Gabriele Borghese
Il presente testo costituisce una sintesi degli argomenti affrontati nel corso delle tre giornate di seminari tenuti da Domenico Losurdo dal 4 al 6 dicembre 2017 a Napoli, presso l’Istituto italiano per gli Studi Filosofici. Durante il seminario Losurdo concentrò l’attenzione, oltre che sul bilancio storico della Rivoluzione d’Ottobre, anche su punti più prettamente teorici della filosofia marxista, tra i quali il dibattito che si è sviluppato nel Novecento riguardo alla concezione dello sviluppo delle forze produttive e alla relazione che questo sviluppo ha con la natura; e la definizione operata da Marx ed Engels del socialismo scientifico rispetto alle altre correnti utopiche del socialismo.
Le considerazioni di merito presentate nel testo seguente intendono tutte riferire il ragionamento di Losurdo, non sono giudizi o conclusioni dell’autore di questo testo.
Nella prima giornata di seminari intitolata Decrescita o sviluppo delle forze produttive, Losurdo ha trattato da un punto di vista critico la posizione di Serge Latouche, che ha sostenuto l’idea della decrescita felice (S. Latouche – 2006, Le pari de la décroissance) in contrapposizione alla teoria di Marx, che invece poneva l’enfasi proprio sullo sviluppo delle forze produttive considerandolo decisivo per la propria teoria della rivoluzione. Secondo Latouche non sarebbe sostenibile, anche dal punto di vista ecologico, una nuova crescita impetuosa del PIL. In quest’ottica non è opportuno seguire Marx che criticava il modo di produzione capitalistico perché esso blocca lo sviluppo delle forze produttive e distrugge la ricchezza sociale. La teoria marx-engelsiana infatti non pone l’accento tanto sul problema della redistribuzione della ricchezza prodotta quanto sul modo con cui la ricchezza viene prodotta, e dunque sulla messa in discussione dei rapporti sociali entro i quali la produzione si svolge. Il capitalismo secondo Marx ed Engels deve essere superato non soltanto perché esso crea una diseguale distribuzione della ricchezza e una polarizzazione crescente della società, ma soprattutto per il fatto che ostacola la produzione della ricchezza sociale, spesso distruggendola. Marx ed Engels dimostrano questa tesi facendo riferimento alle ricorrenti crisi economiche, alle guerre scatenate dal capitalismo, ma anche in relazione alla natura: la distruzione della ricchezza naturale attraverso l’inquinamento è una caratteristica del modo di produzione capitalistico. Nella loro ottica, dunque, anche la natura deve essere salvata dal capitalismo. Si può comprendere quanto il pensiero dei due autori del Manifesto fosse più avanzato di quello di altri autori a loro contemporanei, anche dal punto di vista della salvaguardia dell’ambiente, se si considera che ad esempio Herbert Spencer riteneva – ironizzando sui primi movimenti ecologisti – che se si dovesse attribuire allo Stato il compito di intervenire contro gli scarichi inquinanti delle industrie, non gli si sarebbe potuta negare neppure la competenza sulla «salute spirituale della nazione» (H. Spencer - 1843, The proper sphere of government).
Un secondo punto su cui Losurdo ha posto l’attenzione riguarda il ruolo che la tematica ecologica ha spesso svolto nei periodi di riflusso dei movimenti politici rivoluzionari. Nel 1803 Friedrich Schiller aveva cantato «Solo sui monti è libertà!» (F. Schiller – 1803, Die Braut von Messina) e secondo lui era da considerare felice solo chi vive nel silenzio della campagna, appoggiato con abbandono infantile al «petto della natura». Questa ideologia della natura che Marx ed Engels avrebbero odiato, svolge per Losurdo un ruolo reazionario, in quanto si pone in contrasto con una politica che potrebbe cambiare effettivamente il modo di produzione che incide sulla salvaguardia della natura stessa. Anche Hegel espresse giudizi dissacranti contro coloro che difendevano la bellezza del paesaggio naturale rispetto alla miseria e alle catastrofi del mondo politico. L’autore della Fenomenologia dello Spirito, respingendo ogni evasione consolatoria dalle contraddizioni e dai conflitti del mondo politico aveva sottolineato: «Ciò ch’è prodotto dalla ragione umana dovrebbe avere almeno la stessa dignità di ciò che è prodotto dalla natura» (in D. Losurdo – 1997, Hegel e la Germania, cap. X, § 5).
