Diana Johnstone

 

L’Unione Europea si sta accingendo a una lunga guerra contro la Russia che appare chiaramente contraria agli interessi economici europei e alla stabilità sociale. È un conflitto apparentemente irrazionale – come molti lo sono – ma ha profonde radici emotive e rivendica motivazioni ideologiche. Queste guerre hanno difficoltà a giungere a termine perché sono dilatate fin oltre l’ambito della razionalità.

Per decenni dopo che l’Unione Sovietica era entrata a Berlino e aveva definitivamente sconfitto il Terzo Reich, i leader sovietici si erano preoccupati della minaccia del “revanscismo tedesco”. Dato che la Seconda Guerra mondiale poteva essere vista come la vendetta tedesca per essere stata privata della vittoria nella Prima Guerra mondiale, non si poteva pensare che un nuovo aggressivo Drang nach Osten tedesco potesse ad un certo punto rinascere, soprattutto se avesse potuto godere del supporto anglo-americano ? Nei circoli di potere statunitensi e britannici c’è sempre stata una minoranza cui sarebbe piaciuto portare a termine la guerra di Hitler contro l’Unione Sovietica.

Non fu il desiderio di diffondere il comunismo, ma l’esigenza di poter disporre di una zona cuscinetto per ostacolare questo tipo di pericoli a essere la motivazione primaria per l’esigente controllo politico e militare esercitato dall’Unione Sovietica sulla sequenza di paesi, dalla Polonia alla Bulgaria, che l’Armata Rossa aveva strappato all’occupazione nazista.

Questa preoccupazione in larga parte svanì nei primi anni Ottanta quando giovani generazioni di tedeschi riempirono le strade con dimostrazioni di pace contro lo stazionamento degli “Euromissili” nucleari che potevano aumentare il rischio di un conflitto atomico sul suolo della Germania. Il movimento fu all’origine dell’immagine di una nuova Germania pacifica. Credo che Mikhail Gorbaciov abbia preso sul serio questa trasformazione.

Il 15 giugno 1989, Gorbaciov, si recò a Bonn, che era allora la modesta capitale di un’ingannevolmente modesta Germania Occidentale. Apparentemente felice per la calda e amichevole accoglienza, Gorbaciov si fermò a stringere le mani della gente lungo le strade di quella pacifica città universitaria che era stata teatro di grandi dimostrazioni a favore della pace.

Ero là e vidi le sue strette di mano insolitamente decise e calorose e il suo sorriso di soddisfazione. Non ho dubbi che Gorbaciov credesse sinceramente in una “comune casa europea” dove l’oriente e l’occidente dell’Europa avessero potuto vivere felicemente fianco a fianco unite da una qualche specie di socialismo democratico.

Gorbaciov è morto all’età di 91 anni due settimane fa, il 30 agosto. Il suo sogno di una Russia e una Germania felicemente conviventi nella loro ”comune casa europea” venne rapidamente scardinata in modo letale dall’espansione della NATO verso est deliberata dall’amministrazione Clinton. Inoltre, il giorno precedente la sua morte, a Praga autorità politiche tedesche di primo piano hanno cancellato del tutto ogni speranza di quel lieto fine proclamando la leadership della Germania in un’Europa impegnata a combattere il nemico russo.

Questi stessi politici provenivano proprio dai partiti – l’SPD (Partito Social-democratico) e i Verdi – che erano stati alla testa del movimento pacifista degli anni Ottanta.

L’Europa tedesca deve espandersi a est

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz è un politico incolore dell’SPD, ma il suo discorso del 29 agosto a Praga è stato incendiario quanto a ripercussioni. Scholz ha invocato un’Unione Europea allargata e militarizzata sotto la leadership della Germania. Ha sostenuto che l’operazione russa in Ucraina ha sollevato la questione su “dove sarà in futuro la linea di divisione tra questa libera Europa e l’autocrazia neo-imperiale”. Non possiamo semplicemente stare a guardare, ha detto, “mentre i paesi liberi vengono cancellati dalle carte geografiche o scompaiono al di là di muri o cortine di ferro.”

(Nota : il conflitto in Ucraina è chiaramente il compimento di un lavoro non finito nella fase immediatamente successiva al collasso dell’Unione Sovietica, aggravato da una provocazione intenzionale e ostile di origine esterna. Come nella Guerra Fredda, le reazioni difensive di Mosca vengono interpretate come segnali precursori di un’invasione russa dell’Europa e quindi diventano il pretesto per un riarmo.)

