Gianmarco Pisa

 

Per l’impegno e la lotta dei comunisti e delle comuniste in Italia, così come per alimentare e arricchire la riserva di forza teorica e di esperienza concreta del movimento comunista internazionale, la vicenda, teorica e politica, della direzione di Palmiro Togliatti, nella lunga stagione storica dal 1927 al 1964, resta un’eredità prospettica, di grande spessore e di vasta portata.

Per i comunisti e le comuniste italiane la lunga vicenda storica e la vasta eredità politica di Palmiro Togliatti (1893-1964) rappresentano un punto di riferimento ineludibile e un terreno di elaborazione, anche critica, indispensabile per irrorare di senso le «frontiere del presente». Si tratta di un lascito che muove in entrambe le direzioni, facendo eco proprio al motto togliattiano in base al quale, come comunisti e comuniste, «veniamo da lontano e andiamo lontano». Secondo la prima direzione, di carattere retrospettivo, il contributo più promettente dell’eredità di Togliatti, che riprende da Gramsci e sviluppa sino alle sue più compiute realizzazioni, consiste nell’aver fatto del marxismo e, in particolare, del leninismo, una vicenda anche, coerentemente, italiana, nell’aver «tradotto in italiano» la lezione dei precursori, a partire da Marx e passando per Antonio Labriola, nonché gli apprendimenti del pensiero di Lenin e degli sviluppi dell’Ottobre, e nell’aver innestato il marxismo e il leninismo dentro il percorso storico della vicenda nazionale nella sua «lunga durata». Il leninismo viene portato dentro la vicenda storica italiana e finisce per alimentare di senso l’impegno di comunisti e comuniste nel nostro Paese.

Secondo l’altra direzione, Togliatti fornisce un contributo preziosissimo nel proiettare la vicenda politica dei comunisti e delle comuniste verso il futuro, ponendo le basi per una elaborazione di vasto respiro e gettando le fondamenta di questioni, dalla democrazia alle prospettive della guerra e della pace, dal mondo diviso in blocchi all’orizzonte del multilateralismo e del policentrismo, che continuano a porre questioni all’agire dei comunisti nel tempo presente. In questa «proiezione nell’attualità» è possibile rintracciare non solo l’indubitabile grandezza di Togliatti ma anche la problematicità di questioni non del tutto risolte, sulle quali la riflessione dei comunisti è tuttora chiamata a cimentarsi e delle quali (la questione della democrazia; la «via nazionale al socialismo»; il disegno delle «riforme di struttura») riconoscere non solo la portata prospettica ma anche i limiti intrinseci.

La vicenda storica e politica di Palmiro Togliatti è vastissima, impossibile da compendiare in poche righe, e ineludibile, come punto di riferimento storico-politico, per i comunisti e le comuniste nel nostro Paese: principale organizzatore e animatore, con Gramsci, dell’Ordine nuovo; tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia - sezione italiana dell’Internazionale Comunista, con la «scissione di Livorno» del 1921; segretario del partito dal 1927 fino alla morte nel 1964; esponente di primo piano dell’Internazionale comunista dal 1927; membro, dopo il VII congresso dell’Internazionale comunista (luglio-agosto 1935), della Segreteria dell’Internazionale; commissario politico dell’Internazionale durante la Guerra di Spagna (1937-1939); dopo il rientro in Italia (1944), vicepresidente del Consiglio dei Ministri (1944-1945), Ministro della Giustizia (1945-1946), membro dell’Assemblea Costituente e deputato al Parlamento, alla Camera dei Deputati, dal 1948 fino alla fine.

Di tale articolazione, che si snoda con vigore e intensità tanto sul piano intellettuale, quanto su quello politico, quale figura, propriamente gramsciana, di dirigente e di intellettuale, è possibile enucleare alcune questioni che restano tra le più interessanti per l’impegno dei comunisti, in particolare in Italia, nella nostra attualità. La prima delle grandi elaborazioni di Togliatti è senza dubbio la traduzione del leninismo in «linguaggio storico italiano», che trova la sua formulazione nelle «Tesi di Lione», il documento politico congressuale, elaborato principalmente da Antonio Gramsci con un contributo assai significativo dello stesso Togliatti, per il III Congresso del Partito Comunista d’Italia svoltosi in clandestinità a Lione dal 20 al 26 gennaio 1926, con il quale si sancisce la fine della egemonia politica della sinistra massimalista di Amadeo Bordiga e si inaugura la nuova egemonia politica, gramsciana prima e togliattiana poi, nella direzione politica del partito.