L’atteggiamento “ascetico” di Schiller era stato condiviso anche da Feuerbach quando deluso dalla Rivoluzione del 1848 in cui aveva riposto tutte le sue speranze, fece propria l’esclamazione di Cicerone «sunt omnia omnium miserarium plenissima» (L. Feuerbach – 1850, Die Naturwissenschaften und die Revolution) con riferimento al mondo politico. Feuerbach esprimeva in questo modo una fuga dal mondo politico e un ritorno alla natura. Secondo Losurdo questo è quasi un avvenimento ciclico: in seguito ad ogni rivoluzione fallita viene dichiarata la dannosità della politica e l’invito ad un ritorno al mondo naturale scevro da ogni iniziativa politica ed etica. Come però Marx ed Engels affermano nell’Ideologia tedesca non esiste un luogo sulla terra che non sia stato già contaminato dall’uomo. Se è vero che in fondo la celebrazione della natura incontaminata in contrapposizione al mondo politico è caratteristica di ogni epoca in cui predomina la delusione per la precedente rivoluzione, come testimoniano le posizioni di Schiller nel 1803 (dopo la Rivoluzione Francese) e di Feuerbach (dopo la Rivoluzione del 1848), si capisce che ai giorni nostri le delusioni suscitate dalla sconfitta dei movimenti comunisti nati dalla Rivoluzione d’Ottobre diano fiato a coloro che invocano il ritorno alla natura o che predicano la decrescita.
La teoria della decrescita si fonda sull’assunto che la natura ci fornisce soltanto risorse finite e limitate e proprio per questo non è possibile uno sviluppo infinito. Secondo Losurdo non si tratta di una posizione innovativa, dal momento che sembra riprendere la teoria della popolazione di Malthus.
In realtà l’assunto da cui muove la teoria della decrescita è falso come dimostrano gli sviluppi storici della Cina e dell’India che hanno conosciuto nel Novecento un grande sviluppo della ricchezza sociale. Non è neppure vero che il petrolio e il carbone, cioè le risorse necessarie per mettere in moto l’industria, si siano esaurite. Quando si dice che la natura pone solo delle risorse limitate si parte in realtà da una premessa errata, perché le risorse di cui dispone l’umanità non sono solo le risorse naturali, ma è da considerarsi tra queste anche l’inventiva dell’uomo. L’uomo con la sua creatività e col suo spirito d’innovazione e di invenzione è in grado di sopperire anche alla ristrettezza delle risorse naturali. Già nei Grundrisse e in particolare nel Frammento sulle macchine contenuto in quest’opera, Marx affermava che la modalità con cui si produce la ricchezza della società capitalistica fondata sul furto del lavoro altrui, sarebbe divenuta a un certo punto obsoleta perché la tecnologia può arginare proprio il problema della scarsità delle risorse rendendo accessibili ad ogni uomo i beni di cui necessita per vivere. In questo senso è necessario ribadire secondo Losurdo che la teoria della decrescita è una critica delle rivendicazioni del Terzo Mondo così come la teoria malthusiana fu una critica delle rivendicazioni portate avanti dalla Rivoluzione Francese.
Marx ed Engels affrontarono la questione ecologica in un momento nel quale essa non era ancora sorta con forza. Persino nel Capitale si può trovare la tesi che nessuno può pretendere di possedere la natura, e che questa idea del possesso della natura si sarebbe prima o poi rivelata folle, così come si è rivelata folle l’idea degli schiavisti di possedere degli schiavi. Marx iniziò la sua attività di filosofo con i Manoscritti economico-filosofici del 1844, nei quali affermava che l’umanismo è al tempo stesso naturalismo e non vi potrà essere nessuna filosofia veramente umanistica che non tenga conto delle caratteristiche naturali dell’uomo. Nella teoria di Marx, secondo Losurdo, la storia dell’uomo coincide con la storia del lavoro inteso come ricambio organico dell’uomo con la natura, e le modalità con cui questo ricambio si attua mutano storicamente. Secondo l’ideologia della decrescita invece l’unico modo di ottenere la salvaguardia della natura si ottiene semplicemente diminuendo la quantità di beni da produrre, cioè interrompendo lo sviluppo delle forze produttive, facendo regredire il livello di sviluppo economico a un livello ritenuto più sostenibile. Ponendo il problema in questi termini però non si tiene conto del lato oggettivamente positivo della scienza, dell’applicazione della scienza alla produzione e delle capacità umane di sviluppare le forze produttive in modo positivo per la società.