Per affrontare questo pericolo immaginario, la Germania guiderà una UE allargata e militarizzata. Nella capitale della Cechia, Scholz ha per primo affermato di fronte al suo uditorio europeo : “Mi impegno per l’allargamento dell’Unione Europea, perchè comprenda gli stati dei Balcani occidentali, l’Ucraina, la Moldavia e, a lungo termine, anche la Georgia.” La preoccupazione per l’intenzione della Russia di spostare ad est la linea di divisione risulta un po’ bizzarra se si stanno contemporaneamente facendo piani per incorporare tre ex-stati dell’Unione Sovietica, uno dei quali (la Georgia) è geograficamente e culturalmente molto distante dall’Europa, ma sull’uscio di casa della Russia.

Nei “Balcani occidentali”, l’Albania e quattro staterelli, lasciti estremamente deboli dell’ex-Jugoslavia, (Nord Macedonia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina e il Kosovo, che tuttora gode di pochi riconoscimenti internazionali) producono soprattutto emigranti e sono assai distanti dagli standard economici e sociali dell’UE. Il Kosovo e la Bosnia, sotto occupazione militare, sono de facto protettorati NATO. La Serbia, relativamente più solida degli altri, non mostra segni di voler rinunciare alle sue profittevoli relazioni con Russia e Cina, mentre tra i serbi l’entusiasmo popolare per l’ “Europa” sta svanendo.

Aggregando questi nuovi stati membri otterremo “un’Europa geopoliticamente più forte e più sovrana”, ha affermato Scholz. È più verosimile pensare a una “Germania geopoliticamente più forte e più sovrana”. Dato che l’UE cresce verso est, la Germania si troverà “nel centro” e farà di tutto per tenere insieme questi paesi. Così, oltre all’allargamento, per l’UE Scholz invoca un “graduale spostamento verso decisioni prese a maggioranza per quanto riguarda la politica estera”, sistema che andrà a sostituire quello dell’unanimità in vigore attualmente.

Quel che questo significa dovrebbe essere ovvio per i francesi. Storicamente, la Francia difese la regola del consenso per non essere trascinata ad aderire a una politica estera che avrebbe potuto non gradire. I politici francesi, per contro, esaltavano la mitica “Diarchia Franco-Tedesco” come garante dell’armonia europea, in realtà strumento per tenere sotto controllo le ambizioni tedesche.

Scholz, tuttavia, non vuole “una UE fatta di stati unici o direttorati”, cosa che implica il divorzio definitivo della “Diarchia”. Con una UE a 30 o a 36 stati, osserva, “servono azioni rapide e pragmatiche”. Pare sicuro che l’influenza tedesca sulla maggior parte di questi nuovi stati membri poveri, indebitati e spesso corrotti sarà in grado di produrre la maggioranza richiesta.

La Francia ha sempre sperato in una forza di sicurezza europea distinta dalla NATO in cui i militari francesi avrebbero potuto giocare un ruolo guida. La Germania, tuttavia, dimostra di avere altre idee. “La NATO rimane la garante della nostra sicurezza” ha detto Scholz felicitandosi perchè il presidente Biden è “un convinto trans-atlantista”.

“Ogni miglioramento, ogni unificazione delle strutture di difesa europee entro la cornice UE rafforza la NATO”, ha affermato Scholz. “Assieme agli altri partner europei, la Germania pertanto assicurerà che la prevista forza di reazione rapida europea sia operativa già nel 2025 e ne fornirà il suo nucleo.”

Ciò richiede una chiara struttura di comando. La Germania affronterà questa responsabilità “quando guideremo la forza di reazione rapida nel 2025”, ha sostenuto Scholz. È stato già deciso che la Germania sosterrà la Lituania con una brigata rapidamente dispiegabile e la NATO con forze ulteriori con alta capacità di pronto intervento.

Servire per guidare … dove ?

In breve, il riarmo tedesco darà sostanza alle dichiarazioni fatte a Washington il marzo scorso da Robert Habeck : “Quanto più la Germania servirà, tanto più grande sarà il suo ruolo”. Il verde Habeck è il ministro tedesco dell’economia e, per importanza, la seconda figura dell’attuale governo.

