Jacques Pauwels
È impossibile schierarsi contro la caduta di muri che servono a tenere segregate le persone e, di conseguenza, è impossibile non applaudire alla caduta del Muro di Berlino nel novembre del 1989 o, allo stesso modo, non desiderare la caduta di altri muri che oggi, trent’anni dopo, sono ancora in piedi o stanno per essere innalzati.
È legittimo, comunque, chiedersi se il collasso del comunismo nell’Europa orientale e nell’Unione Sovietica, inaugurato dalla caduta del Muro di Berlino, sia stato un trionfo per la democrazia.
Nel farlo, si dovrebbe tenere presente che la democrazia non ha solo una faccia politica, ma anche una faccia sociale: è un sistema in cui il popolo, la grande massa delle persone normali, non solo fornisce indicazioni al governo, ad esempio attraverso le elezioni, ma riceve anche dei benefici, tipicamente sotto forma di servizi sociali.
La domanda cruciale è cui bono ? Chi ha approfittato di questo ? La risposta può sorprendere.
Beneficiari delle cosidette rivoluzioni in Europa orientale sono state certamente la nobiltà terriera, l’ex-classe dirigente, e il suo alleato più stretto, la Chiesa Cattolica in gran parte dell’Est europeo e la Chiesa Ortodossa, che già nei tempi andati era il principale proprietario fondiario, in Russia. Con la Rivoluzione del 1917 e i cambiamenti radicali introdotti dai sovietici in Europa orientale negli anni 1944/45, la nobiltà e la chiesa avevano perduto i loro vasti possedimenti terrieri (oltre ai castelli e ai palazzi, ecc.) assieme al preponderante potere politico che detenevano.
Negli anni che hanno seguito la caduta del Muro di Berlino, tuttavia, non solo le famiglie nobili degli ex-Imperi Austro-Ungarico e Germanico, ma anche, in particolare, la Chiesa Cattolica, sono state in grado di recuperare le loro proprietà fondiarie che erano state socializzate nel 1945. Il risultato è che la Chiesa Cattolica è di nuovo il più grande proprietario terriero in Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Croazia, ecc.. A questo signore, i plebei dell’est Europa – dai contadini affittuari polacchi ai tenutari di stalli nella piccola piazza del mercato dietro la Cattedrale di Lubjana – ora devono pagare molto di più che nei supposti «brutti vecchi tempi » precedenti il 1990. Molti ex-proprietari terrieri aristocratici, come la dinastia degli Schwarzenbergs, sono di nuovo in possesso di castelli e vasti fondi in Europa orientale e godono di nuovo di grande influenza e potere politico, proprio come nei supposti « bei vecchi tempi » prima del 1914 e/o del 1945.
Non una parola hanno speso i media a maggiore diffusione su questi argomenti, al contrario, ci hanno persuaso a credere che Karol Józef Wojtiła, Papa Giovanni Paolo II, ha collaborato con l’arciconservatore Presidente americano Ronald Reagan e la CIA contro i sovietici all’unico scopo di ripristinare la democrazia in Europa orientale. Che il capo della Chiesa Cattolica, un’istituzione eminentemente anti-democratica in cui il Papa, l’unico che può dire tutto mentre nulla possono milioni di preti e comuni credenti, sia l’apostolo di un vangelo democratico, è una nozione che pare incoerente e assurda.
Se il Papa avesse voluto veramente battersi per la democrazia, avrebbe potuto iniziare dalla Chiesa stessa. Che in realtà Giovanni Paolo II non volesse avere nulla a che fare con la democrazia genuina, appare in tutta chiarezza dalla sua condanna della « teologia della liberazione » e dalla sua lotta con ogni mezzo contro i coraggiosi campioni di quella teologia – in gran parte semplici preti e monache – che volevano promuovere un cambiamento democratico in America Latina, dove era molto più necessario che in Europa orientale. In realtà, in gran parte dell’America Latina la popolazione non aveva mai beneficiato di abitazioni, istruzione e cure mediche gratuite e dei molti altri servizi sociali che venivano assicurati nella Polonia comunista e negli altri paesi dell’Europa orientale. Naturalmente, anche in America Latina la Chiesa Cattolica è sempre stata un grande proprietario terriero, la cui ricchezza e privilegi – frutto della sanguinosa appropriazione da parte dei conquistadores spagnoli – avrebbero potuto essere cancellati da una genuina democratizzazione fatta a vantaggio dei contadini e di altri proletari. È indubbiamente per questa ragione che il Papa ha lavorato duro per un cambiamento in Europa orientale, ma si è opposto a quello in America Latina.
