Francesco Barbagallo

 

Carlo Iannello, giurista della Università della Campania, ha pubblicato per Meltemi l’importante saggio Lo Stato del potere. Politica e diritto ai tempi della post-libertà. Al centro della ricerca è il rapporto tra democrazia e capitalismo, tra istituzioni liberal-democratiche e mercato. L’indagine approfondisce le politiche definite neoliberali, che nell’ultimo quarantennio hanno prodotto cambiamenti radicali non solo in campo economico e sociale, ma anche nei sistemi costituzionali degli Stati del mondo occidentale.

Queste politiche hanno perseguito e realizzato l’obiettivo di introdurre la concorrenza come principio regolatore della intera società. Hanno perciò emarginato gli organi democratico-rappresentativi per impedire che le dinamiche di mercato fossero falsate dai fini sociali, le istanze di giustizia sociale, le politiche di carattere redistributivo perseguite da questi organismi politico-rappresentativi.

Lo Stato, quindi, non è affatto scomparso, ma si è profondamente modificato, quasi rovesciato nella nuova forma di Stato neoliberale dotato di propri caratteri. Il punto fondamentale è che il fine dell’azione pubblica non è più la ‘conservazione’ dei diritti naturali dei cittadini, individuati dal costituzionalismo liberale ottocentesco e poi da quello sociale novecentesco, ma è diventato la creazione dell’ordine giuridico del mercato. I diritti sociali sono stati svuotati dal tramonto del solidarismo.

In una prima fase sono rimaste intatte le sole libertà legate al mercato. Ma ora anche la libertà di iniziativa economica e la proprietà, architravi del neoliberalismo, vengono minacciate dalla stessa realizzazione dell’ordine imposto dalle politiche neoliberali, che ha concentrato il potere nelle mani di pochi soggetti privati. L’assetto monopolistico realizzato dalle forze economiche dominanti il mondo occidentale minaccia ora addirittura il mercato e le libertà economiche. Lo Stato è sempre più confinato nel ruolo di esecutore di decisioni assunte da un mercato sempre più oligarchico. Le grandi imprese multinazionali, le piattaforme digitali e i più grandi fondi di investimento hanno occupato il vuoto lasciato dalla eclissi della politica e si sono sostituiti allo Stato. Si è così affermata ‘l’impresa-Stato’ che usa lo Stato per conseguire i propri fini privati.

Nell’ultimo quarantennio le politiche neoliberali hanno affidato ai poteri pubblici il compito di ‘creare’ il mercato, considerato un ordine ‘artificiale’ che doveva essere costruito dal diritto. Il rapporto tra lo Stato e il mercato è stato capovolto. L’intervento pubblico non ha più perseguito finalità politiche e sociali e si è trasformato in servitore del mercato. Il ‘governo dei mercati’ descrive bene la trasformazione della struttura e dei fini del potere. Il vero potere di governo ha lasciato progressivamente le sedi politico-rappresentative per allocarsi nei mercati.

In tal modo la politica, il pubblico, il diritto sono stati subordinati all’economia di mercato. Ma ora sono in crisi gli stessi postulati del neoliberalismo (libertà economica, avversione alla pianificazione, ai monopoli, agli oligopoli), perché il potere di decisione è passato nelle mani di pochi grandi attori del mercato, in seguito alla inarrestabile concentrazione del capitale. I principali attori del capitalismo transnazionale hanno assunto le caratteristiche di un monopolio globale. I nuovi ‘padroni del mondo’ (A. Volpi, I padroni del mondo, Laterza 2024) puntano a governare l’economia e la società con nuove forme di pianificazione e un ricorso sempre più frequente all’emergenza e a uno stato permanente di eccezione.