La frase è stata ben compresa a Washington : servendo l’impero occidentale a guida USA, la Germania sta rinforzando il suo ruolo di leader europeo. Proprio come gli Stati Uniti armano, addestrano e occupano la Germania, la Germania fornirà gli stessi servizi agli stati più piccoli dell’UE, soprattutto quelli ad est.

Fin dall’inizio dell’operazione della Russia in Ucraina, la politica tedesca Ursula von der Leyen ha usato la sua posizione di presidente della Commissione europea per spingere all’imposizione di sanzioni sempre più drastiche contro la Russia. Le misure sono giunte al punto che ora minacciano, per il prossimo inverno, una seria crisi dell’energia in Europa. La sua ostilità nei confronti della Russia pare senza freni. Lo scorso aprile, a Kiev, ha invocato un rapido accoglimento nell’UE dell’Ucraina, notoriamente il più corrotto paese d’Europa e lontanissimo dagli standard comunitari. In quell’occasione ha proclamato che “la Russia cadrà in una profonda e progressiva crisi economica, finanziaria e tecnologica, mentre l’Ucraina marcerà verso un futuro europeo.” Per la von der Layen, l’Ucraina sta “combattendo la nostra guerra”. Tutto questo va ben al di là della sua autorità a parlare a nome dei 27 membri dell’UE, ma nessuno la ferma.

Anche la ministra degli esteri della Germania, la verde Annalena Baerbock è incessantemente impegnata a “mandare in rovina la Russia”. Fautore di una “politica estera femminista”, Baerbock esprime la sua politica in termini molto personali. “Se io prometto al popolo ucraino di stare con voi fin quando ne avrete bisogno”, ha affermato parlando in inglese al Forum 2000 – sponsorizzato dall’U.S. National Endowment for Democracy – che si è tenuto a Praga il 31 agosto, “allora intendo aiutarvi e non ha importanza quello che pensano i miei elettori tedeschi, ma io voglio aiutare il popolo dell’Ucraina”.

“La gente andrà nelle strade a dire, non possiamo pagare quei prezzi per l’energia, e io dirò, ‘Si, lo so e vi aiuteremo con misure sociali’ […] Noi staremo con l’Ucraina e questo vuol dire che le sanzioni resteranno anche per l’inverno anche se ciò sarà veramente duro per i politici.”

Certo, il sostegno all’Ucraina è forte in Germania ma, forse per la scarsità di energia che si profila, un recente sondaggio Forsa indica che circa il 77 per cento dei tedeschi sarebbe a favore di sforzi diplomatici tesi a terminare la guerra – cosa che dovrebbe essere compito del ministro degli esteri. La Baerbock, tuttavia, non dimostra alcun interesse per la diplomazia, ma solo per il “fallimento strategico” della Russia – qualunque sia il tempo che ci vorrà per raggiungerlo.

Nel movimento pacifista degli anni Ottanta, una generazione di tedeschi si stava distanziando da quella dei genitori ed era impegnata a cancellare le “immagini del nemico” ereditate dalle guerre passate. Curiosamente, la Baerbock, nata nel 1980, si è riferita a suo nonno che ha combattuto nella Wehrmacht come a qualcuno che in qualche modo ha contribuito all’unità europea. È questo il pendolo generazionale ?

I piccoli revanscisti

Ci sono ragioni per ritenere che l’attuale russofobia germanica tragga molta della sua legittimità dalla russofobia degli ex-alleati dei nazisti nei paesi europei più piccoli.

Mentre il revanscismo tedesco anti-russo può aver impiegato un paio di generazioni per affermarsi, c’è un certo numero di più piccoli, più oscuri revanscismi, che fiorirono alla fine della guerra in Europa, i quali vennero poi incorporati nelle operazioni della Guerra Fredda statunitense. Questi piccoli revanscismi non furono toccati da azioni di de-nazificazione o dai sensi di colpa per l’Olocausto che vennero imposti alla Germania. Al contrario, la CIA, Radio Free Europe e vari comitati congressuali statunitensi diedero loro il benvenuto per il fervente anticomunismo che dimostravano. Negli Stati Uniti si rinforzarono in seguito per l’apporto delle varie diaspore anticomuniste dell’Europa orientale.