In ogni caso, nei paesi a prevalenza cattolica dell’Europa orientale, e in particolare in Polonia, la Chiesa è riuscita a recuperare gran parte della sua precedente ricchezza e influenza. Dobbiamo considerarlo un trionfo per la democrazia ? La democrazia vuol dire uguali diritti per tutti i cittadini, ma in Polonia la separazione di stato e chiesa, una delle grandi acquisizioni della Rivoluzione Francese, che assicura uguali diritti a tutti indipendentemente dalla loro fede, che fu una realtà sotto il comunismo, ora esiste solo sulla carta, ma non in pratica. I polacchi che non sono cattolici, come pure gli omosessuali e le femministe, non possono sentirsi a casa propria in quel paese. La Polonia è in qualche modo ritornata all’era non-democratica prima della Rivoluzione Francese quando, in quasi tutti i paesi, veniva imposta una specifica ‘religione di stato’ a tutti i cittadini e non si parlava nè di libertà religiosa nè di tolleranza.
In Russia, la Chiesa Ortodossa aveva perduto virtualmente tutta la sua grande ricchezza e influenza come risultato della rivoluzione del 1917, ma è riuscita a recuperarne gran parte dopo che le politiche di Gorbaciov e Yeltsin hanno smantellato il sistema comunista, frutto di quella Rivoluzione d’Ottobre che aveva decretato la separazione tra stato e chiesa. Nel cuore dell’Unione Sovietica, la Chiesa Ortodossa ha fatto una rentrée quasi altrettanto spettacolare di quella della Chiesa Cattolica in Polonia. Si è virtualmente reimpossessata di tutto il gigantesco portafoglio di terreni ed edifici che possedeva prima del 1917 e lo stato ha generosamente finanziato il restauro delle vecchie chiese (e la costruzione delle nuove) a spese di tutti i contribuenti, cristiani o meno.
La Chiesa Ortodossa è di nuovo grande, ricca e potente e strettamente collegata allo stato, esattamente come nella pre-rivoluzionaria, quasi medievale, era zarista. Riguardo alla religione, la Russia, come la Polonia, ha fatto un grande balzo all’indietro verso l’Ancien Régime.
Per la gente comune, la situazione non è altrettanto brillante. In Russia, i cambiamenti rivoluzionari partiti nel 1917 avevano portato enormi miglioramenti nelle vite della massa di una popolazione estremamente povera ed arretrata – non immediatamente, ma di sicuro a lungo termine.
Nel momento della caduta del Muro di Berlino, la popolazione sovietica aveva acquisito un livello generale di prosperità del tutto rispettabile e la maggioranza dei cittadini sovietici non desideravano in alcun modo la scomparsa dell’Unione Sovietica.
Anzi. In un referendum che si tenne nel 1991, non meno dei tre quarti dei cittadini si espresse per il mantenimento dello stato sovietico e per la semplice ragione che ciò andava a loro vantaggio. Per contro, la scomparsa dell’Unione Sovietica, preparata da Gorbaciov e realizzata da Yeltsin, si risolse in una catastrofe per la maggioranza della popolazione sovietica.
