale si sono tuttavia inseriti altri attori (Carta 1): Isis e Al-Qaeda nella Penisola Arabica, che hanno tratto vantaggio dello scontro interconfessionale per estendere il proprio controllo su un'ampia parte dello Yemen centrale, ed i separatisti del Sud, che mirano ad una nuova divisione del paese, dopo la riunificazione del 1990.
Carta n.1: la situazione sul campo nella guerra yemenita.
Alla luce dello scenario internazionale e delle ultime rivelazioni sul commercio di armi verso l'Arabia Saudita, secondo l'esperta di Medio Oriente Chiara Cruciati, sarebbe più opportuno definire il conflitto in atto una "aggressione contro la popolazione civile yemenita". Ciò a causa del coinvolgimento di numerosi paesi sunniti, in primis le Petromonarchie del Golfo, Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, seguiti da Giordania, Marocco, Senegal e addirittura Sudan, tutti riuniti nel Movimento Meridionale Coalizione a guida saudita, appoggiato e armato da Stati Uniti, Turchia, Francia, Regno Unito, Canada e Italia. Ed è proprio a questa coalizione che va imputata la grande maggioranza dei 13.600 morti, fra cui ben 5.000 bambini, provocati sin qui dal conflitto prevalentemente tramite bombardamenti aerei. Al triste conteggio vanno aggiunti 40.000 feriti, 3 milioni di sfollati interni e una situazione sociale drammatica con morti per fame e un'epidemia di colera in corso che secondo L'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha contagiato quasi 1 milione di persone. L'appoggio dei paesi Ue, degli Usa, del Canada e del Regno Unito (in pratica la Nato), secondo la giornalista Chiara Cruciati, a quella che si sta rivelando sempre più una guerra contro l'Iran, è riconducibile a vari fattori: il cospicuo business militare, la destabilizzazione continua del Medio Oriente ed il desiderio di «vendetta» per le vittorie belliche e diplomatiche di Teheran in Siria. Ed è proprio sul commercio d'armi che i paesi occidentali e l'Italia, in particolare, sono saliti sulla triste ribalta internazionale.
L'Arabia Saudita, nonostante i rilevanti problemi di bilancio pubblico, ha incrementato notevolmente le proprie spese militari negli ultimi anni: come riportato dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) nel 2017 si è posizionata al 4° posto nella graduatoria mondiale per gli acquisti di armamenti con la ragguardevole cifra di ben 62 miliardi di dollari, ormai ad un passo dalla Russia (69 mld $). Un incremento di spesa che vede in prima fila i paesi dell'Ue che dal 2012 "hanno moltiplicato il business militare verso l’Arabia Saudita, che da tre anni è il secondo importatore di armi al mondo dopo l’India, con un incremento del 212% tra il 2012 e il 2016 rispetto ai cinque anni precedenti".
Fra i principali fornitori di armamenti dopo Stati Uniti (di gran lunga in testa), Regno Unito, Francia e Germania, al quarto posto fra i paesi europei troviamo l'Italia che nel 2016 ha approvato 14,6 miliardi di euro di licenze di vendita totali (+85,7% rispetto al 2015 e +452% rispetto al 2014), di cui 427,5 milioni ai sauditi (a fronte dei 258 del 2015 e i 163 del 2014).
In complesso l’Arabia Saudita ha importato solo dall’Europa un totale di 790 milioni di dollari in armi nel solo 2016 e dal 2012 ha incrementato gli acquisti del 144% rispetto al quinquennio 2007-2011. A conferma che la svolta militarista di Riad riveste funzione di sostegno alla nuova politica interventista sia in forma diretta, come nel caso dello Yemen, sia indiretta, tramite forniture di armi a vantaggio della galassia di formazioni combattenti Jiiadhiste (Isis compreso) e integraliste, impegnate nei vari scenari dell'area mediorientale. Il Regno dei Saud, potenza regionale ormai affermata e leader dell'intero mondo sunnita, sembra deciso a tutto pur di bloccare, sia politicamente che militarmente, la crescente influenza iraniana nella macroregione, consolidatasi dopo la mancata caduta di Assad in Siria e il rafforzamento dell'Asse sciita che unisce Iran, Iraq e Siria agli Hezbollah libanesi.