Tra queste, la diaspora ucraina fu sicuramente quella di maggior rilievo, la più impegnata politicamente e la più influente, sia in Canada che nel Middle West. I fascisti ucraini, che avevano in precedenza collaborato con gli invasori nazisti, fuono i più numerosi e attivi nel guidare il Blocco delle Nazioni Anti-Bolsceviche, che aveva legami con i servizi spionistici tedeschi, britannici e statunitensi.

La Galizia orientale aveva per secoli fatto alternativamente parte della Russia o della Polonia. Dopo la Seconda Guerra Mondiale venne divisa tra Polonia e Ucraina. La Galizia ucraina è il centro del ceppo virulento del nazionalismo ucraino il cui eroe principale, al tempo del secondo conflitto mondiale, fu Stepan Bandera. Questo nazionalismo può appropriatamente essere chiamato “fascista”, non solo per i segni esteriori – simboli, saluti, tatuaggi – ma perché è sempre stato fondamentalmente razzista e violento.

Incitato dalle potenze occidentali, da Polonia, Lituania e dall’impero Asburgico, la chiave del nazionalismo ucraino è il suo essere occidentale ossia superiore. Dato che ucraini e russi derivano dalla stessa popolazione slava, l’ultra-nazionalismo ucraino pro-occidentale venne fondato su miti di immaginarie differenze razziali : gli ucraini erano i veri occidentali, qualsiasi cosa volesse dire, mentre i russi erano mischiati con i “mongoli” e dunque una razza inferiore. I nazionalisti banderisti ucraini hanno apertamente invocato l’eliminazione dei russi in quanto tali, dato che si tratta di esseri inferiori.

Fin tanto che esistette l’Unione Sovietica, l’odio razziale ucraino nei confronti dei russi ebbe come copertura l’anticomunismo e le agenzie di intelligence occidentali potevano supportare questo movimento sulla base della sua lotta, ideologicamente “pura”, contro il bolscevismo e il comunismo. Ora, tuttavia, che la Russia non è più governata dai comunisti, la maschera è caduta e la natura razzista dell’ultra-nazionalismo ucraino è apertamente visibile – per tutti quelli che vogliono vederlo.

I leader e i media occidentali, comunque, sono ben decisi a non vederlo.

L’Ucraina non è come ogni altro paese occidentale. È profondamente e drammaticamente divisa tra il Donbass ad est, territori russi dati all’Ucraina dall’Unione Sovietica, e l’occidente anti-russo dove si trova la Galizia. La difesa del Donbass da parte della Russia, saggia o non saggia, in nessun modo indicava l’intenzione russa di invadere altri paesi. Questo falso allarme è il pretesto per la rimilitarizzazione della Germania in alleanza con le potenze anglo-sassoni contro la Russia.

Preludio jugoslavo

Questo processo è iniziato negli anni Novanta, con la disgregazione della Yugoslavia.

La Yugoslavia non era un membro del blocco sovietico. Proprio per questa ragione, il paese aveva ottenuto dei prestiti dall’Occidente, ma quando negli anni Settanta si arrivò a una crisi del debito, i dirigenti di ciascuna delle sei repubbliche federate brigavano per scaricarne il peso sulle altre. Questo favorì delle tendenze separatiste soprattutto nelle relativamente ricche repubbliche di Slovenia e Croazia, tendenze rinforzate da uno sciovinismo etnico e incoraggiate da potenze esterne, in particolare dalla Germania.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’occupazione tedesca aveva diviso in due il paese. La Serbia, alleata di Francia e Gran Bretagna nella Prima Guerra Mondiale, subì allora un’occupazione punitiva. L’idillica Slovenia venne incorporata nel Terzo Reich mentre il progetto tedesco prevedeva inoltre una Croazia indipendente, governata dal partito fascista degli Ustascia, allargata fino a comprendere buona parte della Bosnia, teatro dei più sanguinosi scontri interni. Quando la guerra finì, molti ustascia emigrarono in Germania, negli Stati Uniti e nel Canada, senza rinunciare mai alla speranza di far rivivere il nazionalismo secessionista croato.

A Washington, negli anni Novanta, membri del Congresso attinsero molte delle loro opinioni sulla situazione jugoslava da un singolo esperto : Mira Baratta, un ragazzo croato-americano di 35 anni assistente del senatore Bob Dole (candidato presidenziale repubblicano nel 1996). Il nonno di Baratta era stato un importante ufficiale ustascia in Bosnia, mentre il padre si era distinto per l’attivismo nella diaspora croata in California. Baratta riuscì a convincere non solo Dole, ma virtualmente tutto il Congresso a sposare la versione croata dei conflitti in Jugoslavia che attribuiva ogni colpa ai serbi.