In questo modo nella teoria marxista è possibile edificare una società non capitalistica capace di gestire in modo differente la produzione, superando la distruzione di ricchezza sociale e le devastazioni che si generano nel modo di produzione capitalistico. La teoria della decrescita, in altre parole, non distingue tra industria e uso capitalistico dell’industria, finendo per additare come negativo lo stesso sviluppo storico umano. Dunque l’ideologia della decrescita produce il contrario di quello che in teoria pretende di raccomandare, e cioè separa il destino dell’uomo da quello della natura.
C’è poi un testo di importanza fondamentale, La critica del programma di Gotha, nel quale Marx critica la tesi secondo cui “la fonte di ogni ricchezza è il lavoro umano”, egli sosteneva invece che non è solo il lavoro che produce la ricchezza in quanto è la natura che genera i valori d’uso. La posizione di Latouche è inoltre errata perché separando il destino dell’uomo da quello della natura non tiene conto del problema della guerra, trascurando il fatto che proprio le guerre degli ultimi cento anni sono state responsabili di grandi devastazioni ambientali. In questo senso voler separare il destino dell’uomo dal destino della natura è secondo Losurdo donchisciottesco e criminale, per il fatto che un nuovo conflitto mondiale provocherebbe distruzioni immani anche per quanto riguarda l’ambiente naturale. Ad esempio durante la guerra in Vietnam l’esercito e l’aviazione statunitense hanno utilizzato armi defolianti che hanno contaminato profondamente la natura e anche i bambini che nascono e crescono in quel territorio crescono malati a causa delle contaminazioni. Oggi gli sviluppi politici e anche i crescenti pericoli di guerra dimostrano con chiarezza lo stretto nesso tra lotta politica e lotta per la difesa per l’ambiente. Se si intende leggere la prima difesa accorata dell’ambiente, e un’analisi dell’effetto del capitalismo sulla natura, queste riflessioni si trovano già in un’opera del 1845 e cioè La situazione della classe operaia in Inghilterra di Engels. Mettendo in luce i disastri ambientali del sistema capitalistico Engels è giunto a dimostrare la tesi secondo la quale la lotta per l’emancipazione che i proletari conducono è benefica per l’umanità nel suo complesso, compresi gli stessi borghesi.
La seconda giornata di seminari ha avuto per tema: Marx, la Rivoluzione scoppiata in suo nome e il problema della libertà. Secondo Losurdo la rivoluzione anticolonialista mondiale è stata una delle conseguenze della Rivoluzione d’Ottobre. L’ideologia del razzismo era una ideologia che per tanto tempo ha avuto un grande successo ed è stata addirittura ritenuta come una visione scientifica della storia. La rivoluzione anticolonialista mondiale ha avuto profonde influenze anche in Occidente, ad esempio negli Stati Uniti. Per tanto tempo negli Stati Uniti i neri sono stati posti in schiavitù e poi assoggettati dalla white supremacy e solo dopo la Rivoluzione d’Ottobre i militanti neri hanno reagito in modo netto.
La Rivoluzione d’Ottobre ha rappresentato una svolta anche sul piano della filosofia morale, se per morale infatti intendiamo quello che intendevano Kant ed Hegel. Secondo Kant notevole importanza risiede nell’universalità del precetto morale: “ogni uomo deve essere trattato come fine in sé e non come mezzo”; per quanto riguarda Hegel, egli ha insistito nell’inquadramento della storia umana come progresso morale e questa è la costruzione del concetto universale di uomo, per cui viene sussunto sotto questa categoria ogni uomo, che viene considerato titolare di diritti. Persino grandi filosofi come Platone e Aristotele non erano in grado di elevarsi al concetto di uomo perché esisteva la schiavitù che era sinonimo di reificazione dell’uomo. Secondo Hegel la schiavitù è il crimine assoluto, qualcosa di peggiore anche dell’assassinio, perché quest’ultimo è sì la negazione delle caratteristiche umane della vittima ma è episodico e può essere conseguenza della collera, mentre invece la schiavitù è un’istituzione che ha un carattere stabile. Tra Ottocento e Novecento Houston Chamberlain, autore di riferimento per i nazisti, scrive che l’Ottocento è stato il «secolo delle colonie e delle razze» e che a credere all’affratellamento universale degli uomini e a credere che gli uomini abbiano un’unica origine sono rimasti solo i «socialisti» (H. Chamberlain – 1898, Die Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts, p. 33). Per Chamberlain le rivendicazioni della Rivoluzione francese liberté - égalité - fraternité, erano slogan privi di riscontro concreto. Ma l’Ottocento è stato il secolo della dissoluzione del concetto universale di uomo e sarebbe difficile dare torto a Chamberlain quando traccia questo bilancio storico dell’Ottocento.
