Antonino Infranca

 

Il libro di La Porta[1] è apparso per il cinquantesimo della morte di Ernesto Che Guevara ed è composto da saggi e articoli sul rivoluzionario argentino divisi secondo i vari aspetti della sua variegata personalità, in appendice ci sono anche alcuni saggi dello stesso Che Guevara. Nel recensire il libro, vorrei cominciare dalla fine del Che: siamo a La Higueira, Che Guevara è disteso su una superficie di pietra e un sergente dell’esercito boliviano, un latinoamericano, gli punta un mitra. Che Guevara gli dice, quasi a rincuorarlo: «Spara, Ti faccio vedere come muore un uomo». Appunto l’uomo Guevara e la sua concezione dell’umanismo è uno temi del libro: per Massari è l’aspetto più rilevante della sua personalità (cfr. p. 116).

L’atto finale della vita avventurosa del Che, quindi una vicenda di scoperta che il Che compì non solo intimamente e interiormente, ma anche esteriormente e, direi, geograficamente: nel viaggio in motocicletta attraverso l’America latina Ernesto Guevara Lunch scopre l’America latina e si scopre latinoamericano. La Porta lo dice en passant nella sua introduzione. Invece è un momento centrale nella trasformazione di Ernesto Guevara nel Che Guevara. È quindi una doppia scoperta interiore ed esterna. Scopre di essere stato un privilegiato, un borghese argentino di origine europea. Proprio nell’Argentina di Peron aveva scoperto la capacità dei poveri, i descamisados, di farsi massa, di diventare parte della storia solo se massa. Scopre la povertà indotta di quell’enorme continente, il più ricco della terra. Povertà indotta dal colonialismo europeo e nordamericano, prima spagnolo –lui è un Guevara-, poi inglese –lui è un Lynch. È un uomo sensibile e prende posizione a fianco delle vittime del sistema, come fece Marx a sua volta nei confronti degli operai inglesi. Questo potrebbe essere il senso del ritorno a Marx, Engels e Lenin di cui parla Santucci (cfr. p. 63). Come dice suo padre, il Che scopre le ragioni della povertà e del dolore dei latinoamericani (cfr. p. 95). E le vittime sono esseri umani, la cui umanità è negata dal sistema sociale, economico, politico nel quale si trovano a vivere. La presa di posizione è una Setzung, alla maniera di Fichte, un punto prospettico dal quale vedere/concepire il mondo. È allo stesso tempo una presa di posizione morale, una Zusamenngehörigkeit, un sentirsi co-appartenere al popolo, ma anche una Bodenständigkeit, un radicamento nel suolo. Sono questi due concetti i termini centrali del romanticismo tedesco e proprio nella sua introduzione La Porta sfiora il tema della figura romantica del Che. Ma l’aspetto più romantico lo ricorda Sabato, quando afferma che il Che –che lui conosceva quando era ancora Ernesto- era un Don Chisciotte, un hidalgo (p. 90).

Si tratta di una presa di posizione innanzitutto morale e in ciò le somiglianze con Gramsci sono fortissime, tanto che La Porta nella sua introduzione ipotizza una conoscenza di Gramsci da parte del Che, con una grande differenza, come rileva La Porta, per Gramsci l’egemonia doveva essere ottenuta prima della presa del potere, per il Che dopo la presa del potere (cfr. pp. 45-46), aggiungo io: ovviamente, perché troppo forte è il condizionamento di una tradizione culturale, anche di matrice religiosa, che induce il latinoamericano ad accettare come inevitabile e immodificabile la sua condizione d’esistenza. C’è la possibilità di emanciparsi da questa tradizione solo a partire dalla presa di posizione morale. Ma il Che indica chiaramente il ruolo della morale: Ha «grande importanza scegliere correttamente lo strumento mobilitare le masse. Questo deve essere fondamentalmente di natura morale, pur senza trascurare un corretto utilizzo degli incentivi materiali, soprattutto di natura sociale» (p. 166).