Grafico n.1: le spese militari nei primi 18 paesi in miliardi di dollari. Fonte: Ispri 2017
L'azienda italiana è dunque finita sotto i riflettori internazionali facendo svelare il suo florido business di morte e addirittura i progetti di ampliamento del sito produttivo sardo come precisa Padre Alex Zanotelli su Altraeconomia: «In barba alla legge 185 che ce lo proibisce espressamente continuiamo a vendere le bombe prodotte dall’azienda Rwm all’Arabia Saudita, che le usa per bombardare lo Yemen, dov’è in atto la più grave crisi umanitaria mondiale secondo l’Onu. L’Italia, prosegue il frate comboniano, ha venduto armi anche al Qatar e agli Emirati Arabi, ordigni con cui quei paesi armano i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Africa. Siamo diventati talmente competitivi in questo settore che abbiamo vinto una commessa per costruire quattro corvette e due pattugliatori per il Kuwait per un valore di 40 miliardi». La Rwm (sede legale a Ghedi, in provincia di Brescia) è pronta ad ampliare lo stabilimento sardo: «L’iter per l’ampliamento, secondo Altraeconomia, è partito il 29 novembre scorso, quando la Rwm ha presentato una dichiarazione auto-certificativa allo sportello unico per le attività produttive del comune di Iglesias per realizzare un nuovo campo prove nella zona di San Marco. La notizia era stata ufficializzata lo scorso 9 maggio a Berlino da Armin Pappenger, amministratore delegato della Rheinmetall (la società tedesca che controlla Rwm) durante l’assemblea degli azionisti. Per l’ampliamento della fabbrica sono pronti investimenti per 40 milioni di euro».
Quella contro il commercio di armi è una battaglia che anche Papa Francesco ha intrapreso con coraggio da tempo, tant'è che il 2 giugno scorso, in uno dei suoi numerosi interventi su questo scottante tema, ha rimarcato che «Il mondo non ha bisogno di mercanti di morte che si arricchiscono con le guerre» ma evidentemente il suo autorevole appello non è arrivato di là dal Tevere visto che l'Italia, soprattutto con l'azienda a controllo pubblico Leonardo Spa, l'ex Finmeccanica, oltre alle varie private, continua ad alimentare produzione e commercio di armi[1], quindi guerre e morti innocenti. Con buona pace dell'articolo 11 della Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali".
*
Video n.1: inchiesta del New York Times https://www.youtube.com/watch?v=Gz4iLZ98lPE
Video n.2: “Bombe italiane, morti yemenite”: così titola il New York Times, che ha pubblicato online un video reportage sulla vendita all’Arabia Saudita di armi prodotte in Italia dalla tedesca Rwm (sede legale a Ghedi, Brescia) in uno stabilimento della Sardegna: a Domusnovas (Carbonia-Iglesias). Armi che verrebbero usate anche contro civili inermi nello Yemen, paese martoriato dalla guerra. Ma la questione non è nuova: già il 23 novembre 2015 un video che vi mostriamo, del Tg Rai regionale della Sardegna, spiegava la situazione e le relative polemiche.
https://www.youtube.com/watch?v=MDBSkV3lzQg
[1] Dal 1º gennaio 2016 in Leonardo-Finmeccanica sono confluite le attività delle società precedentemente controllate AgustaWestland, Alenia Aermacchi, Selex ES, OTO Melara e Wass e l'azienda è stata strutturata in 7 Divisioni operative: Elicotteri, Velivoli, Aerostrutture, Sistemi Avionici e Spaziali, Elettronica per la Difesa Terrestre e Navale, Sistemi di Difesa, Sistemi per la Sicurezza e le Informazioni.
Gli ordinativi di Leonardo Spa sono saliti dai 12.371 milioni di euro del 2015 ai 19.951 del 2016.