Giuliano Guzzone *

Nei cinque capitoli – due interamente inediti e tre ottenuti dalla rifusione di una serie di articoli precedentemente apparsi in rivista – e nell’appendice che compongono il suo ultimo libro, Friedrich Engels e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Giovanni Sgro’ ha raccolto, in forma sistematica e compiuta, i risultati della sua decennale ricerca intorno al pensiero teorico-politico dell’«ultimo Engels». Si tratta di una pubblicazione importante per svariate ragioni.

Dal punto di vista del metodo, essa testimonia l’importanza sempre crescente che il nesso tra filologia e filosofia è venuto acquisendo nella più recente storiografia filosofica, in Italia e all’estero: essa mostra, cioè, come il profilo di un autore anche “classico” possa porsi sotto una luce affatto nuova, come l’esegesi del suo pensiero possa esplicarsi lungo tracciati sensibilmente innovativi, anche rispetto ad una cospicua letteratura, come le precedenti interpretazioni possano acquisire fondamenta più salde qualora si disponga di un’edizione critica integrale, filologicamente accurata, delle sue opere e si consegua un rapporto più intimo e ravvicinato con la “materialità diveniente” del testo filosofico. Al nesso filologia-filosofia, del resto, lo stesso Sgro’ si è mostrato attento e sensibile anche in passato, in particolare nel suo precedente lavoro, MEGA-Marx. Studi sulla edizione e sulla recezione di Marx in Germania e in Italia (2016), che mostrava, in pagine di grande chiarezza ed efficacia, come l’avvio della nuova Marx-Engels Gesamtausgabe (1975) avesse alimentato una feconda Marx-Forschung; come, in altri termini, il rinnovamento, anche radicale, della base testuale tramandata dalla tradizione avesse dato luogo ad un ripensamento dei nodi più controversi e dibattuti del pensiero marxiano (dal rapporto Marx-Hegel al metodo della critica dell’economia politica; dalla forma di valore alla teoria dello Stato e delle classi).

Che, d’altra parte, il lavoro di ricerca di Sgro’ rappresenti non un fenomeno isolato, ma un’esperienza radicata in una tendenza più generale, peraltro non circoscritta ai soli studi marxiani ed engelsiani, si può evincere dal dialogo permanente che il suo libro più recente instaura con la consistente letteratura critica, italiana (Basso, Cingoli, Fineschi, Tomba, per fare solo alcuni esempi) e non[1], sviluppatasi nei dintorni del MEGA(2), nonché dalle affinità metodologiche che esso esibisce con l’approccio filologico-critico praticato, da circa un quarantennio a questa parte, nell’ambito degli studi gramsciani, sul duplice versante dell’edizione degli scritti di Gramsci e dell’interpretazione del suo pensiero[2]: analogie che si riscontrano soprattutto nell’attenzione dedicata ai “quaderni di appunti” di Engels, nella preliminare restituzione della engelsiana Dialettica della natura alla sua autentica natura di “cantiere aperto”, di opera in fieri, i cui materiali preparatori sono stati predisposti in un ordine cronologico non collimante con l’ordine sistematico ad essi conferito al momento della pubblicazione postuma (1925), e nel commento ravvicinato del Ludwig Feuerbach (1886), opuscolo di tenore non solo, o non tanto, teorico, ma anche e soprattutto «politico-culturale», profondamente ingaggiato nella lotta contro alcune tendenze revisionistiche serpeggianti nel movimento operaio (vero socialismo, socialismo idealistico o neokantiano) e contro le rispettive basi filosofiche (materialismo intuitivo-sensistico, positivismo, neocriticismo)[3].

Entrando più nel merito del libro che qui si recensisce, va subito detto che Sgro’ – a partire dalla ricognizione di una base testuale ben definita: le lettere e le opere engelsiane del periodo 1883-1895; le une in via di sistemazione nei volumi 26-35 della terza sezione del MEGA(2); le altre già raccolte nei volumi 30-32 della prima sezione del MEGA(2)[4] – fornisce un ritratto alquanto vivido e plastico dell’«ultimo Engels», dando risalto a ciò che la sua vicenda biografica e intellettuale, in particolar modo dopo la morte di Marx, esibisce di peculiare, di caratterizzante e di irriducibilmente individuale.

