Antonino Infranca
L’edizione italiana di questo monumentale libro di Mészáros – forse l’ultimo allievo di Lukács che si riconoscesse ancora nelle idee del maestro – arriva ultima, dopo l’enorme successo che hanno avuto, soprattutto, l’edizione spagnola e quella portoghese, a dimostrazione che il nostro paese è entrato da tempo in una fase di de-politicizzazione della riflessione filosofica. Il libro apparve nel 1995, in inglese, ma non risente affatto dei due decenni e più dalla sua prima apparizione, perché i problemi che vi vengono affrontati sono ancora attuali.
Mészáros - scomparso a 86 anni il 1° ottobre scorso - è stato allievo di Lukács, durante quei pochi anni (1946-49) di insegnamento universitario del filosofo ungherese, prima del suo ritiro a causa della violenta polemica che contro di lui scatenò il regime stalinista ungherese. Mészáros continuò a dichiararsi discepolo di Lukács, anche durante gli anni più difficili della dittatura. In tal modo venne a far parte di quella prima “Scuola di Budapest”, di cui altri membri erano Agnés Heller, István Hermann, Miklos Almasi, Ferenc Fehér e Denés Zoltai. Dopo la Rivoluzione del 1956 si rifugiò in Italia, insegnando Lingua e letteratura ungherese all’università di Torino, per poi passare in Inghilterra, dove ha insegnato all’università del Sussex. È morto nello scorso mese di ottobre, all’età di 87 anni. È conosciuto in tutto il mondo per un saggio sull’alienazione in Marx, per vari saggi su Lukács e su Sartre, e le analisi del fenomeno della globalizzazione.
Oltre il capitale prende le mosse da una prima osservazione dei principali difetti del capitalismo odierno: «La produzione e il suo controllo sono radicalmente separati e, inoltre, diametralmente opposti. [...] La produzione e il consumo acquistano un’esistenza indipendente, separata ed estremamente problematica» (p. 65). Il sistema capitalistico deve controllare e dominare la circolazione del capitale per superare le contraddizioni tra produzione e circolazione, dominando e subordinando dall’interno il complesso sociale e travalicando confini e limiti esterni, quali frontiere regionali e nazionali e diritti umani dei lavoratori e dei loro congiunti (cfr. ibidem). La prima conclusione negativa a cui giunge Mészáros è la seguente: «In tutti e tre i casi menzionati sopra, il profondo difetto strutturale di controllo si può definire come assenza di unità» (p. 49). Il capitale ha un principio regolatore: «Lo scopo e il principio orientativo della produzione allora diventa come garantire la massima espansione possibile (e i profitti relativi) sulla base del tasso minimo di utilizzo che mantenga la continuità della riproduzione allargata» (p. 555).
Per Mészáros è errato parlare di “capitalismo”, piuttosto si dovrebbe parlare di “capitale”, perché questo «non [è] solo il modo e il funzionamento di questa precisa formazione sociale [capitalismo], ma anche la fase in cui la produzione delle merci non è così determinante e dominante come nel capitalismo» (p. 844), come accade col capitale finanziario. Infatti nei paesi del socialismo realizzato, che Mészáros chiama “società post-capitalistiche”, c’è stata una produzione di merci, anche se in scala ridotta rispetto al capitalismo, ed è rimasta intoccato lo sfruttamento del lavoro vivo, cioè non è mai avvenuta la socializzazione dei mezzi di produzione, come era stato promesso al momento dell’instaurazione del socialismo in Russia. In sostanza i lavoratori rimasero subordinati al controllo statale della produzione, come avviene nei paesi capitalistici. L’obiettivo di Lenin era quello di migliorare le condizioni materiali di vita dei lavoratori, ma egli riuscì solo a compiere la rivoluzione politica e morì all’inizio della vera rivoluzione sociale. Secondo Mészáros, Stalin non comprese che quell’opera doveva essere continuata (cfr. p. 637).