Contributo fondamentale di Togliatti alla visione dei comunisti e delle comuniste in Italia è la sua penetrante interpretazione del fascismo, sviluppata nel contesto del VII Congresso dell’Internazionale, tenuto a Mosca dal 25 luglio al 20 agosto 1935, e che trova la sua articolazione nelle note Lezioni sul Fascismo, il corso di quindici lezioni svolte alla Scuola leninista di Mosca (gennaio-aprile 1935) e pubblicate poi nel 1970. Se, in generale, «il fascismo è una dittatura terrorista aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti, più imperialisti del capitale finanziario», in particolare, si rende necessario aggiungere a questa definizione di carattere generale «lo sforzo per unire, per collegare, due elementi: la dittatura della borghesia e il movimento delle masse piccolo-borghesi». Infatti, «i monopoli, cioè le forze dirigenti della borghesia, si concentrano al massimo grado e le vecchie forme di reggimento diventano degli impedimenti per il loro sviluppo. La borghesia deve rivoltarsi contro quello che essa stessa ha creato, perché ciò che altra volta era stato per lei elemento di sviluppo, è diventato oggi un impedimento alla conservazione della società capitalistica. Ecco perché la borghesia deve diventare reazionaria e ricorrere al fascismo». È un contenuto di grande vitalità: il fascismo, e quindi la degenerazione autoritaria e repressiva, come strumento della borghesia, dei monopoli, delle classi dominanti, per attrezzare, garantire e perpetuare il proprio potere, sia nella sfera politico-istituzionale, sia nella sfera economico-sociale.

A questa propensione dominante, il fascismo non unisce una vocazione “elitaria”, bensì si sforza di dotarsi di una connotazione “di massa”: «la dittatura fascista si sforza di avere un movimento di massa organizzando la borghesia e la piccola borghesia»; si configura pertanto, ed è questa un’altra innovativa interpretazione introdotta da Togliatti, come regime reazionario e oppressivo con una base di massa. A questa altezza devono quindi situarsi i compiti dei comunisti ai fini dell’abbattimento del fascismo e della conquista della democrazia: «il fascismo si prepara al contrattacco, a una nuova offensiva. Noi dobbiamo organizzare le nostre forze per respingerla. E non possiamo comprendere il problema se non lo poniamo così, come lotta di classe, come lotta fra la borghesia e il proletariato, nella quale la posta è per la borghesia l’instaurazione della propria dittatura, nella sua forma più aperta, e per il proletariato l’instaurazione della propria dittatura cui arriva lottando per la difesa di tutte le sue libertà democratiche». In linea con la lezione di Lenin e la riflessione di Gramsci, Togliatti enfatizza la questione dell’egemonia e ripropone la connessione tra conflitto sociale e lotta democratica.

Come lo stesso Lenin aveva indicato nel suo saggio, I compiti dei socialdemocratici russi (1898), i comunisti «nella loro attività pratica [...] si propongono, com’è noto, di dirigere la lotta di classe del proletariato e di organizzarla nelle sue due manifestazioni: quella socialista (lotta contro la classe dei capitalisti per la distruzione del regime di classe e l’organizzazione della società socialista) e quella democratica (lotta contro l’assolutismo per conquistare alla Russia la libertà politica e per rendere democratico il suo regime sociale e politico)». È questo un luogo politico centrale del pensiero-prassi di Lenin e del leninismo: conflitto sociale e lotta democratica, da parte dei lavoratori e delle lavoratrici in quanto soggetto centrale nell’attività produttiva della società nel suo complesso, ai fini della conquista della libertà, dell’avanzamento della democrazia e dell’apertura di spazi democratici, per la mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici, per l’articolazione della lotta di classe e per l’organizzazione della prospettiva rivoluzionaria e della edificazione della futura società socialista.

Tale sviluppo sarebbe risultato decisivo soprattutto all’indomani dell’8 settembre 1943 e, in particolare, al rientro di Togliatti in Italia, con la definizione della nuova linea, nell’Italia liberata, del «partito nuovo» e della «democrazia di tipo nuovo». Essenziale, a questo scopo, diventa in Togliatti, erede e continuatore di Gramsci, la funzione della egemonia. L’applicazione togliattiana dell’egemonia si sviluppa su due livelli: su un piano generale, la capacità di essere forza propulsiva, attiva, dirigente, nella società, in particolare nella costruzione politica seguita alla vittoria contro il fascismo e alla liberazione del Paese; su un piano più specifico, la definizione di un’originale politica delle alleanze e di un rinnovato rapporto con gli intellettuali. Rientrato in Italia nel 1944, il contributo di Togliatti all’unità del Comitato di Liberazione Nazionale e alla costruzione, per la prima volta nella storia d’Italia, della forma repubblicana e della democrazia rappresentativa su base costituzionale, è innegabile.

