Alessia Balducci
Quando ho detto che da questa mia frequentazione imparai a tenere la penna in mano, c’è della generosità, ma in gran parte è così. Imparai a calcolare i significati di una parola, a inseguire una soluzione stilistica1.
Così Pratolini, redattore insieme ad Alfonso Gatto della rivista ‹‹Campo di Marte›› (pubblicata dall’agosto 1938 all’agosto 1939) in un’intervista a Ferdinando Camon parlava del suo rapporto con il gruppo ermetico fiorentino. Questa ammissione rispecchia un profondo legame tra l’autore di Cronache di poveri amanti e coloro che, poco più che ventenni, piuttosto che nell’impegno politico, incentravano la loro vita nel paradigma di Carlo Bo letteratura come vita. Qui tenteremo di evidenziare brevemente la presenza di un’idea peculiare di resistenza negli articoli pratoliniani all’interno del periodico e nelle sue prime opere: resistenza intesa come una fede “esibita” verso il lavoro letterario, presente in anni antecedenti la partecipazione dell’autore alla vera e propria Resistenza armata, partigiana, di cui egli stesso tratterà in Il mio cuore a Ponte Milvio2.
Vasco Pratolini, autodidatta nato a Firenze nel 1913, pur avendo alle spalle l’esperienza giornalistica segnata dalla collaborazione al ‹‹Bargello››, organo della Federazione dei Fasci di Combattimento di Firenze3, nel 1938 si trova letterariamente agli inizi, quando incomincia il nuovo sodalizio con Alfonso Gatto. Tanto quest’ultimo quanto Pratolini - mens politica che pure, come il suo compagno di viaggio, tende a liricizzare un mondo di case, città e mestieri - puntano sulla purità e sull’assolutezza di un riscatto morale oltre che estetico e prima che politico4. ‹‹Campo di Marte››, intorno a cui graviteranno i fuoriusciti del ‹‹Frontespizio›› come Luzi, Bigongiari, Parronchi5, e il più esperto Betocchi, per questo suo essere un foglio polemico, per la piega metafisica, nonché per il disinteresse verso la vita politica che i suoi giovani venivano assumendo, attirerà su di sé l’ostilità di buona parte dell’Italia letteraria e del fascismo stesso che, vedendo rivivere in questi scritti l’attenzione alla letteratura straniera tipica di ‹‹Solaria››, costringerà la rivista a chiudere i battenti dopo un solo anno di pubblicazione.
Nel primo articolo che il nostro autore scrive sulla rivista, Calendario6 e che darà il titolo ad una sferzante rubrica, si leggono i propositi dei redattori:
Come letterati, non potremmo dimenticarci di fidarci dell’intelletto, da uomini cercheremo di dire qualcosa che non sia soltanto un aggiogarsi al concetto della mezzanotte. Non siamo al servizio di nessuno, e non avendo interessi nessun interesse difenderemo. […] dedicheremo il nostro lavoro a documentarci, a precisare ciò che la fede ci ha portato, ci sforzeremo di chiarire il nostro giudizio sui fatti e idee della nostra generazione, alla quale negheremo sciovinismo e internazionalismo, faciloneria e pedanteria. Agli studenti domanderemo - fuori dalla palestra oratoria - cosa pensano e cosa interessa loro delle sorgenti spirituali dell’Italia contemporanea; agli operai domanderemo cosa può loro interessare, dopo lo sconcerto materialistico, della storia che essi impegnano giorno per giorno. Poiché il nostro torto è di non essere né studenti né operai, e di essere nello stesso tempo l’uno e l’altro insieme, vorremo ricercare i difetti per valutare le qualità originali su cui l’avvenire può contare.
In questo passaggio saltano agli occhi diversi elementi: anzitutto il plurale (es: difenderemo, ci sforzeremo, etc..), a significare la dimensione corale del lavoro, l’onere di essere la voce di un intero insieme che farà coincidere il proprio impegno non già con l’impegno politico, ma con un’analisi approfondita (es: dedicheremo il nostro lavoro a documentarci) delle caratteristiche dell’Italia contemporanea (altra espressione rilevante), svincolata da ogni interesse (si legge infatti: non avendo interessi nessun interesse difenderemo).