L’errore più grosso dei sistemi socialisti fu quello di sostituire la politica e il suo strumento di funzionamento, il partito, all’economia e al suo strumento di funzionamento, il capitale. Entrambi i sistemi non funzionano, perché il socialismo non riusciva a «procedere a una forzata estrazione politica di plus-lavoro rispetto a una manodopera riluttante, non motivata e sotto molti aspetti anche ostile» (p. 111), il capitalismo, invece, a causa delle sue ricorrenti crisi. Avendo scelto un sistema di produzione industriale moderno, i paesi socialisti non potevano funzionare senza il capitale, così cominciarono – Mészáros sostiene che cominciò già lo stesso Stalin, dopo la vittoria bellica, a introdurre un “socialismo di mercato”, che finì per sconvolgere completamente il loro sistema, dimostrando che il sistema sovietico non aveva nulla a che fare con il socialismo. Non fu così mai superata la divisione del lavoro e la gerarchizzazione ad essa collegata (cfr. p. 354). Le riforme promesse negli anni Sessanta, nel corso della liquidazione dello stalinismo, erano presenti ancora nel programma di Gorbaciov, a dimostrazione che non erano state realizzate.
Mészáros incentra tutti il suo libro sulla possibilità di superare l’esistente dominio del capitale, anzi sulla necessità di questo superamento. Mészáros parla di una crisi in corso e, in realtà, la crisi che stiamo vivendo oggi non è iniziata nel 2008, ma ha radici più antiche, almeno agli anni Settanta. Si tratta di una crisi di dominio e di mancanza di sviluppo, perché i paesi a capitalismo avanzato si limitano a riprodurre, di anno in anno, il prodotto interno lordo esistente, con piccole crescite e improvvisi crolli. Alla mancata crescita consegue una diminuzione della ricchezza, per cui il numero dei poveri è in continua crescita e lo sfruttamento illimitato dell’ambiente sta mettendo a rischio il futuro dell’umanità. Per cui «abbiamo un tremendo bisogno di una teoria socialista della transizione […] per riesaminare, in termini positivi, la struttura concettuale della teoria socialista, elaborata in origine in rapporto al “piccolo angolo di mondo” europeo» (p. 13). Quindi il superamento socialista del capitale dovrà essere globale (cfr. p. 54) e sociale.
Un sistema così strutturato non è più controllabile, perché il metabolismo sociale del capitale è ormai non soltanto privo di un’unità centrale, ma anche la scissione fra l’economico e il sociale è determinata proprio dalle leggi interne dello sviluppo del capitale, che non tengono più conto della sfera umana. Tutto ciò che ha a che fare con l’uomo in quanto uomo e che non è di per sé sottoposto nella sua esistenza o nel suo sviluppo a categorie economiche è necessariamente negato. Quindi i due più importanti punti di debolezza del capitale globalizzato, cioè ambiente e uomo, inteso come essere capace di lavorare, ma anche costretto a un ricambio organico continuo con la natura, non sono integrabili nel sistema capitalistico. La conseguenza è che essi verranno continuamente negati o occultati, con l’effetto di rendere sempre più invivibile il pianeta e sempre più sfruttato l’essere umano.
Insieme a questi problemi nel libro si analizzano anche altre tendenze della crisi del capitalismo attuale. Innanzitutto “1) il suo carattere [è] universale [...]; 2) il suo obiettivo è veramente globale [...]; 3) la sua scala del tempo è estesa, continua – se preferite permanente [...]; 4) il suo modo di svolgimento si potrebbe dire strisciante” (p. 642). Inoltre per Mészáros «annullando necessariamente il futuro il sistema del capitale si rinchiude nel circolo vizioso del breve termine» (p. 117). In pratica il capitale non riesce a programmare la sua esistenza oltre l’arco di qualche anno, al massimo un lustro. La contraddizione più esplosiva del capitale è il suo bisogno di far crescere i consumatori di massa e di far diminuire il lavoro vivo (cfr. p. 546), ma se non c’è distribuzione di lavoro/ricchezza, crollano anche i consumi, la crescita del capitale è messa in pericolo.