Innanzitutto, dalle pagine del libro di Sgro’ emerge un Engels che si presta con estrema riluttanza al ruolo di punto di riferimento teorico e politico dei maggiori partiti socialisti e socialdemocratici sorti, nell’ultimo quarto del XIX secolo, in Europa e in America, al punto da preferire il proprio «tranquillo esilio» londinese al fuoco delle lotte politiche tedesche; un Engels che accetta con grande abnegazione, ma anche con grande disagio e con perfetta coscienza dei propri limiti, l’ufficio di “esecutore testamentario” di Marx, di custode, difensore e prosecutore del suo pensiero, di curatore ed editore delle sue opere rimaste allo stadio di manoscritto; un Engels che sembra quasi rimpiangere la posizione di «secondo violino» che il sodalizio con Marx gli aveva, per lungo tempo, riservato. Nulla di più lontano dall’Engels «consapevolmente»[5] impegnato nella costruzione di un’ortodossia, nella «volgarizzazione» e nella sclerotizzazione dogmatica e dottrinaria della teoria critica di Marx: su questo punto, le pagine del secondo e del quinto capitolo del libro di Sgro’, dedicate a un commento ravvicinato delle lettere inviate da Engels a Bebel, Bernstein, Becker e Mehring all’indomani della scomparsa di Marx, nonché di alcune prefazioni che rievocano la divisione del lavoro vigente tra i due, risultano singolarmente efficaci e, per certi aspetti, definitive[6].

Un secondo aspetto della vicenda biografica e intellettuale di Engels sul quale Sgro’ si sofferma lungamente e distesamente è il rapporto con la figura e l’opera di Hegel: un rapporto – ricostruisce l’Autore nei capp. 1, 3 e 4 del suo libro – intrecciato negli anni delle formazione filosofica, interrotto nel 1845-1846, all’indomani della resa dei conti con la propria anteriore coscienza filosofica, ristabilito fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, con la meditazione della Filosofia della natura, dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche e della Scienza della logica, parallela agli studi svolti intorno alle scienze naturali, e definitivamente consolidato tra anni Settanta e Novanta, con l’adozione della categoria di “azione reciproca”, estrapolata dalle pagine hegeliane sulla dottrina dell’essenza, nella costruzione del sistema dialettico della natura e nella “difesa” e messa a punto teorica della concezione materialistica della storia[7].

Sgro’ è particolarmente esplicito nell’evidenziare la lineare coerenza che contraddistingue l’interpretazione engelsiana di Hegel e nel denunciare l’esito quasi paradossale cui perviene il progetto teorico fondato su tale interpretazione: per un verso, argomenta l’Autore, Engels rimarrebbe lungamente fedele alla tesi, di matrice giovane-hegeliana, secondo cui la dialettica, in quanto intrinsecamente e assolutamente “rivoluzionaria”, va separata dal lato conservatore della filosofia di Hegel (il sistema chiuso, culminante nel sapere assoluto), rovesciata di segno, ossia trasposta in una «scienza delle leggi del movimento in generale», e ritrovata nei nessi concreti e nei processi reali che caratterizzano il mondo della natura e quello della storia umana[8]; per un altro verso, questo approccio indurrebbe Engels a ripetere i risultati di Hegel, ossia a edificare una vera e propria filosofia della natura culminante, attraverso una serie di passaggi e stadi intermedi, nella «coscienza di sé e nel mondo esterno»[9], nonché a sottovalutare il ruolo giocato da Feuerbach nella critica radicale e nella rottura della tradizione filosofica tedesca.