La concezione della democrazia progressiva come «democrazia di tipo nuovo», di cui Togliatti è protagonista, viene maturando nel contesto della resistenza antifascista e nella lotta di liberazione tra il 1943 e il 1945 e sulla scorta dei risultati del VII congresso dell’Internazionale. Nella «traduzione italiana» elaborata da Togliatti e dal gruppo dirigente del partito, essa viene articolata nei termini di una democrazia avanzata, basata sul riconoscimento tanto dei diritti civili, quanto dei diritti sociali, con una struttura economica basata sulla proprietà statale, cooperativa e pubblica, accanto alla proprietà privata, e regolata, in senso generale, dal principio della «programmazione economica». In questa cornice, l’avanzamento della democrazia e lo sviluppo dell’economia programmata avrebbero dovuto essere garantite dalla realizzazione delle «riforme di struttura», che avrebbero dovuto promuovere avanzamenti in senso socialista nella realtà economica e sociale e consentire alla classe operaia, in quanto forza centrale, patriottica e socialista, di affermarsi come classe dirigente, in senso gramsciano.

Il nucleo della democrazia progressiva, nella visione di Togliatti, non è, solo, la scelta della via costituzionale, democratica, della trasformazione in senso socialista, ma anche, e soprattutto, l’applicazione delle riforme di struttura, con le quali adattare la struttura alle istanze di rinnovamento generale del Paese e introdurre elementi di socialismo. «Le riforme di struttura - scrive Togliatti - sono un obiettivo positivo, ... che è realizzabile nelle condizioni attuali della lotta politica. Noi vogliamo veramente una riforma agraria generale ... perché i contadini e il Paese ne hanno bisogno subito e questa riforma è attuabile anche oggi. Vogliamo la nazionalizzazione dei più pesanti monopoli privati dell’industria e della finanza, e anche questo si può fare. Vogliamo, attraverso forme di controllo democratico, sui prezzi, sulla formazione dei profitti, sulle tariffe doganali, sulla speculazione edilizia, attraverso una riforma radicale del sistema fiscale, riuscire a limitare e spezzare il potere economico dei monopoli».

È questo, al tempo stesso, l’elemento di ambivalenza e il limite dell’impostazione della democrazia progressiva: il governo della struttura capitalistica e la sua progressiva trasformazione, a partire da più favorevoli rapporti di forza nella società, in senso socialista, ma non ancora la compiuta esplicazione di una prospettiva, propriamente rivoluzionaria, di trasformazione generale. È un’indicazione imprescindibile per il lavoro dei comunisti nel contesto della democrazia borghese, ma non ancora un programma compiuto di costruzione di una democrazia popolare di natura consiliare e di accumulazione di forze in chiave rivoluzionaria per la trasformazione. È, per di più, un programma che presuppone lo spazio di un’egemonia sociale, culturale, politica per potersi dispiegare e l’autonomia, nel quadro di una sovranità democratica effettivamente praticabile, nelle scelte di politica economica e di politica internazionale, e quindi di autodeterminazione dal vincolo esterno, economico e politico.

Nel contesto del mutato scenario internazionale, si viene completando, nella riflessione teorica e nella pratica politica del gruppo dirigente, quella straordinaria conquista della elaborazione di Togliatti che va sotto il nome delle «vie nazionali al socialismo» e, per ciò che riguarda il nostro Paese, della «via italiana al socialismo». Tale elaborazione giunge a compimento nell’VIII Congresso del PCI (8-14 dicembre 1956). Il principio, teorico e politico, delle vie nazionali al socialismo condensa due assunti centrali: il nodo teorico, propriamente leniniano, dell’aderenza alle caratteristiche e alle peculiarità nazionali nell’avanzamento del processo di trasformazione della società in senso socialista e nell’impostazione delle caratteristiche della transizione al socialismo; e lo scenario internazionale, caratterizzato, in quel frangente, dal XX Congresso del PCUS, dall’inaugurazione del dissidio sovietico-cinese e dai fatti di Ungheria, quindi dalla presa di consapevolezza delle caratteristiche del mutato panorama internazionale e dell’articolazione di un “campo socialista” tanto vasto quanto articolato.