In Europa, tedeschi e austriaci, in particolare Otto d’Asburgo erede del defunto impero Austro-Ungarico e membro del parlamento europeo, eletto in Baviera, riuscì a presentare i serbi come “i cattivi”, ottenendo in questo modo la sua vendetta contro lo storico nemico della sua casata nella Prima Guerra mondiale : la Serbia. In Occidente, divenne comune identificare la Serbia come lo “storico alleato della Russia”, dimenticando che nella storia recente i più stretti alleati della Serbia erano stati la Gran Bretagna e soprattutto la Francia.

Nel settembre del 1991, un importante personaggio politico del partito cristiano-democratico tedesco, nonché avvocato costituzionale, spiegò perché la Germania avrebbe dovuto promuovere la dissoluzione della Jugoslavia riconoscendo le sue repubbliche secessioniste di Slovenia e Croazia. (L’ex ministro della difesa Rupert Scholz, del partito cristiano democratico, al 6o Simposio Fürstenfeldbrucker per la Leadership Militare ed Economica della Germania.)

Al finire della divisione tra le due Germanie, Rupert Scholz disse : “Abbiamo, per così dire, superato e padroneggiato le più importanti conseguenze della Seconda Guerra mondiale … ma in altre aree siamo ancora cercando di occuparci delle conseguenze della Prima Guerra mondiale – che, osservava “iniziò in Serbia.”

“La Jugoslavia, come conseguenza della Prima Guerra mondiale, è una costruzione del tutto artificiale, incompatibile con l’idea di autodeterminazione”, disse Rupert Scholz, che concluse : “Secondo me, la Slovenia e la Croazia devono venire immediatamente riconosciute internazionalmente. (…) Quando questo riconoscimento avrà avuto luogo, il conflitto jugoslavo non sarà più un problema interno della Jugoslavia ove non può essere consentito alcun intervento internazionale.”

E in effetti, al riconoscimento seguirono massicci interventi occidentali che perdurano tuttora. Schierandosi da una parte, la Germania, gli Stati Uniti e la NATO hanno prodotto in conclusione una mezza dozzina di staterelli, con molteplici problemi in sospeso, ma comunque fortemente dipendenti dalle potenze dell’Occidente. La Bosnia-Erzegovina è sotto occupazione militare e anche sotto i dettami dell’ “Alto Rappresentante” che, guarda caso, è un tedesco. Nel frattempo, comunque, ha perso per l’emigrazione quasi la metà della sua popolazione.

Solo la Serbia mostra qualche segno d’indipendenza e rifiuta, nonostante le pesanti pressioni, di aderire alle sanzioni occidentali contro la Russia. Per gli strateghi di Washington la dissoluzione della Jugoslavia è stata un esercizio sull’uso delle divisioni etniche per fare a pezzi entità statali molto più ampie : l’URSS e la Russia.

Bombardamenti umanitari

Nel 1999 i politici e i media occidentali convinsero l’opinione pubblica che i bombardamenti NATO sulla Serbia erano una guerra “umanitaria” generosamente combattuta per “proteggere i kosovari” (dopo che molteplici omicidi da parte dei secessionisti armati di questa parte avevano spinto le autorità serbe ad un’inevitabile repressione usata come pretesto per i bombardamenti).

Il punto sostanziale della guerra del Kosovo, tuttavia, fu che trasformò la NATO da alleanza difensiva in una offensiva, pronta a fare guerra dovunque, senza mandato dell’ONU, sulla base di qualsiasi pretesto scegliesse.

Per i russi la lezione fu chiara. Dopo la guerra del Kosovo, la NATO non poteva più credibilmente affermare di essere un’alleanza puramente “difensiva”.

Quando il presidente serbo Milosevic, per salvare le infrastrutture del suo paese dalle distruzioni dei bombardamenti NATO, si disse d’accordo nel consentire l’ingresso di truppe NATO nel Kosovo, senza tante cerimonie gli USA si impadronirono di una vasta zona di quel territorio per costruirvi la prima grande base militare americana nei Balcani. Le truppe della NATO sono tuttora lì.