Quel tipo di diffusa e disperata povertà che era stata tanto tipica della Russia prima della Rivoluzione d’Ottobre fece di nuovo ritorno nel corso degli anni Novanta, ossia, nel medesimo periodo in cui veniva ripristinato il capitalismo sotto gli auspici di Yeltsin. Quest’ultimo orchestrò quella che può essere ben definita come la più grande truffa della storia mondiale : la privatizzazione di un’enorme ricchezza collettiva, creata tra il 1917 e il 1990, con sforzi sovrumani e sacrifici inenarrabili, dal lavoro di milioni di comuni cittadini sovietici ossia da quello che si è soliti chiamare « proletariato ». Quel crimine beneficiò il « profitariato », ovvero un piccolo gruppo di approfittatori, che divennero super-ricchi, una specie di mafia i cui boss sono noti come « oligarchi ». Balzac una volta disse che « un crimine si nasconde dietro ogni grande fortuna » ; il grande crimine che si nasconde dietro le fortune degli oligarchi russi (e dell’Europa orientale) fu la privatizzazione della ricchezza dell’Unione Sovietica sotto gli auspici di Yeltsin e le vittime di quel crimine furono i comuni cittadini sovietici.
Non è perciò tanto sorprendente che, persino ora, una maggioranza di russi rimpianga la scomparsa dell’Unione Sovietica e che nei paesi dell’ex-Blocco Orientale, dalla Romania alla Germania Est, molti se non la maggioranza della gente sia nostalgica dei tempi non così brutti di prima della caduta del Muro, come provano svariati sondaggi d’opinione. La causa maggiore di questo sentimento è il fatto che servizi sociali vitali come le cure mediche e l’istruzione, compresa quella di alto livello, non sono più gratuite o di costo irrisorio, come già erano. Le donne hanno perduto molti dei considerevoli benefici che avevano acquisito sotto il comunismo, ad esempio, le molte opportunità di impiego, l’indipendenza economica e una conveniente assistenza ai bambini.
Anche la maggioranza dei cittadini degli ex-paesi « satelliti » dell’Unione Sovietica ha dovuto affrontare tempi duri dopo la caduta del Muro. Questi paesi vennero de-industrializzati dato che con la privatizzazione i grandi gruppi industriali e le banche occidentali entrarono e applicarono la loro shock therapy, che comportava massicci licenziamenti di operai in nome dell’efficienza e della competività. Una maledizione prima sconosciuta, la disoccupazione, comparve sulla scena proprio nel momento in cui i servizi sociali, prima dati per sicuri, furono smantellati dato che secondo il modello di economia neo-liberale non dovevano essere presenti. Oggi, non c’è futuro per i giovani nei paesi dell’Europa orientale e così lasciano le loro terre in cerca di fortuna in Germania, Gran Bretagna e altri posti in Occidente. Questi europei dell’Est Europa votano contro il nuovo sistema « con i loro piedi », come erano soliti schiamazzare trionfalmente i media occidentali ogniqualvolta, al tempo della Guerra Fredda, un dissidente disertava da un paese comunista.
Mentre i paesi comunisti offrivano ai loro concittadini complessi servizi sociali e pieno impiego, in altri termini, un livello abbastanza alto di social-democrazia, non c’era certamente democrazia politica, almeno non nel convenzionale senso occidentale del termine, cioè, con libere elezioni, mezzi d’informazione liberi, ecc.
Si deve riconoscere che ora in Russia e nell’Europa orientale c’è più libertà ma, secondo la battuta di un cittadino dell’ex-Germania Est, questa libertà è in gran parte quella di essere « libero dall’impiego, dall’assistenza sanitaria, dalla sicurezza sociale, dalle strade senza pericoli ».
In altre parole, la democrazia politica è arrivata al prezzo della liquidazione della democrazia sociale. Questo commento indica come per molti, se non per quasi tutti, benefici come il pieno impiego, l’istruzione gratuita, l’assistenza sanitaria, ecc., sono più preziosi della libertà, goduta ad esempio dagli americani, cioè di scegliersi un presidente tra i candidati di due partiti, i democratici e i repubblicani, che non senza ragione sono stati descritti come « le due ali di un solo partito. » (Non è molto sorprendente, pertanto, che una grande percentuale di americani non si curino di andare a votare.)
