Emiliano Brancaccio
Pochi mesi fa alcuni giornalisti molto noti in Italia, che potremmo definire “liberali”, parteciparono a una serie di dibattiti con il leader di CasaPound, tenuti proprio nelle sedi dell’organizzazione neofascista. Enrico Mentana è la più nota delle illustri firme del giornalismo italiano che hanno preso parte a quelle iniziative.
Le motivazioni di Mentana e degli altri giornalisti liberali si possono riassumere nella celebre massima attribuita a Voltaire, peraltro apocrifa: “non condivido nulla di ciò che dici ma sono disposto a morire purché tu possa dirlo”.
Ebbene, non saprei esattamente spiegare il perché, ma da qualche giorno la mia mente viene continuamente catturata da un’immagine: quella del militante fascista tipo che ascolta con attenzione e deferenza questa massima, mentre lucida la sua spranga in attesa di qualche nuova testa da spaccare.
Naturalmente Mentana non è l’unico responsabile di una sottovalutazione del potenziale di sviluppo della violenza fascista.
La minimizzazione della minaccia nera, talvolta persino le connivenze con essa, sono aspetti tipici del rapporto controverso che molti liberali hanno storicamente intrattenuto con i fascisti.
Persino Benedetto Croce, il più celebre filosofo liberale italiano, commise in fin dei conti un errore di sottovalutazione: egli concepì il fascismo come una banale “ubriacatura”, un accidente pressoché casuale, una fugace “parentesi” causata dalla guerra. Altri studiosi, di orientamento analogo, hanno aggiunto che il fascismo è stato una mera reazione alla minaccia comunista e che in assenza di questa non potrà mai riaffiorare.
Gli odierni liberali la pensano più o meno in questi modi, direi tutti piuttosto rassicuranti. A loro avviso, ieri il fascismo fu una parentesi accidentale e oggi non costituisce una reale minaccia.
***
Io però seguo una diversa storiografia. A mio avviso, pur in forme continuamente rinnovate, il fascismo è un virus interno alla meccanica stessa del capitale, che si alimenta delle contraddizioni innescate dalle crisi capitalistiche.
Sebbene in forma blanda e mimetizzata, oggi il virus fascista è di nuovo attivo, la sua influenza sulle azioni di alcuni governi è già un dato di fatto.
Ovviamente non stiamo ancora parlando di un fascismo che si fa regime. Ma se qualcuno azzardasse che già ora stiamo rischiando un’egemonia culturale di stampo neofascista, ebbene io non lo troverei assurdo.
Per adesso, nelle arene politiche circolano solo emulazioni grottesche e persino un po’ ridicole, ma forme surrettizie di fascismo stanno realmente fiorendo e sembrano destinate a guadagnare forza ad ogni successiva crisi economica.
Si cita spesso il “18 Brumaio”, dove Marx sosteneva che la Storia tende a presentarsi prima come tragedia e poi come farsa. Io aggiungerei che a volte la sequenza si rovescia: prima la farsa, poi la tragedia.
Se vogliamo evitare di passare dall’odierna farsa a una futura tragedia, allora faremo bene a considerare la militanza antifascista un discrimine fondamentale per la politica del nostro tempo.
***
Qui però occorre fare una precisazione. Militanza antifascista significa innanzitutto comprensione delle cause materiali del fascismo.
A questo riguardo, la tesi che cerco di sostenere da tempo è che i liberali non sono semplicemente colpevoli di minimizzare il fenomeno fascista. I liberali, con le loro politiche economiche di “laissez faire”, sono la causa principale del revival fascista del nostro tempo.
L’anno scorso, intervistato dall’Espresso, sostenni che al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi non avrei votato nessuno: cioè, non avrei votato Macron per cercare di contrastare l’avanzata della Le Pen. Dichiarai che se fossi stato francese non avrei votato il delfino del più retrivo “laissez faire” finanziario per tentare di bloccare l’ascesa della signora fascista all’Eliseo.
Quella intervista fece discutere. Venni criticato da molti esponenti della sinistra, anche della cosiddetta sinistra radicale. Alcuni sostennero che il Brancaccio astensionista aveva torto, mentre il Varoufakis che appoggiava Macron aveva ragione.