Esattamente la stessa precipitazione, quella con cui gli USA erano corsi a costruirsi quella base nel Kosovo, era quella che chiaramente ci si poteva attendere dagli americani, dopo che erano riusciti nel 2014 a installare a Kiev un governo ansioso di entrare nella NATO. Questo avrebbe fornito agli Stati Uniti l’occasione di impadronirsi della storica base navale russa in Crimea. Dato che era notorio come la maggioranza della popolazione della Crimea voleva tornare alla Russia (come era stato dal 1783 al 1954), Putin fu in grado di prevenire questa minaccia facendo indire un referendum popolare che confermava questo ritorno.

Il revanscismo est-europeo cattura l’UE

L’appello del Cancelliere tedesco Scholz per l’allargamento dell’Unione Europea fino a nove nuovi membri richiama gli allargamenti del 2004 e del 2007 che avevano portato all’adesione di dodici nuovi membri, nove dall’ex-blocco sovietico, compresi i tre stati baltici in precedenza parte dell’Unione Sovietica.

Quell’allargamento aveva già spostato il baricentro dell’Unione Europea verso est e accresciuto l’influenza della Germania. In realtà, le elite politiche e i governi della Polonia e soprattutto dei tre stati baltici, erano fortemente sotto l’influenza di Stati Uniti e Gran Bretagna, paesi dove molti dei loro membri avevano vissuto nel periodo del governo sovietico. Furono questi a portare nelle istituzioni europee una nuova ondata di anticomunismo fanatico, non sempre distinguibile dalla russofobia.

Il Parlamento europeo, ossessionato dal dimostrarsi zelante sul tema dei diritti umani, accolse con grande entusiamo il fervente anti-totalitarismo dei nuovi membri dell’est-Europa.

Il revanscismo e l’arma della Memoria

Un aspetto delle epurazioni anti-comuniste, o purghe, degli stati dell’Europa orientale fu la loro sponsorizzazione degli “Istituti della Memoria”, dedicati a denunciare i crimini del comunismo. Tali campagne, naturalmente, vennero utilizzate da politici dell’estrema destra per lanciare sospetti sulla sinistra in generale. Come ha spiegato lo studioso europeo Zoltan Dujisin, gli “imprenditori anti-comunisti della memoria” alla testa di questi istituti riuscirono ad un certo punto a far passare le loro attività di pubblica informazione dal livello nazionale a quello dell’Unione Europea. In questo ambito, facendo leva sui divieti esistenti in Europa e in Occidente in generale nei confronti di chi negava l’Olocausto, si lamentavano per il fatto che, mentre i crimini nazisti erano stati condannati e puniti a Norimberga, quelli comunisti non lo erano stati.

L’obiettivo degli imprenditori anti-comunisti era quella di chiedere che i riferimenti all’Olocausto fossero accompagnati dalla denuncia del Gulag. Questa campagna doveva però muoversi con cautela nell’affrontare una delicata contraddizione che poteva sorgere. In effetti questa linea di pensiero poteva mettere in discussione l’unicità dell’Olocausto, un dogma essenziale – da non toccare - per guadagnare sostegni finanziari e politici dagli istituti della memoria dell’Europa occidentale.

Nel 2008, il Parlamento europeo adottò una risoluzione che istituiva il 23 agosto come “Giorno Europeo della Memoria per le vittime dello Stalinismo e del Nazismo” – adottando per la prima volta quella che era stata fino ad allora un tesi - piuttosto isolata – dell’estrema destra che aveva coniato questa equazione. Una risoluzione del 2009 dello stesso Parlamento sulla “Coscienza europea e il totalitarismo” faceva appello al sostegno degli istituti nazionali specializzati in storia dei totalitarismi.

Dujisin spiega, “L’Europa è ormai ossessionata dallo spettro di una nuova memoria. La posizione unica dell’Olocausto come fondamento in negativo della integrazione europea, il culmine di annosi sforzi di importanti leader europei … viene sempre più sfidata dalla memoria del comunismo, che mette in discussione la sua unicità.”

Gli istituti della Memoria dell’est-Europa costituirono insieme la “Piattaforma della Memoria e della Coscienza europea” e tra il 2012 e il 2016 organizzarono una serie di mostre su il “Totalitarismo in Europa : Fascismo – Nazismo – Comunismo” che vennero presentate in musei, memoriali, fondazioni, edifici di amministrazioni locali, parlamenti, centri culturali e università di 15 paesi europei, asseritamente per “migliorare la conoscenza e lo studio dei gravi crimini commessi dalle dittature totalitarie.”