Infatti uno degli aspetti caratteristici della produzione capitalistica è la funzione dello Stato, che è quella di coordinare tutti i microcosmi che compongono il sistema del capitale, garantendo loro la massima libertà di produzione, commercio e accumulazione (cfr. p. 79), in pratica l’autoriproduzione distruttiva del capitale in innumerevoli settori (cfr. p. 566). Così masse enorme di lavoratori sono spinte sempre più nel mondo del lavoro, nelle forme sempre più alienanti di lavoro. L’emancipazione femminile è così stata trasformata in un ulteriore strumento di sfruttamento della forza lavoro (cfr. p. 210) e una vera emancipazione della donna è ancora un obiettivo futuro. Ogni controllo a questa libertà deve essere contrattato e, spesso, è considerato dalle personificazioni del capitale un limite incompatibile con il funzionamento del sistema metabolico del capitale. Per questo motivo è necessario instaurare organi non statali che agiscano sul terreno dello Stato, fino a portare alla sua negazione: «L’“estinzione dello Stato” […] è impensabile senza l’“estinzione del capitale” come regolatore del processo metabolico-sociale» (p. 474). Non è un compito facile, ma bisogna iniziare ad operare fuori dell’ambito dello Stato. Ormai il capitale ha abbattuto lo Stato sociale ed opera extra-parlamentarmente contro il mondo del lavoro: le istituzioni politiche non riescono a tenere il passo dell’offensiva del capitale. La complessità del capitale mette continuamente in crisi la possibilità di un concreto controllo sociale (cfr. p. 751).
Per Mészáros, quindi, il superamento del capitalismo è un impellente bisogno del presente, se l’umanità vuole liberarsi dallo sfruttamento e avere un progetto di vita su questo pianeta, ma per ottenere questo obiettivo la condizione minima è il superamento della divisione del lavoro (cfr. p. 353). Il libro è, così, dedicato in parte all’analisi della nascita del socialismo moderno nella ripresa marxiana di alcuni concetti hegeliani, nella critica alle posizioni di Lukács e di alcune altre rappresentative figure della tradizione socialista e marxista ed infine nella ridefinizione di alcuni concetti fondamentali del nuovo socialismo, con l’obiettivo di completare l’opera critica di Marx (cfr. p. 17). Tra le tante osservazioni di Mészáros mi piace riportarne una di sapore tipicamente hegeliano, ma che è un vero slogan per ogni futura presa di posizione di chi voglia risolvere alla radice i problemi della vita umana: «Non si può pensare di realizzare obiettivi socialisti su scala adeguata senza la dialettica di quantità e qualità in tutto il complesso dei rapporti produttivi, comprese anche la scienza e la tecnica» (p. 191). È così fissato un vero e proprio sistema di controllo della realizzazione di qualsiasi obiettivo che voglia essere socialista, direi che addirittura è fissata con chiarezza l’essenza di un futuro e ancora possibile socialismo.