Ebbene, oggi decisamente confermo la mia posizione di allora. Questo non solo perché Macron ha rivelato una chiara istanza di emulazione delle destre reazionarie in molte materie: dagli immigrati, alla sicurezza, alla gestione del conflitto sociale, a una lettura nazionalista dello scontro in Europa. Ma più in generale, io confermo quella mia scelta perché votare il cosiddetto “meno peggio” è oggi più che mai sbagliato: il “meno peggio” di oggi rappresenta la causa scatenante del “peggio” di domani.
Il punto è che la cultura di stampo neofascista, reazionaria e violenta, nemica delle libertà civili e nemica della classe lavoratrice, questa cultura nera non sta riaffiorando per caso.
Le ricerche del National Bureau of Economic Research e di altre autorevoli istituzioni evidenziano che il seme del fascismo fiorisce a seguito di feroci politiche di deregolamentazione dei mercati: politiche deflazioniste e di austerity, politiche di liberalizzazione dei mercati finanziari, politiche propagatrici di crisi e sperequazioni. Politiche che alimentano la peggiore reazione oscurantista.
Qualche giorno fa ho rilasciato un’intervista al Venerdì di Repubblica, rivista glamour e liberale per eccellenza. In quella intervista cerco di spiegare una cosa che reputo cruciale: oggi bisognerebbe hegelianamente comprendere che la bruta reazione sovranista e fascistoide di questi tempi è figlia indesiderata del liberismo globalista degli anni passati.
Il fascismo, cioè, come eterogenesi dei fini del liberalismo.
Se comprendiamo questa fondamentale relazione di causa ed effetto, capiremo anche perché gli appelli di Massimo Cacciari e di altri, molto propagandati dalla stampa liberale di sinistra, appelli per organizzare per le prossime elezioni europee un grosso accrocco antifascista, che vada da Macron fino a Tsipras, questi appelli rappresentano un assurdo della logica politica.
Sono appelli sbagliati, perché l’antifascismo liberista e deflazionista di Macron e dei suoi epigoni è un ossimoro, è una contraddizione in termini. E’ un’ipocrisia politica ed è un fallimento annunciato.
Se vogliamo fare i conti con l’onda nera di stampo neofascista che affiora all’orizzonte, allora dobbiamo prima logicamente fare i conti con le politiche economiche dei liberali, che hanno alimentato quell’onda funesta.
Questo è un punto importante, perché la tentazione di accodarsi ancora una volta ai liberali incapaci di qualsiasi revisione critica, è una tentazione forte e diffusa. Ed è sbagliata.
***
Ma c’è anche un’altra tentazione di accodarsi, persino più perniciosa.
E’ la tentazione, che si diffonde anche tra le file della cosiddetta sinistra radicale, di scimmiottare maldestramente le destre sovraniste e reazionarie nei loro più neri propositi.
Io sono al tempo stesso politicamente inorridito e scientificamente affascinato dalla mostruosa trasformazione, degna del Dottor Jekyll di Stevenson, che alcuni ex compagni hanno subito in questi anni.
Ex compagni che oggi prendono gli immigrati come capro espiatorio di ogni male economico e che prendono le distanze da fondamentali battaglie per i diritti: come quelle per l’uguaglianza di genere, per la libertà e l’emancipazione sessuale e contro ogni discriminazione, le battaglie per l’aborto, per la critica della superstizione, per una cultura laica e progressista nelle scuole.
Vorrei dirlo con chiarezza anche agli esponenti della Linke, di France Insoumise e ai nostrani più o meno disorientati: cedere di un solo millimetro, compiere un solo passo verso le agende politiche delle destre reazionarie, significa rinnegare in un colpo solo una storia più grande di loro.
Una storia che parte dall’illuminismo, che passa per le grandi rivoluzioni rosse, che attraversa il secolo con l’ecologismo, con il femminismo, con la critica della famiglia borghese. E’ la storia di chi interpreta e agisce nel mondo sulle basi scientifiche del materialismo storico e della lotta di classe. Basi che sono oggi paradossalmente note e apprezzate dai grandi magnati della finanza globale, e che invece sfuggono inesorabilmente ai sedicenti tribuni degli oppressi del nostro tempo.
Questa storia eccezionale è l'unica ragione di fondo per cui, sia pure in questo tempo così cupo, si può tuttora scommettere razionalmente su un futuro di progresso civile e di emancipazione sociale.