Su questo punto, le pagine scritte da Sgro’, ancorché documentate e sommamente efficaci dal punto di vista espositivo, possono forse risultare lievemente meno originali di quanto ci si potrebbe attendere, dal momento che la sua tesi, secondo cui è Engels stesso, piuttosto che Feuerbach, a costituire con le sue opere mature, l’autentico punto d’approdo della filosofia classica tedesca[10], sembra riprendere ed echeggiare alcune più risalenti osservazioni di Lucio Colletti, relative alla continuità ravvisabile fra il giovanile Schelling und die Offenbarung (1842) e il più tardo Ludwig Feuerbach (1886), al sostanziale travisamento del materialismo feuerbachiano e infine all’inevitabile esito “romantico” del progetto engelsiano di un sistema dialettico della natura[11]. Lo stesso Autore riconosce, del resto, la fondatezza di tali osservazioni: ciò non toglie che esse acquisiscano, grazie alle indagini svolte nel libro qui in esame, un riscontro testuale, un’obiettività e una serenità di giudizio che Colletti non era riuscito a conseguire, anche a causa del contesto storico, caratterizzato da forti contrapposizioni politico-culturali e ideologiche, in cui le sue pagine erano state scritte.

Una valutazione analoga si può forse dare anche delle pagine che Sgro’ dedica ad un terzo aspetto della biografia intellettuale dello Engels maturo, ossia l’inassimilabilità del progetto teorico da lui inaugurato tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in concomitanza con l’accennata (ri)scoperta dei testi filosofici hegeliani, a quello avviato da Marx fin dal principio del suo esilio londinese, con la ripresa degli studi di economia politica. In questo caso, il libro di Sgro’ si discosta sensibilmente dalla tesi della sintonia e dell’accordo, in Italia sostenuta, tra gli altri, da Prestipino, e si ricollega, da un lato, alle riserve avanzate già da Gramsci (ma, prima ancora, da Mondolfo)[12] in merito all’inconsistenza del mito della perfetta identità di vedute politiche e teoriche fra i due «fondatori della filosofia della praxis»; dall’altro, alla tesi di Colletti, secondo cui la differenza fondamentale tra Marx ed Engels risiederebbe proprio nell’opposta concezione della dialettica: all’applicazione acritica della dialettica hegeliana ut talis al mondo naturale farebbe riscontro, da parte di Marx, la distinzione fra il “nocciolo razionale” e il “guscio mistico”, tra la figura cui la dialettica deve soggiacere quando sia dialettica idealistica (e dunque «aprioristica») e quella che essa deve guadagnare quando le “cose” intervengano concretamente a strutturarla[13]. Tuttavia, per quanto concerne quest’ultimo punto, il libro di Sgro’ non si limita a corroborare e a sistematizzare alcune acquisizioni della lettura dellavolpiana e collettiana, ma sembra patirne, almeno in una certa misura, i limiti. Infatti, l’Autore argomenta, in primo luogo, che già nella Critica del diritto statuale hegeliano (1843) sia rintracciabile un’analisi materialistica di quelle contraddittorie strutture economico-sociali delle quali l’impalcatura concettuale hegeliana, con l’inversione di soggetto e predicato che la contraddistingue, costituisce l’immagine ideologica e mistificante; in secondo luogo, che vi sia continuità fra questa critica giovanile e la più matura Critica dell’economia politica[14]. Al di là della valutazione che si voglia dare del Poscritto e dell’Appendice al Capitolo I.1 su La forma di valore (quest’ultima peraltro soppressa nelle successive edizioni del Capitale), in cui effettivamente l’eco della critica giovanile risuona con nettezza[15], le due tesi non possono che suscitare la perplessità del lettore. La loro esposizione avrebbe forse richiesto un confronto più ravvicinato con quella letteratura (rappresentata, in Italia, da Roberto Finelli) la quale ha mostrato come, nel manoscritto di Kreuznach, la critica del significato e della funzione ideologica dell’astrazione si accompagni ad una concettualizzazione della società civile ancora inadeguata e, per certi aspetti, arretrata rispetto a quella offerta da Hegel con il suo “sistema dei bisogni”[16]; e come, per contro, la messa a tema della categoria e della realtà della “forza-lavoro” capitalistica, a partire dagli anni Cinquanta, rappresenti uno spartiacque nel rapporto di Marx con Hegel, ponendo fra i due una distanza filosofica ed epistemologica che non è dato di ravvisare nelle opere giovanili[17].