Mészáros fissa anche gli obiettivi del futuro socialismo: «1) la regolazione necessaria, più o meno spontanea, dell’attività riproduttiva biologica e la misura della popolazione sostenibile in base alle risorse disponibili; 2) la regolazione del processo lavorativo mediante il quale, in una data comunità, lo scambio con la natura può produrre i beni necessari per la soddisfazione dei bisogni umani; 3) l’istituzione di opportune relazioni di scambio che permettano di collegare fra loro i bisogni storicamente mutevoli degli esseri umani, allo scopo di ottimizzare le risorse naturali e produttive disponibili; 4) l’organizzazione, il coordinamento e il controllo delle molteplici attività che garantiscono e tutelano le esigenze materiali e culturali del processo di riproduzione metabolico-sociale di comunità umane sempre più complesse; 5) l’allocazione razionale delle risorse materiali e umane [...]; 5) la promulgazione e l’attuazione di leggi e norme che regolano la società nel complesso» (pp. 1148-149). Mészáros indica anche le linee di sviluppo di un socialismo futuro: «L’obiettivo concreto di una radicale trasformazione socialista deve essere il sistema del capitale in quanto tale, insieme con tutte le sue mediazioni di secondo grado, e non soltanto l’espropriazione giuridica delle personificazioni private del capitale» (p. 122). Mészáros si attende la liberazione degli individui, in quanto individui, non come personificazioni del capitale; individui che possono dare vita ad un’azione comune, a un movimento pluralista. L’attività degli individui associati sarà “la ricchezza della produzione” di contro all’alienante e reificata “produzione della ricchezza, cioè con il lavoro si dovranno riprodurre gli individui e non il capitale. Si tratta di proporre, come voleva Marx, che la qualità della produzione (produttività) subentri alla quantità della produzione. Ciò è possibile sulla base dell’instabilità del rapporto capitale/lavoro e del loro reciproco antagonismo. «Questa è anche la ragione per cui esso può venire radicalmente cambiato ricostituendo il processo lavorativo in accordo con il suo carattere sociale diretto, invece della socialità perversa che si realizza sotto il dominio di un potere separato di controllo metabolico» (p. 584).
La definizione di obiettivi così universali, ma allo stesso tempo così precisi, comporta come conseguenza il superamento di certi schemi, quali per esempio un socialismo nato dalla lotta e dall’egemonia di una sola classe. Ormai sono le vittime del capitalismo globalizzato a dovere tornare a riflettere sugli obiettivi di un futuro socialismo; vittime non solo per l’appartenenza di classe, ma per le forme, anche sofisticate, di sfruttamento a cui sono sottoposte. La ribellione allo sfruttamento parte da una constatazione: lo sfruttamento non è una condizione di esistenza universalizzabile (cfr. p. 12), il pianeta Terra non ha le risorse per permetterlo, gli esseri umani non devono accettarlo, se vogliono avere un futuro come genere umano. La resistenza al capitale è una lotta per la vita. L’estensione del fenomeno della globalizzazione ha fatto sì che il capitalismo riduca al rango di vittima del sistema anche chi svolge funzioni o mansioni diverse, se non addirittura opposte tra loro. Il socialismo nasce così dall’esigenza di preservare la sfera più umana dell’essere umano, senza obiettivi più specifici o particolari, perché lo sfruttamento del pianeta e dell’essere umano sono arrivati a livelli ormai intollerabili. È facile comprendere che il corpo dell’uomo o l’ambiente, in cui egli vive, sono la sfera più umana dell’essere umano. Mészáros conclude con un’osservazione, che è piuttosto un invito: «Il significato del pluralismo socialista [...] deriva precisamente dalla capacità delle forze che vi partecipano di combinare in un tutto coerente, con implicazioni socialiste definitivamente ineluttabili, la grande varietà di esigenze e strategie parziali che in sé e da sé non hanno nulla di specificamente socialista» (p. 660). La rivoluzione socialista «deve subordinarsi a tutti gli elementi della società», come ricorda Marx nei Grundrisse. Il fronte della lotta è, quindi, ampio tanto quanto numerose sono le vittime del sistema, perché in realtà il capitalismo globalizzato è finora l’unica “Internazionale” esistente ed effettivamente efficiente. A questa “Internazionale” del capitale, le vittime devono essere in grado di contrapporre un’“Internazionale” senza barriere di classe o di nazione o di razza. Non è certamente un compito facile, è piuttosto necessario.
* István Mészáros, Oltre il capitale. Verso una teoria della transizione, tr. it. N. Augeri, Milano, Punto Rosso, pp. 913.