Losurdo si è inoltre soffermato sul concetto di “serietà del negativo”. Riallacciandosi ad Hegel è possibile considerare insipida ogni filosofia della storia che non prenda in considerazione la serietà del negativo. Spesso invece si ignora la serietà del negativo che è propria dell’Ottocento. Si tratta di riscrivere tutta la storia alla luce di questo concetto. Quando per esempio spesso si dice che gli USA sono la più antica democrazia del mondo (è un common sense negli USA), come dichiarano anche Hannah Arendt e Toni Negri, la decimazione dei pellerossa e la schiavizzazione dei neri non vengono prese in considerazione. Quando Arendt dice che la Rivoluzione Francese è stata eccessivamente sanguinosa in confronto a quella americana fa riferimento solo alla comunità bianca, perché la tragedia degli indiani è cominciata proprio con la Rivoluzione Americana, dal momento che gli Inglesi avevano interesse ai territori abitati dagli indiani per il commercio delle materie prime, mentre con la Rivoluzione Americana si sviluppa l’interesse per la proprietà della terra, la consacrazione della proprietà della terra.
Losurdo inoltre si è soffermato sulla “falsa dialettica” che è stata talvolta instaurata – ad esempio da teorici del liberalismo come Norberto Bobbio - tra liberalismo e comunismo come dialettica tra chi intende promuovere la libertà e chi invece intende dare precedenza all’uguaglianza. Un esempio che smentisce questa teorizzazione di Bobbio è dato dalla questione della schiavitù. Il conflitto tra i proprietari di schiavi e gli schiavi stessi è infatti un conflitto tra due libertà, cioè tra la libertà del padrone di possedere gli schiavi e quella degli schiavi di essere liberi proprio da questa forma di soggezione. La Rivoluzione Francese viene letta negativamente dai proprietari di schiavi in quanto il potere politico e il sovrano non dovrebbero avere alcun diritto di intervenire sulla proprietà, in questo caso sulla proprietà di schiavi. I padroni degli schiavi interpretano la liberté come un intervento per limitare l’istituto della schiavitù e rivendicano dunque la loro libertà di possedere degli schiavi. Questo fa emergere una contraddizione nella stessa concezione borghese e liberale della libertà. Secondo Losurdo se ne accorse anche un autore liberale come Adam Smith che nelle Lezioni sulla giurisprudenza formulò una condanna della schiavitù sostenendo che è più facile che questa venisse abolita da un governo dispotico piuttosto che da un governo libero, proprio perché egli guardava a quello che accadeva alle colonie inglesi americane. Smith aveva compreso una cosa essenziale e cioè che in condizioni storiche concrete ci può essere il conflitto delle libertà, non si tratterebbe cioè di scegliere tra libertà e dispotismo ma tra libertà e libertà. La libertà dei proprietari di schiavi sancisce la schiavitù dei neri, mentre la libertà dei neri sancisce la coazione dei proprietari di schiavi a rinunciare alla loro proprietà. Anche per Hegel si tratta di questo conflitto tra due libertà. Ciò è colto nel § 127 dei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel. Secondo Hegel coloro i quali rischiano di morire di inedia si trovavano in una “totale mancanza di diritti” (totale Rechtlosigkeit). Hegel non nega il diritto di proprietà, però riconosce che può verificarsi una situazione in cui c’è un conflitto tra due diritti ugualmente legittimi: da un lato la tutela della proprietà, dall’altro il diritto alla sopravvivenza come uomini per coloro che rischiano la morte per inedia. Hegel conclude che questi ultimi hanno un diritto assoluto a rubare il pezzo di pane che consente loro la sopravvivenza. I proprietari che si vedono sottratto il pezzo di pane subiscono una violazione limitata (sul piano logico un “giudizio negativo finito”), laddove chiedere a coloro che non riescono a mangiare di rinunciare al loro pezzo di pane significherebbe violare la loro possibilità di restare in vita come uomini (sul piano logico un “giudizio negativo infinito”). Uno è un diritto relativo e l’altro è un diritto assoluto. Non si tratta dunque di scegliere tra libertà ed eguaglianza, ma si tratta di una scelta tra due libertà.