Gli europei dell’Europa orientale possono essere ora più liberi che prima della caduta del Muro di Berlino, ma vivono adesso in un sistema politico veramente democratico ? No. La Russia non ha mai visto l’alba di una vera democrazia politica. Non sotto Yeltsin e non sotto Putin. Quanto agli ex-« satelliti » dell’Unione Sovietica, un numero crescente di persone è colpito dalla perdita dei benefici sociali e altri vantaggi che ritenevano certi e che non si aspettavano di perdere con l’arrivo del capitalismo.
Persuasi da politici e da grandi firme dei media a incolpare dei loro problemi capri espiatori come i rifugiati, stanno sostenendo in modo crescente i partiti di estrema-destra che invocano politiche autoritarie, ultra-nazionaliste, xenofobiche, razziste e talvolta apertamente neo-fasciste e persino neo-naziste. La grande parte del leader dei partiti e financo dei governi negli stati post-comunisti non sono in alcun modo campioni della democrazia, ma celebrano gli esponenti anti-democratici e a volte apertamente fascisti che governarono i loro paesi negli anni Trenta e/o collaborarono con i nazisti durante la guerra e commisero in quel periodo crimini mostruosi. In Ucraina, ad esempio, i neo-nazisti ora orgogliosamente sfilano per le strade in parate con torce, bandiere con la svastica e simboli delle SS. In gran parte dell’Europa orientale, la democrazia non sta fiorendo, ma è sotto una crescente minaccia.
Abbiamo visto che la nobiltà e soprattutto il clero, le classi di governo di un tempo, hanno guadagnato parecchio, sia in Europa orientale che in Russia, dalla caduta del comunismo, ma tra i grandi beneficiari dei cambiamenti inaugurati dalla caduta del Muro di Berlino ci sono in modo rilevante le elite internazionali degli affari, le grandi banche e i grandi gruppi industriali, che sono in genere americani o europei occidentali o multinazionali ed essere multinazionali significa fare affari in tutti i paesi, ma non pagare le tasse in nessuno. (Eccetto che nei paradisi fiscali come le isole Cayman, dove la tassazione è irrisoria.)
Dopo la caduta del Muro di Berlino, le multinazionali trionfanti sono entrate nell’Europa orientale per vendere i loro hamburgher, la loro Coca-Cola, armi e altre mercanzie, per acquisire imprese statali al prezzo di due spiccioli, per predare materie prime, per assumere lavoratori altamente qualificati e personale, istruito a spese dello stato, con salari molto bassi, ecc. (In Russia sotto Yeltsin, beniamino dell’Occidente, tutto questo sembrava possibile, ma Putin in seguito ha bloccato la prevista conquista economica della Russia da parte dei gruppi occidentali a favore dei capitalisti autoctoni e per questo non sarà mai perdonato.)
L’elite finanziaria e industriale dell’Europa e del mondo occidentale in generale è comunque riuscita ad approfittare in un altro modo della caduta del comunismo. Nell’immediato seguito della Seconda Guerra Mondiale, persino nell’Europa occidentale, l’Unione Sovietica era correttamente considerata come il vincitore della Germania nazista e il suo modello economico-sociale godeva di un immenso prestigio. In questo contesto, l’Elite occidentale si affrettò ad introdurre riforme politiche e sociali – note, nel loro insieme, col termine di welfare state - per evitare cambiamenti ancora più radicali di cui esisteva certamente il potenziale, soprattutto in paesi come la Francia e l’Italia.
