Manfredi Alberti, Alexander Höbel

 

1. Il 5 maggio di duecento anni fa nasceva a Treviri Karl Marx. Un uomo destinato a un ruolo di primissimo piano nel corso di tutta l’età contemporanea, come pensatore critico e come ispiratore dei più radicali processi rivoluzionari della storia del Novecento.

Che cosa resta di Marx, oggi? È la domanda che in molti si pongono, e a cui è necessario rispondere per dare un senso al recupero, oggi quanto mai urgente, dell’eredità teorica e pratica del pensatore di Treviri e del marxismo.

In primo luogo Marx ci ha lasciato una teoria, il materialismo storico, in grado di aiutarci a comprendere meglio la storia e la società in cui viviamo. Gli scritti di Marx costituiscono uno straordinario patrimonio di analisi che ci consegna innanzi tutto un metodo per svelare i meccanismi fondamentali dell’attuale società, quella capitalistica, la quale, nonostante i cambiamenti intervenuti dall’Ottocento a oggi, continua a essere regolata dalle medesime forme di organizzazione della produzione e sfruttamento del lavoro: la proprietà privata dei mezzi della produzione, la centralità del lavoro salariato, della merce e quindi dei rapporti di denaro. Oggi, almeno in Occidente, la classe sociale composta da coloro che lavorano in cambio di un salario non è più in prevalenza composta da operai e contadini, come ai tempi di Marx, ma è rappresentata da una pluralità di figure professionali legate prevalentemente al mondo dei servizi: i tecnici, gli informatici, gli addetti alla grande distribuzione, al commercio online, alla logistica, ai servizi telefonici e così via. Tutti costoro, tuttavia, proprio come nell’Ottocento, vivono oggi in una condizione di precarietà lavorativa e di subordinazione sociale rispetto a chi detiene il controllo della produzione, e che ricava profitti dal lavoro altrui.

L’attualità delle categorie utilizzate da Marx per descrivere il funzionamento della società capitalistica è tanto più evidente oggi, in un’epoca in cui la centralità del mercato e della libertà per chi possiede capitali è stata pienamente ripristinata, dopo una parentesi che in Europa è durata all’incirca un trentennio, quello che il grande storico marxista Eric J. Hobsbawm ha definito “l’età dell’oro” del Novecento. Tale importantissima “parentesi” ha corrisposto a quella fase, iniziata dopo la seconda guerra mondiale e conclusasi tra anni Settanta e Ottanta, in cui le economie capitalistiche occidentali dovettero accettare profonde riforme di struttura per recepire alcune delle richieste avanzate dal movimento operaio, quelle forze, cioè, che alle teorie di Marx si ispiravano, e che trovavano uno stimolo costante nell’esperimento politico ed economico della società sovietica nata dalla rivoluzione dell’ottobre 1917.

La fine di quella “età dell’oro” coincide, non a caso, con il crollo dell’Urss e del blocco dei paesi socialisti, che per circa settant’anni, a partire dalla rivoluzione bolscevica, tentarono di costruire una società radicalmente alternativa a quella capitalistica, fondata sulla dimensione collettiva della produzione e sul superamento delle diseguaglianze sociali ed economiche. Un tentativo che pur tra molti limiti e contraddizioni, in un contesto di isolamento internazionale, ha rappresentato nel corso del Novecento il primo grande sforzo di traduzione in pratica delle analisi e delle indicazioni pratiche di Marx. Fu nell’ambito dell’esperienza sovietica che si realizzarono straordinari processi di emancipazione di quelli che Gramsci definisce i subalterni: i lavoratori salariati, le donne, le nazionalità oppresse. Fu in quei paesi che vennero praticati un protagonismo inedito e nuove forme di potere dei lavoratori, accanto a un originale modello di intervento dello Stato nell’economia, tale da garantire una rapidissima crescita dell’apparato produttivo e la redistribuzione delle risorse, anche attraverso l’erogazione su larga scala di servizi sociali gratuiti ai cittadini. L’esperienza dell’Unione sovietica, troppo sbrigativamente liquidata, costituì dunque un’enorme sfida anche alle economie di mercato, le quali fra gli anni Cinquanta e Settanta, quasi in un processo “imitativo”, introdussero alcuni elementi di programmazione dell’economia e allargamento del welfare State. Infine, fu grazie alla prima rottura della catena imperialistica, operata dai bolscevichi nel 1917, che prese avvio quel processo di liberazione dei popoli coloniali il quale ha caratterizzato gran parte del XX secolo, ponendo le basi del mondo multipolare di oggi.