Ma non c’è alcun dubbio che Che Guevara è un uomo che sente un fortissimo senso di appartenenza al genere umano, all’umanità intera. Una sua frase è ripetuta nel libro: «Un uomo vero è colui che sente sul proprio viso lo schiaffo che un altro ha ricevuto sul suo viso». Frase che riecheggia chiaramente un principio evangelico e non poteva essere altrimenti, visto il peso della religione cattolica nella concezione latinoamericana della vita. Naturalmente il Che non è un credente, ma la sostanza della cultura latinoamericana non gli era estranea. Appunto in quel viaggio con Alberto Granado inizia il processo di coscientizzazione del Che. Coscientizzazione è una parola che ha coniato Paulo Freyre (concietização) il grande pedagogista brasiliano. Prendere coscienza significa prendere posizione, sapere chi si è e dove si è. Ricordo che giustizia per i greci antichi significava “il sapere l’essere delle cose”. Che Guevara si sa come uomo e, quindi, appartiene al genere umano. Con ciò, però Che Guevara dimostra che il capitalismo non rappresenta la natura umana, un altro uomo è possibile, un uomo nuovo. Molto acutamente Tutino sostiene che per il Che il rivoluzionario aveva il compito di assistere al parto di questo uomo nuovo, un uomo liberato (cfr. p. 105).

Che Guevara, quindi, assume una coscienza latinoamericana, una coscienza specifica. Dubito molto della veridicità dell’affermazione di Hobsbawm: «La logica rivoluzionaria avrebbe funzionato in America latina, Russia, Cina» (p. 78). Non credo che Hobsbawm pensi che la logica rivoluzionaria avrebbe funzionato alla stessa maniera in tre realtà così diverse. Forse la sua è un’affermazione superficiale, veloce, dettata dalla scrittura rapida. Hobsbawm poi mette insieme altri due fattori che caratterizzano il Che: il coraggio suicida –Massari parla di una tendenza alla morte- e l’organizzazione bolscevica. Hobsbawm non si può rendere conto che quel coraggio suicida è un aspetto della presa di coscienza latinoamericana, perché quel coraggio suicida viene dalla disperazione degli indios. Massari ricorda quanto profondo fu l’interesse del Che verso gli indios, interesse che lo introdusse all’indigenismo (cfr. p. 124). Corrente culturale particolarmente forte in Perù, dove il Che soggiornò relativamente a lungo e dove probabilmente ebbe i primi contatti con il pensiero di Gramsci.

La scelta morale, il fondamento morale, è unito –come abbiamo sentito- all’incentivo materiale, quindi vita spirituale e vita materiale formano un unico complesso, dove «la base economica adottata ha compiuto il suo lavoro di scavo sullo sviluppo della coscienza» (p. 166), dice il Che a proposito della formazione dell’uomo nuovo a Cuba. Per questo motivo «Cuba era l’avanguardia di un America latina liberata» (p. 177). Si può riconoscere in questa frase un’impostazione marxista, anche un po’ schematica (cfr. Santucci, p. 62). Ma il passaggio da una conoscenza dogmatica del marxismo, tipica degli anni argentini, è determinato dalla presa di coscienza latinoamericana. Però rimangono elementi di una qualche originalità nella sua fase marxista dogmatica. Ad esempio considera la pianificazione una razionalizzazione (cfr. Massari, p. 134), identificazione che non era in linea con i principi dello stalinismo, concezione politica che non ammetteva deviazioni. Poi aveva una profonda fede nello sviluppo tecnologico che permettesse di superare l’alienazione. È noto che l’alienazione del lavoro nello stalinismo non fu affatto un problema risolto.

Il libro, in definitiva, ci offre un’immagine del Che variegata, così riesce a riprodurre una personalità eccezionale, unica e irripetibile, certamente il miglior prodotto di una cultura, la latinoamericana, che è, a sua volta, la sintesi variegata delle culture europea, india e africana. Questa sintesi ha caratterizzato la personalità del Che e ne ha fatto un uomo eccezionale, dotata di un’umanità esemplare, che si è sacrificato proprio in nome della sua umanità.

                                                          

 

[1] Che Guevara chi?, a cura di Lelio La Porta, Roma. Bordeaux, 2017, pp. 181.

 

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