Enzo Collotti
(il manifesto, 10 febbraio 2019)
A poco più di due settimane dal giorno della Memoria in ricordo della Shoah, gli italiani sono chiamati a celebrare con il giorno del Ricordo l’orrore e la tragedia delle Foibe. In entrambi i casi come vittime, ma in entrambi i casi come vittime non innocenti. Se nello sterminio degli ebrei furono complici dei nazisti, nel caso delle foibe furono coinvolti da un insieme di circostanze più complesse, che solo la memoria corta degli italiani e l’ipocrisia di buona parte della classe dirigente hanno espulso dalla memoria collettiva.
Già altre volte abbiamo sottolineato le responsabilità del regime fascista nella snazionalizzazione degli sloveni e dei croati che dopo il 1918 vennero a trovarsi entro i confini dello stato italiano. Nel 1941 l’aggressione dell’Italia alla Jugoslavia e l’annessione violenta della provincia di Lubiana a Regno d’Italia contribuirono in modo decisivo alla dissoluzione dello stato Jugoslavo e alla apertura della fase storica che sfociò nella Jugoslavia di Tito. In ciascuna di queste fasi le autorità politiche e militari italiane, al di là di ogni problema geopolitico, si mossero nel presupposto che le popolazioni slave rappresentassero, come ebbe a dire nessun altri che Mussolini, una razza inferiore e barbara nei cui confronti fosse possibile e lecito imporre il pugno duro e purificatore dei dominatori.
Le foibe si inseriscono in questo contesto e nella spirale di violenze che fecero seguito. Al di fuori di questo quadro non c’è la possibilità di comprendere le ragioni degli orrori dei quali parliamo e dei quali rischiamo di tornare a rimanere vittime. Nessuna menzogna potrebbe capovolgere questa realtà della storia o avvelenare la nostra memoria, impedendo la consapevolezza e le nefandezze di un passato che avremmo potuto considerare ormai alle nostre spalle. Se così non è dobbiamo tornare a riflettere sulla superficialità con la quale i politici di turno si sono impossessati di una questione di forte impatto emotivo per alterare la storia e la memoria e sfruttare la credulità di una opinione pubblica anestetizzata dalla retorica patriottarda.
A pensarci bene la questione delle foibe serve a coprire il vuoto di consapevolezza a decenni di distanza della vera realtà della sconfitta del Paese, ma anche della capacità della popolazione di rialzare la testa e di affrontare i sacrifici che hanno consentito la ricostruzione. Mettere al centro dell’attenzione le foibe non serve a sottolineare le offese subite ma a perpetuare uno sterile vittimismo che non contribuisce a fare i conti mancati con il passato, ma neppure a consolidare il consenso a questa nostra democrazia minacciata da tante insidie. Una di queste è la negazione della verità che mistifica la menzogna e alimenta l’ipocrisia.
L’enfatizzazione delle foibe ha ritardato la riconciliazione con le vicine popolazioni slave, ha reso più difficile la cicatrizzazione delle ferite della guerra, ha oscurato i drammi veri delle popolazioni costrette a lasciare le loro case e la loro terra, le uniche che abbiano pagato per tutti gli italiani le malefatte di un regime criminale senza che ci siano stati gesti ufficiali da parte dello Stato democratico di rottura e di risarcimento nei confronti di un passato da condannare senza riserve.
La prassi tutta italiana di coprire con l’oblio passaggi storici che avrebbero meritato un forte impegno di autocritica e di verità in questo, come in tanti altri casi, si è alleata alla rimozione di memorie scomode e allo loro banalizzazione. L’orrore delle foibe deve servire a richiamarci periodicamente alle nostre responsabilità storiche e non certo a rinnovare il rito del nostro vittimismo. E alla fine spiace constatare che il presidente della Repubblica Mattarella non condivida questa per noi ovvia conclusione.