Anche durante la Guerra Fredda si ritenne necessario mantenere un sistema di welfarism e bassa disoccupazione per assicurarsi la fedeltà dei lavoratori di fronte alla competizione proveniente dai paesi comunisti con la loro politica di pieno impiego e al loro elaborato sistema di servizi sociali. Il welfare state, tuttavia, riduceva, non drasticamente ma certamente in qualche misura, la possibilità di massimizzazione del profitto e gli intellettuali e i politici « neoliberali » condannarono fin dal suo sorgere questo modello frutto nefasto dell’intervento statale anzichè dell’opera spontanea e benefica del « libero mercato ». Il collasso del comunismo nell’Europa orientale, offrì, a quel punto, all’elite un’occasione d’oro per smantellare il welfare state e in generale il modello della sicurezza sociale. Dato che non c’era più un’Unione Sovietica con cui competere, l’elite era libera di fare arretrare impunemente i servizi sociali associati al welfare state in tutti gli stati europei. Negli anni successivi al 1945, scrive lo storico belga Jan Dumolyn, le elite avevano fatto importanti concessioni alla popolazione lavoratrice per paura del comunismo … per mantenere la gente tranquilla e contrastare l’attrattiva esercitata dal socialismo che esisteva al di là della Cortina di Ferro. Non è pertanto una semplice coincidenza il fatto che i servizi sociali iniziarono a essere colpiti dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989. La minaccia era svanita. Non c’era più alcuna necessità di compiacere la popolazione lavoratrice.
Nell’Europa e nel mondo occidentale in generale, l’elite è tuttora molto concentrata su questo obiettivo, chiaramente nella speranza che presto niente resterà del welfare state. La caduta del Muro di Berlino ci ha reso possibili testimoni di un ritorno allo sfrenato, spietato capitalismo del diciannovesimo secolo – una catastrofe per la gente comune e anche, allo stesso tempo, una cocente sconfitta per la democrazia.
I perdenti nel dramma del collasso del comunismo nell’Unione Sovietica e nell’Europa Orientale includono anche operai ed impiegati dei paesi occidentali, ovvero, la maggioranza della popolazione, che erroneamente si considera « classe media » : i loro salari relativamente alti, le loro condizioni di lavoro favorevoli e i loro servizi sociali, introdotti dopo il 1945, sono ora dichiarati « insostenibili ». Ai percettori di salario viene detto di accontentarsi di meno, ma persino anche quando si dicono d’accordo a una riduzione dei loro redditi e alla decurtazione dei loro benefits nella cornice delle misure di austerity, spesso vedono comunque i loro lavori scomparire nella direzione di paesi a bassi salari dell’Europa orientale o con salari ancora inferiori nel Terzo Mondo. Dopo la caduta del Muro di Berlino, ai grandi gruppi industriali tedeschi, che avevano collaborato con grandi profitti con i nazisti tra il 1933 e il 1945, venne concesso di saccheggiare economicamente la Germania orientale.
D’altro canto, gli operai della Germania occidentale hanno visto i loro salari - decurtati dai nazisti, ma aumentati immediatamente dopo il 1945 – declinare rapidamente, come le opportunità di lavoro spostate in regioni più ad est e una dura concorrenza per i lavori rimasti che arriva sotto forma di migranti dall’Europa orientale e di rifugiati dalla Siria, Afghanistan, ecc. Questi nuovi arrivati vengono incolpati da molti giornalisti e politici di tutti i guai. Ciò serve a spostare l’attenzione lontano dalle cause reali dei problemi e simultaneamente fornisce la farina al mulino che produce movimenti neofascisti o di estrema destra di ogni sorta.
La caduta del comunismo è risultata molto utile a una minoranza, ma altamente svantaggiosa per la maggioranza della popolazione, da ambo i lati dell’ex-Muro di Berlino. Ha avuto, inoltre, conseguenze assai sfavorevoli per i milioni di persone del Terzo Mondo. Negli anni successivi al 1945, la causa della democrazia aveva fatto significativi passi in avanti in quei paesi, dato che gli abitanti di innumerevoli colonie nel mondo potevano realizzare i loro sogni d’indipendenza.
Ciò fu reso possibile grazie al sostegno dell’Unione Sovietica anti-imperialista e nonostante l’ostinata resistenza allestita dalle potenze occidentali che erano i padroni coloniali. Questi ultimi colpirono con guerre spietate e sanguinose i combattenti della libertà. La Francia e gli Stati Uniti, ad esempio, cercarono (invano) di distruggere i movimenti rivoluzionari in Algeria e in Vietnam, massacrando in questo progetto milioni di persone. In molte colonie che guadagnarono la loro indipendenza, le potenze occidentali fecero uso di assassinii (ad esempio, Lumumba), corruzione, embarghi, destabilizzazioni, colpi di stato, ecc. Architettarono anche false rivoluzioni (« rivoluzioni colorate ») per assicurarsi che nessun esperimento socialista venisse messo in piedi o avesse successo e che i regimi saliti al potere servissero gli interessi dei loro vecchi padroni coloniali.