Il concetto di neoliberalismo è stato utilizzato inizialmente da Michel Foucault nel corso del 1978-1979 al Collège de France sulla Nascita della biopolitica. Il neoliberalismo rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma rispetto al passato, una vera e propria rivoluzione copernicana. Per i liberali, come Adam Smith, il mercato era un ordine spontaneo. Per il neoliberalismo invece il mercato è una costruzione artificiale del diritto. Il potere pubblico ha il compito di creare l’ordine giuridico del mercato concorrenziale, che diventa il principio di legittimazione e il fine dello Stato. Il fondamento dell’azione pubblica per lo Stato economico neoliberale non è la legge, in quanto espressione della volontà popolare, ma la razionalità economica. La legge si trasforma nello strumento per predisporre le ‘regole del gioco’ del mercato concorrenziale (M. Foucault, cit.). Né il Governo, né il Parlamento sono più gli attori delle decisioni, ma solo esecutori, strumenti della piena espansione del mercato. Lo Stato del neoliberalismo fa tutto ciò che serve al mercato, ma non persegue più scopi di carattere politico ed economico-sociale fondati sulla giustizia sociale e sulla solidarietà.

Il principio concorrenziale è l’esatto opposto del principio solidaristico. Quindi non c’è più spazio per le tutele sociali, per le politiche redistributive del reddito. Ci sono solo procedure, competizioni, vincitori e sconfitti. La politica è neutralizzata, emarginata, eliminata. Diventa un fattore di perturbamento del sistema. Gli Stati, nel mondo occidentale, non si estinguono, ma vivono una fase di vera e propria mutazione genetica. È così che le politiche neoliberali hanno prodotto la precarizzazione del lavoro, la destrutturazione del welfare, l’aumento delle diseguaglianze, la sottrazione delle leve fiscali ai poteri pubblici (per garantire alle grandi imprese accesso defiscalizzato ai territori statali, in concorrenza tra loro).

La razionalità neoliberale impone di vivere in un “universo di competizione generalizzata”, che giunge a trasformare l’individuo in impresa, coinvolgendo anche la struttura psichica dell’individuo con effetti quindi di carattere antropologico. (Dardot-Laval, La nuova ragione del mondo, DeriveApprodi 2015). In quest’ordine neoliberale, in cui gli sfruttati aumentano sempre di più, non c’è più spazio per il conflitto sociale. Il conflitto è stato spostato a livello individuale, non ci sono più i soggetti collettivi. L’individuo è sempre più isolato e smarrito, di fronte a un potere economico e tecnico sconfinato. Il sovrano democratico è stato ‘annichilito’ e l’antisovrano, cioè un mercato sempre più oligarchico, occupa sempre più spazio a spese dell’evanescente governo democratico (M. Luciani Riv. di Dir. Costituz., 1996/1).

Anche la costruzione europea ha eroso i tradizionali poteri statali: le politiche neoliberali imposte dall’Europa hanno prodotto una ulteriore torsione mercatista. Giuseppe Guarino denunciò per tempo, già nel 1997, ‘la fine della politica’ determinata dal processo di integrazione europea. I vincoli all’indebitamento posti dall’Europa resero insostenibile il mantenimento del welfare e impedirono ogni politica economica sia a livello statale che sovranazionale. Il ‘non governo’ europeo deriva dal diritto dell’Unione, per cui né lo Stato, né l’Unione possono governare l’economia. In questo contesto il governement è stato sostituito dalla aziendalista-sociologica governance, che non è una variante del governo politico, ma la sua antitesi. Il non governo, la governance, il ‘governo dei mercati’ descrivono la nuova dislocazione del potere direttivo dell’economia e della società transitato dallo Stato in altre sedi opache: fondi di investimento, piattaforme tecnologiche, imprese multinazionali.

Infine, come Natalino Irti denunciava già nel 2004 in merito alla modifica dell’art. 114 della Costituzione per la famigerata ‘riforma’ del Titolo V realizzata nel 2001: “la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato”. <E come poi invocare o esigere il senso dello Stato -era l’amaro commento di Irti- quando lo Stato ha perduto ogni senso.>

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