Nella Relazione di Togliatti al Comitato Centrale del PCI (24 giugno 1956) sono enucleati i tratti della linea politica del partito nella mutata situazione di fase. La relazione conferma tutti i nodi salienti della direzione, intellettuale e politica, di Togliatti. Intanto, conferma il principio dell’aderenza alle condizioni nazionali e della traduzione in italiano della lezione del marxismo e del leninismo: «Noi, marxisti, abbiamo dato prova di saper fare i conti non solo con la realtà politica, ma con le correnti tradizionali del pensiero italiano». Quindi, per quanto problematica e, per diversi aspetti, ambivalente, la caratterizzazione della democrazia di tipo nuovo: «Il metodo democratico, nella lotta per il socialismo e nell’avanzata verso di esso, acquista oggi quel rilievo che nel passato non poté sempre avere. Si possono, cioè, ottenere determinati e grandi risultati nella marcia verso il socialismo senza abbandonare questo metodo democratico». Quindi, la conferma dell’ancoraggio all’Unione Sovietica e al campo socialista: «Non vi è dubbio, per noi, che l’Unione Sovietica rimane il primo grande modello storico di conquista del potere da parte della classe operaia e di utilizzazione del potere [...] per riuscire, spazzate le resistenze della borghesia e delle altre classi reazionarie, respinti i tentativi di intervento provenienti dall’estero, ad accingersi al compito di costruire un’economia e una società nuove e assolvere questo compito».

Infine, in questa cornice, l’opzione delle vie nazionali e dei diversi percorsi verso il socialismo: «L’esperienza compiuta nella costruzione di una società socialista nell’Unione Sovietica non può contenere direttive per risolvere tutte le questioni che si possono presentare oggi a noi e ai comunisti di altri Paesi [...]. Si creano così diversi punti o centri di orientamento e di sviluppo. Si crea [...] un sistema policentrico, corrispondente alla situazione nuova, al mutamento delle strutture del mondo e delle strutture stesse dei movimenti operai, e a questo sistema corrispondono anche nuove forme di relazioni tra i partiti comunisti. La soluzione, che oggi, probabilmente, più corrisponde a questa situazione nuova, può essere quella della piena autonomia dei singoli movimenti e partiti comunisti e dei rapporti bilaterali tra di essi, allo scopo di creare una completa, reciproca comprensione e una completa, reciproca fiducia, condizioni per una collaborazione e condizioni per dare unità allo stesso movimento comunista e a tutto il movimento progressivo della classe operaia. Un sistema simile è probabilmente anche quello che può permettere [...] di affrontare e risolvere in modo nuovo le questioni dell’avvicinamento tra diversi settori del movimento operaio, della comprensione, della fiducia, dell’intesa ed eventualmente dell’accordo tra tutti i partiti che lavorino per delle trasformazioni socialiste del mondo».

Si viene così configurando un altro contributo rilevantissimo della elaborazione di Togliatti e del gruppo dirigente del partito in quegli anni, vale a dire il principio del multilateralismo e del policentrismo sia in relazione all’approccio al mutato scenario internazionale (elemento fondamentale dell’iniziativa dei comunisti e delle comuniste italiane per un rinnovato sistema di relazioni internazionali e per una rinnovata mobilitazione nel senso della lotta contro l’imperialismo e per la pace), sia in relazione ai rapporti interni al campo socialista, informati al principio dell’unità e autonomia delle forze comuniste. La concezione togliattiana del policentrismo, legata a una visione razionale e dialettica dell’internazionalismo comunista, traeva i propri presupposti proprio nella lettura dei mutamenti storici seguiti al secondo conflitto mondiale: la rivoluzione socialista in Cina, la rivoluzione radicale, umanista e socialista a Cuba, il risveglio dei popoli delle colonie, il movimento internazionale di emancipazione e di indipendenza del Sud del mondo, la Conferenza di Bandung del 1955 e la Conferenza di Belgrado del 1961, con la nascita del Movimento dei Non Allineati, evidenziano, al tempo stesso, l’eccedenza rispetto al modello del mondo diviso in blocchi contrapposti e l’emergenza delle peculiarità nazionali, anche nel percorso dell’emancipazione e della liberazione nazionale, coinvolgendo quindi le forze del movimento operaio, democratico e socialista, le loro alleanze e la loro articolazione.