Gettare al macero questa storia straordinaria per portare avanti una strategia “codista”, al traino delle peggiori destre reazionarie, è l’idea politica più ottusa e perdente che mi sia toccato di commentare in tutta la mia vita. Confido che i fatti rivelino presto l'insulsaggine di questa idea.
***
Permettetemi un’ultima considerazione sulle proposte.
Elaborare un punto di vista autonomo e di classe, sia contro l’agenda stantia delle destre liberali sia contro la propaganda delle destre reazionarie in ascesa, è un’impresa colossale. E’ un’impresa che richiede un lavoro continuo sul durissimo terreno della conquista di credibilità nel campo della politica economica.
Conferire credibilità a una politica economica alternativa: l’egemonia passa anche per questo difficile compito.
Perseguire l’obiettivo della credibilità significa avere piena coscienza della portata gigantesca dei problemi dinanzi ai quali ci troviamo.
Significa quindi di evitare scorciatoie inverosimili, come quella delle piccole enclaves eque e solidali, o dell’autonomismo municipale in campo monetario, tanto per citare un esempio di cui si discute in questi giorni nella mia città.
Ma soprattutto, perseguire l’obiettivo della credibilità significa mettere ordine tra le cose. Significa ad esempio comprendere che la riduzione dell’orario di lavoro o il reddito di base, che sono citati nel titolo di questa sessione, sono obiettivi che possono essere realisticamente perseguiti in un’ottica di classe solo in un contesto di lotte per la rottura dell’attuale regime di accumulazione del capitale basato sulla centralità del mercato finanziario. Un regime che trae forza dalla indiscriminata libertà di circolazione globale dei capitali, e che attraverso di essa diffonde crisi, iniquità, sprechi e inefficienze nel mondo.
Contro la barbarie che affiora all'orizzonte, l’edificazione di un futuro alternativo, di progresso civile e di emancipazione sociale, passerà necessariamente per una critica dell’illusione di efficienza e di equità dei mercati, a partire dai mercati finanziari.
Nella fase attuale, di caos e disorganizzazione, questo gigantesco obiettivo può esser perseguito anche tramite semplici parole d'ordine, intorno alle quali cercare di riunificare un'opposizione efficace alle ipocrisie "populiste" delle destre reazionarie. Ad esempio, contro la proposta oscurantista del rigido controllo dell’immigrazione, su cui queste destre fanno proseliti, ci si può riunire intorno alla proposta alternativa, razionale e progressista, di uno "standard sociale" per il controllo dei movimenti internazionali dei capitali. Si tratta di una proposta che oggi trova riscontro persino nei ripensamenti di grandi istituzioni liberiste come il Fondo Monetario Internazionale, ma che tuttora fatica ad attecchire nelle agende delle forze sedicenti progressiste.
Ma più in generale, oltre le angustie della fase attuale, il punto di fondo è che la costruzione di un futuro di progresso e di emancipazione richiederà necessariamente una ripresa e una rielaborazione, in chiave moderna, di un discorso molto più ampio e di sistema. E' il discorso sulla pianificazione: sulla storicizzazione dei gravi limiti e degli errori della pianificazione sovietica; sulle possibilità della pianificazione discusse persino dal Congresso degli Stati Uniti nel 1975, poco prima dell’avvento della disastrosa Reaganomics; e sul potenziale di sviluppo dei diritti di libertà nel contesto di rinnovati esperimenti di pianificazione democratica e socialista. Perché è anche ora di superare l’ingenua concezione hayekiana del capitalismo come garanzia in sé di libertà.
Potranno volerci molti anni e molto duro lavoro per rendere egemonici la critica dell’efficienza del mercato e il discorso sulla modernità della pianificazione. Ma è l'unica seria via praticabile. Il mio auspicio è che si cominci a lavorare collettivamente su di essa, anziché agitarsi ad ogni appuntamento elettorale dietro l'angolo.
Questa dunque è la mia unica speranza. Che le nuove generazioni lavorino su una rinnovata dialettica tra lotte per il progresso e l'emancipazione civile e sociale e teoria della politica economica, e che invece si tengano alla larga da qualsiasi tentazione di assecondare le patetiche strategie “codiste” di questo tempo: delle combriccole che si affannano a ricavarsi un piccolo ruolo servente tra i portatori d’acqua della destra liberale in declino o della destra reazionaria in ascesa. O della loro funesta sintesi prossima ventura.
(da: http://brancaccio.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/09/27/contro-le-sinistre-codiste/)