Non era facile, comunque, perseguire progetti neo-colonialisti fin tanto che esisteva l’Unione Sovietica, perchè Mosca forniva considerevoli aiuti, primo alle forze rivoluzionarie che combattevano per l’indipendenza nelle colonie e in seguito nelle ex-colonie, specialmente – ma non esclusivamente – quando optavano per il modello di sviluppo sovietico. Dopo la caduta del Muro e l’implosione dell’Unione Sovietica, tuttavia, le potenze occidentali, e soprattutto il loro leader, gli USA, trovarono molto più facile imporre la loro volontà alle ex-colonie.
Questo non volle dire soltanto che alle ex-colonie non venne ulteriormente concesso di imitare il modello sovietico e di seguire la strada socialista verso lo sviluppo, cosa che alcune di loro avevano originariamente inteso fare : da allora in poi fu verboten intraprendere ogni iniziativa economica autonoma come, ad esempio, chiudere le porte ai prodotti d’esportazione occidentale o ai capitali d’investimento e/o usare le proprie materie prime come il petrolio a beneficio delle proprie popolazini anzichè a profitto degli investitori americani o di altri paesi. Quest’ultimo fu il grande peccato commesso da Saddam Hussein, Bashar al-Assad, Nicolàs Maduro e, recentemente, Evo Morales. Gli obiettivi neo-coloniali potevano ora venire raggiunti attraverso bombardamenti, invasioni e altre forme brutali di guerra aperta, come è successo in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria, o guerre economiche, ad esempio contro Cuba e il Venezuela.
Queste guerre hanno un carattere estremamente anti-democratico, dato che costano milioni di vite, in gran parte povera gente, comprese innumerevoli donne e bambini. E i regimi installati dai vincitori si sono tutti rivelati anti-democratici, impopolari, corrotti senza speranza e talvolta non all’altezza di governare un paese.
Mentre queste guerre sono state una catastrofe per milioni, appaiono neravigliose per i produttori occidentali (in gran parte americani) di sofisticati e super-costosi armamenti. Gli alti costi di queste guerre vengono socializzati in quanto responsabilità dello stato e pertanto i cittadini comuni si devono sorbire crescenti quote di tasse, mentre i profitti sono privatizzati, cioè finiscono nei portafogli degli azionisti di gruppi industriali (in gran parte multinazionali) e banche la cui quota di tasse è stata ridotta a un livello ridicolmente basso. Le guerre neo-coloniali rese possibili, o almeno facilitate, dalla caduta del Muro di Berlino e dal collasso dell’Unione Sovietica, in tal modo non solo rovinano le vite di milioni di abitanti dei paesi poveri del Terzo Mondo, ma contribuiscono anche a rendere – nei paesi dell’Occidente - i ricchi ancora più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Queste guerre consolidano non solo le ricchezze, ma anche il potere dei ricchi e potenti : costituiscono un pretesto per limitare la libertà della gente comune in nome della sicurezza nazionale e del patriottismo. Il presidente George W. Bush ha raggiunto questo obiettivo di repressione con il Patriot Act, mentre internet e specialmente i social media vengono utilizzati in modo crescente per spiare (e così intimidire) le moltitudini. Grazie alla caduta del Muro di Berlino, pertanto, « l’1 per cento » è diventato più ricco e più potente come non mai prima, e il « 99 per cento » più povero e senza potere. Se tu sei in quell’ « 1 per cento », va avanti e celebra la caduta, trent’anni fa, del Muro di Berlino, ma per favore non chiedere al resto di noi di farlo con te.
(traduzione Silvio Calzavarini)