Nell’articolo si riscontra senz’altro una volontà di rigetto e ‘resistenza’ rispetto a un presente invadente ma senza attrattive, che non può non ricordare il discorso ‘manifesto’ dell’ermetismo che Carlo Bo aveva letto ai suoi amici del ‹‹Frontespizio› a San Miniato solo alcuni mesi prima e che confluirà nel saggio Letteratura come vita. Bo affermava:
Rifiutiamo una letteratura come illustrazione di consuetudine e di costumi comuni, aggiogati al tempo, quando sappiamo che è una strada più completa, per la conoscenza di noi stessi, per la vita della nostra coscienza. A questo punto è chiaro come non possa esistere - se non su una carta ormai abbandonata di calcoli e di storie letterarie - un’opposizione tra letteratura e vita7.
Se Bo usa il verbo “rifiutiamo”, Pratolini incalza con il suo “negheremo”; laddove il critico ligure scrive che la letteratura è una “strada più completa per la conoscenza di noi stessi, per la vita della coscienza”, l’autore fiorentino ammonisce che “come letterati non potremmo dimenticarci di fidarci dell’intelletto, da uomini cercheremo di dire qualcosa che non sia soltanto un aggiogarsi al concetto della mezzanotte”. Entrambi i giovani autori di fronte, per usare un’espressione pratoliniana, allo “sconcerto materialistico”8, reagiscono, resistono armandosi di una cultura non autoreferenziale, facendo della letteratura il centro nevralgico della loro esistenza, trasferendo il loro impegno sul piano concreto della scrittura. Certo, in Pratolini vi è anche un’attenzione al dato reale, nonché un preciso intento di rifondare tramite questi ideali la società, che in Bo non trova spazio: in Calendario diviene parola-chiave la storia, quell’instancabile dinamismo della storia, la sua sorprendente capacità di mostrare risvolti e spessori inediti, a fronte del tempo che è statico, per usare le parole di Marino Biondi9. Nell’autore de Le ragazze di San Frediano, oltre al paradigma letteratura come vita c’è il desiderio sempre più vivo, seppur ancora inconsapevole, di uscire ad ogni costo dal cerchio chiuso della letteratura e di riprendere contatto con i grandi problemi della storia10, la storia fatta dagli studenti e dagli operai, interlocutori privilegiati. Il dato sociale si ricollega immediatamente in lui a una condizione umana particolarissima; e questo è un tratto che ritroveremo costante nell’opera di Pratolini, e da cui egli vorrà far scaturire più tardi quella “congiuntura”, tanto psicologica, quanto artistica, fra l’uomo e il suo tempo, che è la ragione fondamentale di un passaggio dalla letteratura intimistica di memoria, alla narrativa spiegata e al romanzo storico11.
Pratolini in ‹‹Campo di Marte›› critica spesso la civiltà e l’intellettualismo borghese. In Quel che nasce e quel che muore12 leggiamo:
Non sarà mai abbastanza insistita la nostra accusa di noncuranza sociale agli esponenti di essa cultura, né mai a sufficienza dimostrata la loro antistorica tracotanza affidata ai destini di un intellettualismo per il quale politica e socialità, reazione e rivoluzione restano i dettagli minimi di un volgo caratterizzatore. In un mondo in cui il proletariato è venuto a forzare le forze della borghesia irrigidita nei propri particolarismi, ammaestrata dagli insegnamenti liberali dell’ultimo Ottocento, non c’è via di salvezza a posteriori per una cultura che ha disdegnato la solidarietà di una maggioranza in diritto di vita.