Una lettura sostanzialmente continuista del pensiero marxiano emerge anche dalle pagine che Sgro’ dedica, al principio del cap. 4 del suo libro, alle risposte date da Marx ai suoi critici nel decennio 1867-1877[18]. Si intende dire che, in queste pagine, risultano sensibilmente attenuate e sfumate le differenze ravvisabili tra ciò che Marx scrive nel 1867 a proposito del materialismo storico (riaffermandone, di fatto, la validità in tutte le epoche)[19] e ciò che egli scrive un decennio più tardi a proposito della Critica dell’economia politica, in particolare del controverso capitolo sull’accumulazione originaria (circoscrivendone, al contrario, la validità entro condizioni storiche rigorosamente determinate)[20]: differenze che pure emergono da un confronto fra i testi addotti da Sgro’ e che, a parere di chi scrive, sono da ricondurre all’opposizione tra due paradigmi, uno di filosofia della storia e uno di scienza della storia[21], compresenti e interagenti, in maniera problematica, nell’opera del Marx maturo, non riducibili l’uno all’altro, e certo non suscettibili di essere “difesi” alla luce di una medesima strategia argomentativa.

Un rilievo analogo si può forse muovere anche nei riguardi dell’Appendice, dedicata al rapporto storia-natura in Marx[22]: in questa sezione del suo libro, peraltro notevolmente impegnata dal duplice punto di vista dell’esegesi e del confronto con la letteratura critica italiana e straniera, Sgro’ sembra collocare le pagine del Capitale sulla sussunzione del lavoratore e della terra entro il processo capitalistico di produzione[23] nell’orizzonte delle vicissitudini del Gattungswesen, del susseguirsi di perdite e riappropriazioni di un’essenza data una volta per tutte, attenuando, di nuovo, le differenze e le discontinuità che si producono attraverso la continuità di un certo motivo (in questo caso, la «compresenza» e la «complementarità» reciproca di storia e natura) per effetto del distacco di Marx dal suo giovanile feuerbachismo.

Queste riserve, che qui si formulano al solo scopo di alimentare una discussione costruttiva, non incidono minimamente sul riconoscimento dei grandi meriti del libro sin qui esaminato, che consistono nel riaprire il dibattito su continuità e discontinuità nello sviluppo del pensiero marxiano, fornendo agli studiosi nuovi strumenti metodologici per affrontarlo, e nel riproporre energicamente la questione dell’attualità di Marx, degli effetti critici e conoscitivi proiettati dalla sua eredità teorica sul nostro presente. L’unità di filologia e filosofia, che contraddistingue l’odierna Marx-Forschung, non nega tale attualità, ma ne rinnova il significato e ne aumenta sensibilmente la dirompenza.

 

* Recensione a Giovanni Sgro’, Friedrich Engels e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Orthotes, Napoli-Salerno 2017, pp. 183.

[1] Per una rassegna del dibattito tedesco, cfr. R. Fineschi, Un nuovo Marx. Filologia e interpretazione dopo la nuova edizione storico-critica (MEGA(2)), Carocci, Roma 2008, pp. 9-79.

[2] Il primo a introdurre, codificare e applicare sistematicamente l’approccio filologico-critico, o storico-genetico, è stato G. Francioni, Per la storia dei «Quaderni del carcere», in Politica e storia in Gramsci, a cura di F. Ferri, Editori Riuniti, Roma 1977, vol. II, pp. 369-394; Id., L’officina gramsciana. Ipotesi sulla struttura dei «Quaderni del carcere», Bibliopolis, Napoli 1984, pp. 15-146, ma alla sua messa a punto hanno contribuito anche gli studi di Michele Ciliberto, Franco De Felice e Luisa Mangoni sulla “diacronia” di alcune categorie gramsciane. Una rassegna ragionata della letteratura sviluppatasi sulla base di tale approccio si trova in G. Vacca, Modernità alternative. Il Novecento di Antonio Gramsci, Einaudi, Torino 2017, pp. 3-19.

