Uscire dall’euro è un anacronistico ritorno al nazionalismo o un passaggio necessario per ricostruire una vera solidarietà tra i lavoratori europei? Lo stato nazionale è un’anticaglia da relegare al museo della storia o il contesto all’interno del quale la democrazia e i diritti del lavoro possono essere difesi più efficacemente? Obiettivo di questo libro è rispondere a tali domande. Per farlo, l’autore ripercorre le ragioni dello scetticismo verso lo Stato nazionale e della diffusione del cosmopolitismo e dell’europeismo, dimostrando come l’integrazione europea sia nata e sia stata pensata in opposizione agli interessi popolari.
I trattati europei e l’euro si pongono in rotta di collisione con le Costituzioni antifasciste e con le garanzie democratiche e i diritti sociali che in oltre due secoli di storia e di lotte si sono concretizzati nello stato nazionale. Non è un caso, quindi, che si assista al trasferimento di alcune fondamentali competenze dello stato nazionale agli organismi sovrannazionali. La questione, dunque, è affermare non tanto la sovranità nazionale quanto difendere e allargare la sovranità popolare e democratica, contrastando così il progetto delle élites economiche e politiche delle nuove democrazie oligarchiche.
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I trattati europei e l’euro hanno ridotto la democrazia a mera ratifica delle decisioni di istituzioni sovrannazionali che nessuno ha votato. L’integrazione economica e valutaria europea ha realizzato l’esatto contrario di quello che prometteva: ha accentuato i divari economici e di potere tra i Paesi europei e le disuguaglianze all’interno di questi. In questo modo, insieme alla disoccupazione e alla povertà, il nazionalismo e la xenofobia si sono diffusi a livello di massa in Europa per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale. Per queste ragioni, uscire dalla gabbia dell’euro non significa assumere una posizione nazionalista o antistorica, al contrario è l’unica strada per ricostruire una connessione tra politica e lavoratori. E, soprattutto, è l’unica via per realizzare un concreto internazionalismo, cioè una strategia di difesa delle classi subalterne adeguata alle condizioni economiche e politiche di quest’epoca.