Su questa linea anche l’articolo Civiltà in crisi13, nel quale Vasco auspica il mutamento radicale dell’umanità, che però non può evidentemente avvenire secondo i paradigmi imposti:
Il mondo è insanabilmente minacciato dalla furia della guerra annientatrice, che porta nel suo seno un nuovo e più tristo imbarbarimento.[…]. Ma le forze di un intelligente internazionalismo alla lunga non sono sufficienti, se lo spirito pubblico non muta. Così come la restaurazione dell’ordine e il benessere non significano ancora di per sé una purificazione della civiltà, non possiamo aspettarla neppure dalla prevenzione della guerra per mezzo della politica internazionale. Una nuova civiltà può nascere solo da un’umanità purificata.
Nell’articolo Amici perduti14 del numero 5 di ‹‹Campo di Marte›› del ottobre 1938 (p. 1), il nostro autore torna a ribadire la preminenza della storia:
Non basta avvantaggiarsi di un’ora sul realismo quotidiano favorendolo nelle sue giustificazioni aprioristiche, né basta favorire la cronaca dell’indomani per classificarsi nella storia. La storia non si concede alle ipoteche, né reca eredità politiche con sé, non ammette che ci si classifichi in essa.
In Poesie del 3815 la vocazione critica di Pratolini arriva a toccare l’ambito poetico:
C’è carenza di settarismo per la poesia : c’è esuberanza d’affarismo per le tribù letterarie: fa difetto l’umano coraggio di un impegno delle proprie ragioni, dei propri gusti, delle proprie predilezioni in assoluto e in profondità.
Questo excursus, che tiene conto degli articoli più rilevanti per l’argomento proposto dalla Conferenza, può chiudersi citando alcune prose d’arte, come ad esempio il Diario16 del 15 marzo del 1939 in cui leggiamo:
Così l’uomo si riconosce colpevole di una astinenza vissuta senza rassegnazione se un istante di turbamento ha potuto ispirarlo a evadere: la costruzione era una scialba retorica: la realtà è l’immagine oltre il muro, l’allucinante presenza di un peccato non commesso, non amato e non odiato ancora: montante, caritatevole fiducia nell’amore.
Stilisticamente siamo di fronte ad una prosa che Bo poteva allora accettare come compiuta espressione di un sentimento nascosto e allusivo, che nelle pieghe di una sintassi ridotta ed essenziale, di una frase contratta e pregna di sapori nella sua nudità, si sforza di rendere l’immagine di una condizione umana fortemente significativa, cioè esemplare17. Come a dire: la parola svela, secondo il paradigma ermetico.
Da questi scritti, spesso polemici, emergono tematiche e suggestioni diversamente articolate sulla Letteratura oppure sull’istanza civile della Storia, che però nell’insieme consentono di pensare una declinazione particolare di resistenza, da intendere come dimensione militante della scrittura, così come si vedrà ne Il Quartiere e nella produzione successiva. Inevitabilmente gli elementi del Pratolini di ‹‹Campo di Marte›› confluiranno nei primi racconti dello scrittore, Tappeto verde (Vallecchi, Firenze 1941) e Via dei Magazzini (Vallecchi, Firenze 1942). Anzitutto la preminenza della dimensione storica: pur ispirandosi a fatti autobiografici, è nella storia il centro della produzione pratoliniana, quella storia che diventa storia italiana a partire da uno stretto pertugio civico e casalingo, raccontata secondo la tesa sensibilità di un cuore ulcerato18. Il modo di raccontare non è però interamente realistico: in Pratolini c’è anche la consapevolezza che il fatto non si dice mai interamente, non può stare in un’enunciazione diretta, non si riproduce mai con il sicuro trasporto naturalistico del memorialista19 e questa consapevolezza è bene in linea con l’ermetismo. Il senso di comunità, che si riscontrava ai tempi della rivista, si ha anche in queste prove e anche nei romanzi più noti, nei quali i personaggi non sono mai soli: l’uomo pratoliniano è un uomo con gli altri uomini, un essere di comunità20.