Questo ragionamento di Hegel è straordinariamente efficace secondo Losurdo perché dimostra la non veridicità della dialettica tra “libertà” ed “eguaglianza” di cui si è detto più sopra. Secondo Losurdo quando Marx ed Engels teorizzano la dittatura del proletariato non argomentano in modo sostanzialmente diverso da Hegel, tenendo ben in conto la serietà del negativo. Non c’è nessuna sottovalutazione della causa della libertà, anzi Hegel sottolinea la causa della necessità, del diritto dell’affamato ad assicurarsi la sussistenza non in forza dell’uguaglianza ma in forza della libertà. Losurdo infine cita storici e autori liberali che erano a conoscenza delle condizioni estremamente negative in cui versavano gli uomini nelle colonie. Gustave de Beaumont amico e compagno di Tocqueville nel corso del viaggio in America parla a proposito dell’Irlanda di «un’oppressione religiosa che supera ogni immaginazione»; le angherie e le sofferenze imposte dall’Impero britannico dimostrano che «nelle istituzioni umane è presente un grado d’egoismo e di follia di cui è impossibile definire il confine» (G. Beaumont – 1839, L’Irlande sociale, politique et religieuse). In sostanza per la metà dell’Ottocento l’esempio massimo di follia a cui è arrivato l’essere umano è testimoniato dalla condizione in cui versa la popolazione irlandese. Anche lo storico liberale britannico Macaulay a metà dell’Ottocento richiamava l’attenzione sulle condizioni imposte dall’Inghilterra all’India nei momenti di crisi, definendolo un «regno di terrore» rispetto al quale «tutte le ingiustizie dei precedenti oppressori, asiatici ed europei, apparivano come una benedizione» (T.B. Macaulay - 1850, Critical and Historical Essay, vol. 4, pp. 273-274). Anche da questa testimonianza noi possiamo concludere che l’eliminazione della schiavitù è un capitolo della storia della libertà.
L’ultima sessione di seminari ha avuto come tema L’idea di socialismo: ritornare all’utopia o completare il percorso che conduce dall’utopia alla scienza?. Losurdo si è soffermato su alcuni autori del marxismo occidentale che hanno fatto ricorso all’utopia per spiegare il passaggio dal capitalismo al comunismo, spesso criticando l’Unione Sovietica e la Cina comunista per non aver compiuto l’abolizione dello Stato. Maurice Merleau-Ponty nel 1955 affermava che il marxismo occidentale cercava il futuro post-capitalistico come un “Altro assoluto”, qualcosa di assolutamente differente rispetto alla società capitalistica. In Oriente il marxismo al potere, in Unione Sovietica e Cina, cercava di accelerare lo sviluppo economico in modo da colmare il ritardo rispetto ai paesi capitalistici più avanzati. Merleau-Ponty notava quindi una netta divaricazione tra il marxismo occidentale e quello orientale. Il problema da indagare riguarda il rapporto tra il capitalismo e la società post-capitalistica. Il Manifesto del Partito Comunista tesse un grande elogio del sistema capitalistico, affermando che i miracoli prodotti dal capitalismo sono infinitamente superiori all’edificazione delle piramidi, anche se esso è da superare ed è da abbattere proprio perché rischia con le sue crisi di distruggere gli stessi miracoli che ha prodotto. Il rapporto tra il capitalismo e il post-capitalismo nella teoria di Marx è un rapporto comprensibile grazie al concetto hegeliano di Aufhebung e questo rapporto esige di conservare il meglio del sistema sociale da superare e da liquidare. In questo senso l’opuscolo che invita ad abbattere il capitalismo è al tempo stesso l’opuscolo che ne traccia un elogio, seppure funebre. Alcuni interpreti che hanno formulato il passaggio dal capitalismo al modo di produzione post-capitalistico come un salto verso un “Altro assoluto”, hanno tratto spunto secondo Losurdo da un momento contraddittorio della teoria di Marx ed Engels. In particolare nella Critica del Programma di Gotha, è citata l’abolizione dello stato, che indica un processo per il quale ad un certo punto dileguerebbero le classi sociali e gli stati, compresi i confini nazionali. Secondo questa interpretazione sembrerebbero talvolta superati, o destinati ad essere superati, nella società post-capitalistica, i rapporti mercantili e i rapporti fondati sul denaro. Insomma sembra esserci una trasfigurazione totale. In questa interpretazione il rapporto tra capitalismo e post-capitalismo non è più un rapporto di Aufhebung hegeliano, ma è qualcosa che rinvia alla teologia più che alla politica. Spesso infatti la teologia ha definito Dio come l’“Altro assoluto” rispetto al mondo umano e terreno. Secondo Losurdo a partire dalla carneficina della Prima Guerra mondiale si diffonde in Occidente un marxismo di tipo messianico, che mira a realizzare l’altro assoluto rispetto all’esistente. Walter Benjamin aveva scritto alla vigilia del suo suicidio nel 1940 le Tesi di filosofia della storia e nella Tesi XVIII criticava l’evoluzionismo dei