Sotto quest’influenza, il 19 settembre 2019 il Parlamento europeo adottava una risoluzione “Sull’importanza della Memoria Europea per il futuro dell’Europa” che andò ben oltre l’equiparazione di crimini politici e adottò una interpretazione “polacca” della storia come norma dell’Unione Europea. Si giungeva a proclamare il patto Ribbentrop-Molotov come causa responsabile della Seconda Guerra mondiale – e di conseguenza si attribuiva la colpa di questo immane conflitto equamente sia all’Unione Sovietica che alla Germania nazista.

La risoluzione

“sottolinea che la Seconda guerra mondiale, il più devastante conflitto della storia europea, fu iniziato come immediato esito del tristemente famoso Trattato Nazi-Sovietico di Non-Aggressione del 23 agosto 1939, noto anche come Patto Molotov-Ribbentrop e ai suoi protocolli segreti, in cui i due regimi totalitari che condividevano l’obiettivo della conquista del mondo si divisero l’Europa in due zone di influenza ;”

E inoltre :

“richiama alla memoria che i regimi nazista e comunista eseguirono omicidi di massa, genocidi e deportazioni e causarono, nel ventesimo secolo, perdite di vite umane e di libertà in una dimensione mai vista prima nella storia dell’umanità, e ricorda l’orrendo crimine dell’Olocausto perpetrato dal regime nazista ; condanna nei termini più decisi gli atti di aggressione, i crimini contro l’umanità e le violazioni di massa dei diritti umani perpetrati da nazisti, comunisti e altri regimi totalitari ;”

Questo, naturalmente, non solo contraddice direttamente l’esaltazione russa della “Grande Guerra Patriottica” nella sconfitta del nazismo, ma smentisce i recenti interventi del presidente russo Vladimir Putin che ha posto l’intesa Molotov-Ribbentrop nel contesto dei precedenti rifiuti degli stati dell’Europa orientale, e in particolare della Polonia, di allearsi con Mosca contro Hitler.

Ma la risoluzione del Parlamento europeo :

“È profondamente preoccupata dei tentativi dell’attuale dirigenza russa di distorcere i fatti storici e cancellare i crimini commessi dal regime totalitario sovietico e li considera pericolosi componenti della guerra di informazione condotta contro l’Europa democratica allo scopo di dividerla e peranto fa appello alla Commissione perché neutralizzi in forma decisiva questi tentativi ;”

Pertanto, l’importanza della Memoria per il futuro, si rivela alla fine come una dichiarazione di guerra ideologica alla Russia sulla base di interpretazioni della Seconda Guerra mondiale, soprattutto per la ragione che gli imprenditori della memoria implicitamente suggeriscono che i crimini passati del comunismo meritano una punizione – come i crimini del nazismo. Non è impossibile che questa linea di pensiero susciti qualche silenziosa soddisfazione tra certe persone in Germania.

Quando i leader occidentali parlano di “guerra economica contro la Russia”, o di “rovinare la Russia” armando e sostenendo l’Ucraina, uno può ragionevolmente chiedersi se stiano consapevolmente preparando la Terza Guerra mondiale oppure siano alla ricerca di dare un nuovo finale alla Seconda. O le due opzioni si sovraporranno ?

Da quello che si sta delineando, con la NATO che cerca apertamente un “super-allargamento” per sconfiggere la Russia con una guerra d’attrito in Ucraina, è come se Gran Bretagna e Stati Uniti, 80 anni dopo, abbiano deciso un salto di campo e l’unione con l’Europa sotto dominio tedesco per fare guerra alla Russia, accompagnandosi agli eredi dell’anticomunismo dell’Est-Europa, alcuni dei quali all’epoca alleati della Germania nazista.

La storia può aiutarci a capire gli eventi, ma il culto della memoria può diventare facilmente culto della vendetta. La vendetta è un cerchio che non finisce. Usa il passato per uccidere il futuro. L’Europa ha bisogno di menti lucide che guardino al futuro, capaci di capire il presente.

Pubblicato da Consortium News

https://consortiumnews.com/2022/09/12/diana-johnstone-the-specter-of-germany-is-rising/

(traduzione Silvio Calzavarini)

  

 

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