Paolo Ciofi *
La paradossale vicenda del bilancio dello Stato italiano si conclude in modo farsesco e al tempo stesso drammatico e rischioso. Sia perché il Parlamento della Repubblica democratica fondata sul lavoro è stato umiliato ed espropriato del suo ruolo, ridotto a un inutile fantasma chiamato prima a votare sul nulla e poi a ratificare decisioni prese da altri in altre sedi: un colpo duro alla democrazia. Sia perché il cosiddetto governo del cambiamento nella sostanza non ha cambiato un bel niente, limitandosi ad applicare i dispositivi stabiliti in sede europea. Secondo i quali, una volta garantito l’equilibrio monetario del sistema con la valuta unica, e fissati i parametri relativi al deficit di bilancio e al debito pubblico, a tutto il resto provvede il mercato.
L’occupazione, il salario, la tutela della natura, i diritti sociali e civili, ossia l’intera condizione umana, ridotti a varabili dipendenti dal mercato. Questa è la scelta. La sovranità del mercato, vale a dire del capitale, non è stata minimamente contrastata.
Tutto ciò impone una svolta radicale. L’esigenza di progettare un’alternativa programmatica e di movimento allo stato di cose presente, in grado di raccogliere con proposte concrete il malessere e il disagio sempre più diffusi, è diventata pressante in tutta Europa. Ed è indispensabile per contrastare con efficacia le crescenti spinte nazionalistiche e fascistiche. Detto in estrema sintesi: all’Europa della finanza e dei mercati, quale è attualmente la UE, occorre contrappore non il ripiegamento nazionalista, ma un’altra idea d’Europa. L’Europa dei popoli e dei lavoratori.
Oggi la UE è l’espressione tecnico-politica del dominio del capitale. E al tempo stesso un campo di battaglia in cui si contrastano le grandi multinazionali del capitalismo finanziario digitalizzato, e in cui gli Stati più forti dettano legge su quelli più deboli. Alla sovranità del mercato per il tramite della moneta unica hanno corrisposto la distruzione dei diritti sociali, a cominciare dal diritto al lavoro, e la crisi dell’intero sistema del welfare. Le lavoratrici e i lavoratori, donne e uomini, giovani e anziani, migranti e autoctoni, sono posti in concorrenza e in lotta tra loro per il salario, per l’occupazione, per le più elementari condizioni di sussistenza. La divisione delle persone che per vivere devono lavorare è dunque fattore costitutivo della UE: una situazione insostenibile che rende l’Unione una costruzione fragile e incerta, e spinge il Vecchio Continente in una posizione gregaria e subalterna nel nuovo ordine geopolitico che si profila nel mondo.
È stato distrutto, per iniziativa delle stesse socialdemocrazie, il compromesso tra capitale a e lavoro. Di conseguenza, private di rappresentanza e di organizzazione politica le classi lavoratrici del nostro tempo, è entrato in crisi l’intero impianto democratico costruito in Europa dopo l’abbattimento del nazifascismo. In radicale contrapposizione non solo con la Costituzione italiana che fonda sul lavoro i principi di uguaglianza e libertà, ma anche con il tradizionale Stato di diritto d’impianto liberale, non più in grado di reggere l’urto di una oligarchia di proprietari universali. I quali usano le innovazioni scientifiche e tecnologiche per rafforzare il loro potere, diffondendo le più aberranti forme di sfruttamento degli esseri umani e della natura, e di dominio sul genere femminile.
Il tali condizioni la principale questione politica e sociale che si pone in Europa è quella di far crescere la cooperazione e l’unità solidale tra le lavoratrici e i lavoratori, tra tutti coloro i quali subiscono le conseguenze distruttive della crisi. Mettendo in campo una prospettiva che rovesci le tendenze attuali e faccia avanzare un’altra idea d’Europa in grado di contrastare le cause della povertà e dei movimenti migratori, ridefinendo i principi di uguaglianza e di libertà. Perciò è irrinunciabile una piattaforma programmatica europea, che muovendo da tre presupposti cardinali – il protagonismo della classe lavoratrice, la differenza di genere, la tutela della natura e dell’ambiente storico-culturale – metta al centro alcune scelte discriminanti, come quelle che seguono.
-La transizione ecologica integrale della base economica e dei servizi, in modo da assicurare, insieme a un’equilibrata riproduzione della natura, una vita dignitosa per tutti e per tutte. Ciò che comporta la definizione di un piano per l’occupazione e la qualificazione del lavoro, rivolto in particolare al lavoro di cura, alla tutela dei beni ambientali e culturali, alla messa in sicurezza dei territori e al risanamento delle periferie urbane.
-La promozione programmata dell’innovazione scientifica e tecnologica correlata alla riduzione dei tempi di lavoro e all’elevazione culturale della popolazione, assicurando l’istruzione gratuita fino al livello superiore e per i meritevoli fino all’università.
-L’aumento dei salari e degli stipendi in modo da elevare il livello di vita per tutti i residenti, a parità di condizioni tra donne e uomini per pari lavoro, e contrastando sistematicamente i lavori precari.
-La fissazione di standard comuni in Europa per le tutele sanitarie e previdenziali e per la tutela della maternità, corredati di adeguati servizi in modo da contrastare il calo delle nascite e la mortalità infantile. Assicurando al tempo stesso in tutta Europa il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza.
La nuova Europa deve dare attuazione al diritto al lavoro e all’insieme dei diritti sociali e civili. A tal fine andrebbe ripreso e ripensato anche il progetto di un’Europa federale contenuto nel Manifesto di Ventotene, dove è scritto che la «rivoluzione europea» «dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici».
Le scelte sopra indicate comportano l’eliminazione dei paradisi fiscali, il controllo e la tassazione sui movimenti dei capitali, la separazione delle banche commerciali dalle banche d’investimento come premessa per la tutela del risparmio. Nonché un vero e proprio rivoluzionamento dei sistemi fiscali secondo i criteri della progressività in base al principio che chi più ha più paga; dell’introduzione dell’imposta sui grandi patrimoni (con esonero della casa d’abitazione); della lotta senza quartiere all’evasione e all’elusione fiscale.
C’è bisogno di un’Europa né antirussa né antiamericana, porta aperta sul Mediterraneo e sul mondo, ordinata al fine della coesistenza pacifica tra i popoli e al disarmo generale, e quindi al ripudio della guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali. Un’Europa che, costruendo su nuove basi la rappresentanza e l’organizzazione politica delle classi subalterne, si fondi sull’espansione di una democrazia progressiva in cui la centralità del Parlamento si coniughi con la partecipazione dei corpi intermedi e con inedite forme di democrazia diretta.
Per la costruzione di una nuova Europa può venire dall’Italia un duplice contributo: portando nel Continente i principi universali della nostra Costituzione e lottando in Italia per l’attuazione di tali principi.
* www.paolociofi.it