socialisti tedeschi che vedevano la razionalità affermarsi progressivamente. Si sarebbe trattato solo di attendere il passaggio e l’evoluzione ad un nuovo tipo di società. Benjamin ha sostenuto il fallimento della visione evoluzionistica del tempo e del progresso, infatti secondo lui bisognava dare l’addio all’evoluzionismo in quanto fondato su «un tempo omogeneo e vuoto» (W. Benjamin, Sul concetto di storia, XVIII, 1840) cioè a un tempo che è sempre uguale a sé stesso, nel quale non ci sono improvvisi rovesciamenti di posizioni. Oltretutto in Germania l’azione dei socialisti era stata sconfitta dai nazisti. Bisognerebbe affidarsi nella sua prospettiva a un “tempo messianico”, nel quale «ogni secondo è la piccola porta dalla quale può entrare il Messia». L’adesione al messianismo è dichiarata e non si tratta solo di Benjamin. Anche Lukács nel 1916 riprende una espressione di Fichte e parla della sua epoca come «epoca della compiuta peccaminosità» utilizzando un linguaggio teologico abbastanza esplicito. Più tardi dopo aver pubblicato Storia e coscienza di classe Lukács si autocritica e parla del torto di Fichte di aver contrapposto all’epoca della compiuta peccaminosità «un futuro contemplato utopisticamente». Per questa autocritica restarono scandalizzati molti esponenti del marxismo occidentale, il marxismo che si era entusiasmato proprio per il Lukács di Storia e coscienza di classe. Sulla stessa scia “religiosa” Mario Tronti (un tempo leader del cosiddetto “operaismo” in Italia) recentemente ha proclamato la sua consonanza con le «eresie millenariste» (M. Tronti – Operai e capitale, 1966), e il millenarismo è la stessa cosa dell’escatologia e del messianismo. Quindi la caratterizzazione di Merleau-Ponty, è una caratterizzazione fondamentalmente corretta. Benjamin rivendica un ritorno al socialismo e al comunismo utopistico che vede il comunismo come avvento del Messia. Questa presa di posizione di Benjamin non si può comprendere senza considerare quale è la situazione disperata nella quale si trovano gli ebrei dopo l’avvento di Hitler al potere. Essi non videro nessuna forza politica capace di opporsi ad Hitler, e dunque non restava loro che riporre tutte la speranza in un Messia. Secondo Losurdo il bilancio storico di Benjamin non è corretto perché egli non si chiese se vi fossero state altre rivoluzioni avvenute all’insegna del tempo messianico, e se queste avessero presentato un bilancio positivo oppure negativo. La Cina nella metà dell’Ottocento è stata scossa dalla rivolta dei Taiping, che si proponeva di realizzare il regno celeste della pace perpetua. Il leader di questa rivoluzione si presentava come il fratello minore di Gesù Cristo. Egli era influenzato dal cristianesimo e dal messianismo ebraico-cristiano. Questa rivolta fu spodestata dalle forze occidentali che appoggiavano la monarchia. Gli storici parlano della Rivoluzione dei Taiping, e della guerra civile che da questa derivò come di una catastrofe di dimensioni epocali. Questa guerra civile è stata una delle più sanguinose della storia mondiale e ha dato inizio alla tragedia della Cina, che era rimasta tanto dissanguata e indebolita da non poter più resistere all’avanzata delle potenze occidentali. Inizia quello che per molti storici è il periodo “della Cina crocifissa”. La visione di Walter Benjamin, che giudicava in modo positivo il paradigma messianico per l’approdo al comunismo, non è fondata storicamente in modo completo, ma si basa su un bilancio storico che tiene conto solo dell’orrore della Prima Guerra Mondiale. In Benjamin il futuro post-capitalistico, il futuro che dovrebbe essere assicurato dall’avvento del Messia, in realtà è produttore di catastrofi. È chiaro che Benjamin si rappresenta il superamento della società capitalistica facendo riferimento non all’Aufhebung ma a una idea della trascendenza che è propria – più che del marxismo - della tradizione religiosa. È sufficiente applicare il paradigma formulato da Benjamin al caso della Cina per avere un esempio di quanto possa essere fallimentare una iniziativa politica (come quella della rivolta dei Taiping) fondata su un approccio messianico. A questo approccio di Benjamin Losurdo contrappone il pragmatismo di cui a partire dalla seconda guerra mondiale si è servito il Partito Comunista Cinese, che prese le mosse proprio dall’avvenuta tragedia dei Taiping. È vero che nell’interpretazione di Mao Zedong (che del Partito Comunista Cinese fu il principale leader) giocava un ruolo determinante l’assunto hegeliano per cui ad un certo punto l’evoluzione continua e quantitativa si spezza in un salto qualitativo, ma non c’è posto in Mao per alcuna prospettiva messianica. Nel 1940 (quando la Cina era invasa dal Giappone, che intendeva attuare in Asia la stessa politica imperialistica adottata dal Terzo Reich in Russia e dunque ridurre la massa dei cinesi a forza-lavoro schiavizzata) Mao Zedong pubblica un testo intitolato Sulla nuova democrazia. In questo testo egli teorizza la fase intermedia di passaggio dal capitalismo al comunismo:
«Per il suo carattere sociale, in una prima fase o nel primo passo, la rivoluzione di una colonia o di una semi-colonia resta fondamentalmente una rivoluzione democratica borghese, e oggettivamente il suo obiettivo è quello di sgomberare il terreno allo sviluppo del capitalismo; tuttavia questa rivoluzione non è più la rivoluzione di vecchio tipo diretta dalla borghesia e mirante all’edificazione di una società capitalista e di uno Stato di dittatura borghese, ma la rivoluzione di tipo nuovo diretta dal proletariato e mirante all’edificazione, nella prima fase, di una società di nuova democrazia e di uno Stato di dittatura congiunta delle varie classi rivoluzionarie. Perciò questa rivoluzione serve anche ad aprire una strada ancora più larga allo sviluppo del socialismo. Nel corso del suo sviluppo, essa passerà attraverso varie tappe, in relazione ai mutamenti nel campo nemico e nelle file dei suoi alleati, ma il suo carattere fondamentale resterà immutato» (Mao Zedong, 1940/1969-75, vol.2, p. 360).
Per Mao l’obiettivo principale era assicurare il miracolo delle forze produttive promosso dalla società capitalista, sviluppare le forze produttive e spazzare via tutto quello che aveva a che fare con i rapporti feudali di produzione. Questa è una rivoluzione di tipo nuovo per il fatto che questo sviluppo avviene sotto la guida del Partito Comunista e sotto la dittatura congiunta delle classi rivoluzionarie. Secondo Mao solo questo tipo di rivoluzione è in grado di porre le basi per il superamento della società capitalistica. Marx ed Engels definiscono il socialismo come una fase di transizione (dal capitalismo al comunismo) che porta con sé gli elementi del capitalismo e nella quale vi sono anche elementi della nuova società. Per Mao c’è una transizione nella transizione, la prima fase è la società di nuova democrazia dove si procede allo sviluppo poderoso dello sviluppo delle forze produttive. Secondo Losurdo questo concetto di transizione socialista è stata condivisa ed attuata anche da Deng Xiaoping.
In questo caso il tipo di passaggio dal capitalismo al post-capitalismo è meglio comprensibile se si fa riferimento al concetto di Aufhebung (anche se in Mao non è direttamente esplicitato il concetto). Anche Gramsci dimostrò di condividere questo concetto quando nel 1917 definì il comunismo di guerra russo post-rivoluzionario come una forma di «collettivismo della miseria e della sofferenza» (Gramsci A. – 1917, La rivoluzione contro il “Capitale”), ma riuscì al contempo a spiegare che questo rappresentava un passaggio (conseguente alle devastazioni della guerra mondiale) per poter giungere al vero obiettivo del socialismo: il superamento della miseria. Quando Lenin introdusse la NEP, si alimentarono diverse perplessità tra i militanti che in prima battuta la interpretarono come una forma di legittimazione e reintroduzione della ricchezza borghese. Essi in sostanza interpretavano il socialismo come un’epoca di austerità e di pauperismo ma in realtà era una distorsione del socialismo, sorta in una fase di transizione. Le parole e i toni con cui Pierre Pascal descrive la rivoluzione bolscevica restituiscono questa distorsione: «Spettacolo unico e inebriante […] non ci sono più ricchi, solo poveri e poverissimi» (in F. Furet -1995 Le passé d’une illusion. Essai sur l’idée communiste au XXe siècle). In realtà l’eguaglianza nella visione di Lenin non doveva instaurarsi sulla miseria, ma doveva raggiungersi grazie alla riorganizzazione della produzione in vista di una società post-capitalistica. Anche in questo caso è possibile vedere lo scontro tra messianismo (come quello di Pierre Pascal) e una visione politica più pragmatica e fondata a partire dagli assunti di base del materialismo storico di Marx ed Engels (come quella di Lenin). A Pierre Pascal si contrappone la visione di Gramsci e Lenin che appoggiano la NEP e successivamente i piani quinquennali. Per Losurdo l’approccio di Pierre Pascal - che rinnegò la Rivoluzione d’Ottobre nel momento in cui in Russia si stava cercando di edificare la società industriale - è definibile come “populismo di sinistra”. Del resto fu lo stesso Lenin a mettere in luce come ci fossero “tre fonti e tre parti integranti del marxismo”, vale a dire la Rivoluzione Francese da un lato con le sue correnti più radicali (perché dimostrava che i rapporti politici erano modificabili attraverso la prassi), dall’altro lato l’economia politica classica perché essa aveva le radici nella Rivoluzione industriale (che aveva dimostrato che è possibile un rapido sviluppo delle forze produttive fino ad allora impensabile), e infine la filosofia tedesca con la riflessione di Hegel che agisce in seguito a questi due avvenimenti epocali elaborandone una sintesi filosofica.