Esito profondo di questa elaborazione è, senza dubbio, il Memoriale di Yalta (Promemoria sulle questioni del movimento operaio internazionale e della sua unità, 1964), nel quale sono ulteriormente precisate le due questioni chiave della direzione togliattiana: le vie nazionali e il policentrismo. Quanto alle prime, «una più profonda riflessione sul tema della possibilità di una via pacifica di accesso al socialismo ci porta a precisare che cosa noi intendiamo per democrazia in uno Stato borghese, come si possano allargare i confini della libertà e delle istituzioni democratiche e quali siano le forme più efficaci di partecipazione delle masse operaie e lavoratrici alla vita economica e politica. Sorge così la questione della possibilità di conquista di posizioni di potere, da parte delle classi lavoratrici, nell’ambito di uno Stato che non ha cambiato la sua natura di Stato borghese e quindi se sia possibile la lotta per una progressiva trasformazione di questa natura».

Essa presuppone l’approfondimento della egemonia nella società: «Ciò richiede che noi non contrapponiamo in modo astratto le nostre concezioni alle tendenze e correnti di diversa natura; ma apriamo un dialogo con queste correnti e attraverso di esso ci sforziamo di approfondire i temi della cultura, quali oggi si presentano. Non tutti coloro che, nei diversi campi della cultura, nella filosofia, nelle scienze storiche e sociali, sono oggi lontani da noi, sono nostri nemici o agenti del nostro nemico. È la comprensione reciproca, conquistata con un continuo dibattito, che ci dà autorità e prestigio, e nello stesso tempo ci consente di smascherare i veri nemici, i falsi pensatori, i ciarlatani dell’espressione artistica e così via». Quanto alla questione dell’articolazione del movimento comunista internazionale e del policentrismo, basata sul principio dell’unità nella diversità: «L’unità di tutte le forze socialiste in una azione comune, anche al di sopra delle divergenze ideologiche, contro i gruppi più reazionari dell’imperialismo, è un’imprescindibile necessità»; e, al tempo stesso, «occorre ai comunisti avere molto coraggio politico, superare ogni forma di dogmatismo, affrontare e risolvere problemi nuovi in modo nuovo, usare metodi di lavoro adatti all’ambiente politico e sociale in cui si compiono continue e rapide trasformazioni».

Per l’impegno e la lotta dei comunisti e delle comuniste in Italia, così come per alimentare e arricchire la riserva di forza teorica e di esperienza concreta del movimento comunista internazionale, la vicenda, teorica e politica, della direzione di Togliatti, nella lunga stagione storica che va dal 1927 al 1964, resta una eredità prospettica, di grande spessore e di vasta portata. In essa, i comunisti e le comuniste del nostro tempo, in particolare in Italia, riconoscono entrambi gli aspetti: ora l’originale e innovativo orientamento di linea, sia in termini di impostazione generale, sia di ordine strategico e tattico, che ha consentito alle forze organizzate del movimento operaio di diventare una forza grande, incisiva e di massa nel panorama politico e sociale del nostro paese (tra il 1946 e il 1956 il PCI supera costantemente i due milioni di iscritti); ora le problematiche e i limiti intrinseci di una impostazione che, nel quadro politico segnato dal vincolo esterno (la collocazione internazionale dell’Italia, l’appartenenza al mercato europeo, l’aderenza alla NATO) e condizionato dall’effettivo potere della borghesia nel quadro dei capitalismo nazionale, non ha potuto sviluppare in tutta la sua pienezza l’intuizione di una via nazionale e democratica alla trasformazione in senso socialista della società e dello stato.

Riferimenti bibliografici:

«Tesi di Lione», documento per il III Congresso del Partito Comunista d’Italia, Lione, 20-26 gennaio 1926.

  1. Togliatti, Lezioni sul Fascismo, a cura di Ernesto Ragionieri, Editori Riuniti, Roma, 1970.

«Programma» e articoli successivi, “Rinascita”, a. I, n. 1, giugno 1944.

Relazione al Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano (Roma, 24 giugno 1956).

Relazione al VIII Congresso del Partito Comunista Italiano, Roma, 8-14 dicembre 1956.

Relazione al X Congresso del Partito Comunista Italiano, Roma, 2-8 dicembre 1962.

  1. Togliatti, Memoriale di Yalta, n. e., Sellerio, Palermo, 1988.
  2. Togliatti, Il Partito Comunista Italiano, a cura di Lelio La Porta e Paolo Ciofi n. e., Editori Riuniti, Roma, 2020.

In generale, P. Togliatti, Opere, a cura di Ernesto Ragionieri, 6 voll., Editori Riuniti, Roma, 1967.

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