Manfredi Alberti *

 

La storia del lavoro femminile, nelle sue relazioni con quello maschile, è un aspetto centrale dell'evoluzione delle società umane, entrato a far parte a pieno titolo della ricerca storiografica solo a partire dagli anni Settanta, con lo sviluppo degli studi di storia delle donne e sulla spinta dei movimenti di emancipazione femminile. L'ultimo libro di Alessandra Pescarolo, con un pregevole sforzo di sintesi di tale campo di studi, si pone l'obiettivo non semplice di tracciare un quadro complessivo del contributo delle donne alla sfera lavorativa nell'Italia contemporanea (Il lavoro delle donne nell'Italia contemporanea, Viella, pp. 364, euro 29).

Il volume ricostruisce i principali cambiamenti che hanno interessato il lavoro femminile dall'Unità d'Italia a oggi, collocandoli in un'evoluzione storica di lungo periodo, risalente al mondo antico. Un approccio ampio non solo nell'estensione cronologica, ma anche nelle dimensioni prese in esame: cultura, società, norme giuridiche, istituzioni politiche e strutture economiche. Nella consapevolezza di dover andare oltre l'apparente neutralità dei numeri, un'attenzione particolare è riservata alla critica delle fonti statistiche prodotte a partire dall’Ottocento, un compito che gli studi di genere hanno sin qui condiviso con la storiografia economica più accorta, ponendo questioni metodologiche cruciali per la riflessione storica. Pescarolo, pur utilizzando gli imprescindibili elementi conoscitivi racchiusi nei censimenti e nelle statistiche, ci aiuta a cogliere le deformazioni nelle stime del lavoro femminile prodotte dall'ideologia maschilista dominante, declinando così la storia della statistica come critica delle fonti e come decostruzione di rappresentazioni storicamente determinate della realtà.

L'autrice mette bene a fuoco il ruolo assunto dalle donne nel processo produttivo nelle diverse fasi della storia economica del Paese, delineando un quadro complesso che corrisponde alle diverse forme assunte dal lavoro tra Otto e Novecento, nella transizione dalla centralità del mondo agrario al predominio prima dell’industria e poi dei servizi. Gli scenari descritti spaziano dalla dimensione, difficilmente misurabile, del lavoro domestico e di cura al lavoro salariato agricolo e industriale, dal lavoro autonomo e artigianale a quello delle professioni del terziario. La tesi di fondo argomentata nel volume è che non si possa descrivere l'evoluzione storica del lavoro femminile in termini lineari, come un cammino ineluttabile verso la piena parità con l'altro sesso, essendo l'emancipazione delle donne un processo discontinuo e sempre esposto a forme di involuzione. La partecipazione delle donne al lavoro è mutata di continuo e in modi sempre nuovi in funzione dei differenti gruppi socio-professionali, in un contesto segnato dalla persistenza di lungo periodo del patriarcato, declinato e attuato in forme sempre diverse. A questo proposito l'autrice esamina accuratamente le alterne vicende del modello del male breadwinner (cioè il maschio come procacciatore principale di sostentamento della famiglia), non sempre corrispondente alla realtà storica dell'Italia otto-novecentesca.

La storia del lavoro femminile conferma un elemento che la storiografia mette sempre meglio a fuoco, ossia il carattere di discontinuità costituito dagli anni Settanta del Novecento. Un decennio complesso, che si fa fatica a leggere secondo una chiave di lettura unificante, ma che ciò nondimeno appare come il momento in cui da un lato prendono avvio importanti processi tuttora in corso, come l'aumento dell'occupazione femminile e l'emancipazione delle donne sul piano dei diritti e del riconoscimento sociale, dall'altro entrano in crisi quelle culture politiche della Prima repubblica che avevano guidato la democratizzazione del Paese a partire dalla stesura della Costituzione del 1948. Questa transizione, che diverrà più chiara a partire dagli anni Ottanta, si accompagnerà alla crisi del Stato sociale e all'aumento della precarietà del lavoro, problemi cruciali del tempo presente e terreno per una recrudescenza, sempre incombente, delle disparità di genere.

Non è possibile, come emerge dal libro di Pescarolo, comprendere la storia del lavoro femminile senza adottare un'ottica ampia, di sistema, che tenga conto delle specifiche e mutevoli forme assunte dal capitalismo in Italia, in relazione alle forme non capitalistiche di produzione. Da questo punto di vista, contrariamente a quanto auspicato da una parte del pensiero e della storiografia di genere, il cantiere teorico aperto da Marx risulta un punto di riferimento anche per pensare la storicità dei ruoli di genere e dei modelli familiari. Su questo tema alcuni spunti di riflessione suggeriti da Pescarolo meriterebbero di essere approfonditi. Tra questi, ad esempio, l'analisi marxiana del lavoro di cura delle donne come lavoro improduttivo, giudicata da molti come superficiale o svalutativa del lavoro femminile nell'unità domestica. In realtà, nell’opera di Marx (priva, sotto questo profilo, delle ambiguità presenti in quella di Adam Smith) il concetto di lavoro improduttivo non implica in alcun modo un giudizio sull'utilità sociale o sulle proprietà materiali di certe attività, come il lavoro casalingo o di servizio, ma riguarda unicamente la relazione sociale che quel lavoro instaura con il capitale, in un sistema economico incentrato su di esso.

 

* Da: “il manifesto”, 19 agosto 2020.

 

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