Il riferimento del titolo dell’ultima giornata seminariale - L’idea di socialismo, ritornare all’utopia o completare il percorso che conduce dall’utopia alla scienza? - è ovviamente all’opuscolo di Engels del 1880, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, un testo che ci fa vedere la grandezza filosofica di Engels che spesso è stata ignorata. Nel Manifesto del Partito Comunista Marx ed Engels dichiarano che il movimento operaio che non ha ancora una ideologia scientifica, per qualche tempo sarà influenzato da teorie religiose e solo successivamente si avrà il passaggio alla scienza. Ma questo processo è tutt’altro che rapido come sembra far intuire il Manifesto. Il passaggio del socialismo dall’utopia alla scienza è un passaggio faticoso, è un percorso che è stato soltanto avviato ma non è stato compiuto. Invocare ad esempio l’estinzione dello stato potrebbe essere una parola d’ordine utopistica se non si specifica a quale tipo di stato si fa riferimento. Circa l’estinzione dello Stato, se leggiamo L’ideologia tedesca si dichiara che lo Stato per un verso è lo strumento dell’oppressione della classe dominante nei confronti della classe sfruttata, ma al tempo stesso lo Stato è anche l’organismo che garantisce reciprocamente gli individui della classe dominante. Con la rivoluzione di orientamento socialista il secondo dello Stato lato si mantiene, garantendo reciprocamente gli individui della società nel suo complesso. In Marx ed Engels è stato detto, ci sarebbe una contraddizione logica, per la tesi in base alla quale dileguando le classi dileguerebbe anche lo Stato. In realtà lo Stato perde la prima funzione suaccennata, ma conserva la seconda.
Il compito di proseguire il passaggio dall’utopia alla scienza è stato avviato da Engels, ed è stato portato avanti anche da Lukács nella sua opera Ontologia dell’essere sociale. Lukács afferma in quest’opera che lo Stato, le nazioni, la lingua (l’essere sociale che si distingue dalla natura) hanno uno spessore e non sono solo delle formazioni ideali contingenti e soprattutto non sono esseri naturali. Questo recupero dell’essere sociale è parte integrante del passaggio del socialismo dall’utopia alla scienza. Alcune filosofie a noi contemporanee secondo Losurdo predicano un ritorno all’utopia, ad esempio la filosofia convivialista, che predica l’etica del dono in opposizione alla società mercantile. È opportuno sottolineare che per Losurdo non si tratta di sminuire l’utopia, ma di far emergere come sia esistita una visione del tutto sbagliata dell’utopia. Esiste un lato “positivo” dell’utopia, e per farlo emergere secondo Losurdo occorre ragionare ancora una volta in termini hegeliani, in quanto l’utopia svolge una funzione positiva de-naturalizzando l’esistente, criticando cioè l’idea che l’ordinamento esistente sarebbe naturale ed immutabile. In tal senso non ha motivo di essere sostenuta la tesi di Joseph de Maistre, secondo cui la guerra è qualcosa di naturale ed immodificabile. L’utopia di un mondo senza guerra ha almeno il merito di porre una de-naturalizzazione di azioni come la guerra. L’utopia non deve però mai condurre ad una evasione dal reale. Essa è il primo momento del processo di apprendimento che si è imposto storicamente. Per concludere, secondo Losurdo il compito che si impone oggi è quello di sviluppare e portare a compimento il percorso che conduce il socialismo dall’utopia alla scienza.
Riepilogo delle opere citate:
Beaumont G. (1839), L’Irlande sociale, politique et religieuse. Libraire de Charles Gosselin. Ripubblicato dall’ed. Nabu Press, 2010.
Benjamin W. (1940), Über den Begriff der Geschichte (tr. it. Sul concetto di storia, Einaudi).
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