Queste ultime considerazioni ci portano a evidenziare l’altro grande motivo per ritenere Marx un pensatore “vivente”. Nonostante le apparenze, il mondo che abbiamo oggi di fronte è fortemente condizionato dal pensiero di Marx e dalla vicenda del marxismo. Le idee di Marx sono importanti perché hanno dimostrato nella prassi di poter attivare importanti processi di trasformazione della realtà (notiamo a questo proposito che la coincidenza fra il pensiero e l’essere, fra il soggetto e l’oggetto, è un’idea hegeliana che Marx ha rielaborato nelle forme del materialismo storico, e che indica come la realtà che ci circonda non sia un qualcosa di separato, di meccanico, che sta al di fuori della sfera umana, quanto piuttosto una parte integrante dell’attività dell’uomo, nella misura in cui le idee si convertono in azioni pratiche volte a plasmare la società). Ebbene, non soltanto nelle nostre società – nonostante la regressione a cui accennavamo prima – sono rimasti effetti duraturi, tracce consistenti dell’azione del movimento operaio e delle forze legate al marxismo (dal suffragio universale ai nuovi diritti in campo sociale e politico), ma gli oggetti che ogni giorno maneggiamo – molti dei quali “made in China” – lasciano trasparire un effetto del marxismo finora forse non del tutto preso in considerazione: l’affermazione della Repubblica popolare cinese come nuovo colosso industriale, capace di “invadere” con le sue merci tutto il mondo e soprattutto di lanciare una nuova, pacifica sfida egemonica ai paesi imperialisti. Senza la rivoluzione del 1917 e i suoi sviluppi, senza la rivoluzione comunista cinese del 1949, anch’essa figlia del pensiero di Marx, non sarebbe mai potuto accadere che un popolo semicoloniale come quello cinese riuscisse a emanciparsi da quella condizione, avviando un processo di rapidissima crescita economica e fuoriuscita di milioni di persone dallo stato di povertà.

 

2.  La storia, dunque, con buona pace di Francis Fukuyama, non è finita, la sua dialettica crea incessantemente nuovi sviluppi, contraddizioni e conflitti. Il primo artefice di tale dialettica rimane, del resto, proprio il capitale; il punto di partenza è nei progressi tecnologici e nelle continue trasformazioni del modo di produzione che hanno sempre caratterizzato la storia umana, producendo costantemente nuove forme della lotta di classe.

Nel suo incessante trasformarsi, il capitale continua a produrre contemporaneamente sviluppo e crisi; la crisi è di fatto non una patologia, ma la fisiologia stessa del sistema. Il sistema capitalistico è riuscito finora a uscire da ogni crisi aprendo sempre una nuova fase del suo sviluppo, portando le contraddizioni a nuovi livelli, allontanandole nel tempo ma in fin dei conti accrescendone la portata. Oggi i margini di questo continuo “spostamento” sembrano piuttosto ridotti e il capitalismo appare nel pieno di una “crisi organica”.

La polarizzazione sociale insita nel sistema, a partire dalla forbice dei redditi documentata anche da studiosi non marxisti come Thomas Piketty, non è mai stata così ampia, tanto da far parlare movimenti come Occupy Wall Street di una lotta del 99% dell’umanità contro un 1% di oligarchi privilegiati, quella “classe capitalistica transnazionale” di cui parlava Luciano Gallino.

Al tempo stesso, la contraddizione tra il formidabile sviluppo delle forze produttive, che con il portentoso progresso tecnologico in atto potrebbe davvero liberare il lavoro umano, e i rapporti sociali di produzione, ancora stretti nelle maglie del sistema capitalistico, non è mai stata così stridente. Per la prima volta nella storia l’umanità ha le condizioni oggettive per liberare il lavoro, superare lo sfruttamento e l’alienazione, e tuttavia mai come ora l’idea stessa di tale possibilità appare rimossa e offuscata.

Gli stessi limiti fisici del pianeta Terra non consentono quella produzione tendenzialmente infinita di merci che il capitale persegue: la produzione fine a se stessa di valori di scambio, senza alcuna cura per i valori d’uso e l’utilità sociale di quanto si produce, si scontra oggi con il ridursi delle risorse disponibili, dalle fonti energetiche a beni primari come l’acqua potabile, che non a caso il capitale cerca di privatizzare e mercificare, come fa con ogni cosa, fino alle sementi agricole e allo stesso DNA umano. La produzione illimitata e insensata di merci e l’anarchia del mercato capitalistico stanno già provocando danni ambientali gravissimi, rischiosi cambiamenti climatici, migrazioni di massa, nuove guerre. Per la prima volta nella storia, lo stesso ecosistema è a rischio, e a metterlo in pericolo è proprio la logica insensata del capitalismo, che ha aperto ormai una vera e propria crisi di civiltà. Espliciti riferimenti alla questione ambientale posta dal dominio del capitalismo, peraltro, sono già presenti nell’opera di Marx, dai Manoscritti economico-filosofici del 1844 al Capitale.

Ancora una volta, come ai tempi di Marx, la costruzione di un ordine sociale ed economico più avanzato e finalmente umano appare l’unica alternativa possibile rispetto alla comune rovina delle classi in lotta, ossia agli esiti catastrofici che il capitalismo mondializzato sta prefigurando.

L’abbandono (o quanto meno l’accantonamento) del marxismo operato negli ultimi decenni per pigrizia intellettuale, opportunismo e subalternità culturale ha privato i subalterni di una bussola preziosa. Tornare ad appropriarsene, far vivere il marxismo nel contesto attuale, con le contraddizioni e i problemi vecchi e nuovi che esso presenta, appare all’inverso un fattore indispensabile anche per la ripresa di quel movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente che costituisce oggi una necessità vitale per l’intera umanità. Ancora una volta, come Marx insegna, comprendere e interpretare la realtà costituisce la premessa della sua trasformazione.

 

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