[3] Sgro’, Friedrich Engels e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, cit., pp. 25, nota 9, 30-31, 65-69.

[4] Il piano del MEGA(2), col dettaglio dei volumi già pubblicati e di quelli in preparazione, si trova qui: http://mega.bbaw.de/struktur.

[5] L. Colletti, Il marxismo e Hegel, Laterza, Bari 1969, pp. 87-111: 97.

[6] Cfr. Sgro’, Friedrich Engels, pp. 55-60, 122-125.

[7] Ivi, pp. 21-27, 30-47, 69-84, 112-115.

[8] F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Editori Riuniti, Roma 1972, pp. 21, 58; Id., Dialettica della natura, in K. Marx, F. Engels, Opere, vol. XXV, a cura di F. Cordino, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 315-590: 490.

[9] F. Engels, Anti-Dühring, in Marx, Engels, Opere, vol. XXV, pp. 1-314: 108-109.

[10] Sgro’, Friedrich Engels, pp. 9, 151.

[11] Colletti, Il marxismo e Hegel, pp. 88-102.

[12] La constatazione delle «diversità notevoli di tendenze e atteggiamenti dell’ingegno» tra Engels e Marx dà l’abbrivo all’indagine di R. Mondolfo, Il materialismo storico in Federico Engels, La nuova Italia, Firenze 1952, pp. 1-2.

[13] Colletti, Il marxismo e Hegel, pp. 100, 112-145. Sull’importanza del rinvio alle opere filosofiche giovanili contenuto nel Poscritto (1873) alla seconda edizione tedesca del Capitale e sull’insufficienza della concezione engelsiana della dialettica, cfr. anche G. Della Volpe, Marx e il segreto di Hegel (introduzione ad alcuni problemi di filologia marxista), in Id., Per la teoria di un umanismo positivo. Studi e documenti sulla dialettica materialista, Zuffi, Bologna 1949, pp. 9-18.

[14] Cfr. Sgro’, Friedrich Engels, pp. 132-144: 138-140.

[15] Cfr. K. Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Libro primo, a cura di R. Fineschi, La città del sole, Napoli 2004, pp. 21-22, 1087-1088. Si segnala, tra parentesi, che il riferimento alle pagine dell’Appendice nell’edizione del Libro primo del Capitale curata da Fineschi (pp. 1079-1103) è riportata in maniera erronea da Sgro’ (Friedrich Engels, p. 139, nota 41)

[16] R. Finelli, Un parricidio mancato. Hegel e il giovane Marx, Bollati Boringhieri, Torino 2004, pp. 278-289: 282-286. Ma si veda anche il poderoso commentario a K. Marx, Critica del diritto statuale hegeliano, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1983, pp. 473-694. Sulla problematicità della lettura dellavolpiana della Kritik, cfr. Id., Della Volpe e la «Kritik» del 1843 di Marx, in Galvano Della Volpe. Un altro marxismo, a cura di G. Liguori, Fahrenheit 451, Roma 2000, pp. 59-70.

[17] R. Finelli, Un parricidio compiuto. Il confronto finale di Marx con Hegel, Jaca Book, Milano 2014, pp. 150-172.

[18] Sgro’, Friedrich Engels, pp. 103-110.

[19] Cfr. Marx, Il capitale, p. 93, nota 33.

[20] Cfr. K. Marx, Lettera alla redazione degli «Otečestvennye Zapiski» (1877), in K. Marx, F. Engels, V. I. Lenin, Sulle società precapitalistiche, scelta e prefazione di M. Godelier, Feltrinelli, Milano 1970, pp. 284-7.

[21] Cfr. Finelli, Un parricidio compiuto, pp. 108-112, 188-200.

[22] Sgro’, Friedrich Engels, pp. 155-171.

[23] Marx, Il capitale, pp. 548-551.

 

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