Per tirare le fila del nostro discorso, è innegabile che l’ermetismo non poteva contenere il “popolano” Vasco, la sua voglia di comunicare, di espandersi. Sicuramente questo primo Pratolini è ancora un intellettuale insoddisfatto, acerbo, che non ha ancora toccato le vette delle Cronache21 o di Metello22, ma il superamento del primitivo populismo che lo caratterizza (e che poi sarà veicolato verso una più matura prospettiva marxista) è già nel Pratolini di ‹‹Campo di Marte›› e i princìpi che animeranno l’autore negli anni della Resistenza romana sono riscontrabili già nel Pratolini redattore. Allo stesso tempo, il caso di ‹‹Campo di Marte››, correttamente inquadrato nell’epoca delle riviste letterarie fiorentine degli anni ’30, suggerisce che etichette come “ermetismo” o “realismo” appartengono più ai critici, che agli autori stessi. Nonostante le differenze, infatti, questi autori sentivano tra loro delle intime corrispondenze, date dalla comune condizione di giovani letterati. Ed è forse questa la forma di resistenza più rilevante: il resistere alla solitudine e al “mondo” col sentirsi parte, seppur forse utopisticamente, di una comunità letteraria.
1Vasco Pratolini in F. Camon, Il mestiere di scrittore, Garzanti, Milano 1973, p. 35.
2Vasco Pratolini, Il mio cuore a Ponte Milvio, Edizioni di Cultura sociale, Roma 1954.
3Scrive Carlo Bo: ‹‹Pratolini era stato a una scuola di vita naturale, fra Palazzeschi e il pittore Rosai, e aveva fatto la sua Università ai tavoli delle Giubbe Rosse o nelle redazioni frondiste dei giornali della federazione fascista›› (da C.Bo, Una certa idea di Firenze. Pratolini e i suoi poveri amanti, in ‹‹Nuova antologia››, anno CXXVI, gennaio-marzo 1991, pp. 257-260).
4R. Jacobbi, ‹‹Campo di Marte›› trent’anni dopo 1938/1968, Vallecchi, Firenze 1969, p. 21.
5Una profonda amicizia legò Vasco Pratolini e Alessandro Parronchi, e ne è prova un vasto carteggio, edito in due volumi: V. Pratolini, Lettere a Sandro, a cura di Alessandro Parronchi, Polistampa, Firenze 1992 e: A. Parronchi, Lettere a Vasco, Polistampa, Firenze 1996.
6Vasco Pratolini, Calendario, anno I, N.1, 1 Agosto 1938, p.1.
7Carlo Bo, Letteratura come vita, a cura di Sergio Pautasso, Rizzoli, Milano 1994, p. 5.
8Ricordiamo che siamo alle soglie della Seconda Guerra Mondiale.
9M. Biondi, Scrittori e identità italiana. D’Annunzio, Campana, Pratolini, Pagliai, Polistampa, Firenze 2004.
10A.A.Rosa, Vasco Pratolini, Edizioni Moderne, Roma 1958, p.17.
11Ivi, p. 24.
12Vasco Pratolini, ‹‹Campo di Marte››, anno I, n. VIII, 15 novembre 1938, p. 1.
13‹‹Campo di Marte››, anno I n. 3, 1 settembre 1938, p.1.
14Scrive Ruggero Jacobbi a proposito di questo articolo: ‹‹Amici perduti è un pezzo assai significativo, in cui Pratolini scopre abbastanza le carte quando parla di “quell’assolutismo morale che ci ha costretti ad una vita da consumare nella letteratura come riscatto verso la società››. (R. Jacobbi, ‹‹Campo di Marte›› Trent’anni dopo 1938-1968, Vallecchi, Firenze 1969.
15‹‹Campo di Marte››, anno II, n. 2, 15 gennaio 1939, p. 4.
16Vasco Pratolini in ‹‹Campo di Marte››, ANNO II, n. 4-5-6, p. 6.
17A.A. Rosa, Vasco Pratolini, cit., p. 21.
18M. Biondi, Scrittori e identità italiana, cit., p. 185.
19Ivi, p. 177.
20Ivi, p. 203.
21V. Pratolini, Cronache di povere amanti, Vallecchi, Firenze 1946.
22V. Pratolini, Metello, Vallecchi, Firenze 1955.