Alessandra Ciattini*

 

Introduzione

Negli ultimi decenni numerose sono state le opere di più o meno grande diffusione, nelle quali si sono analizzate e sono state ampiamente confutate le tesi sostenute dai cosiddetti autori post-moderni, sia pure nella consapevolezza che tale corrente di pensiero non costituisce un filone omogeneo, giacché contiene in sé varianti, sfumature e tendenze non omologabili in uno stesso cliché. Sono convinta, tuttavia, che il noto pamphet di Terry Eagleton (Le illusioni del post-modernismo, 1998) colga nel segno quando individua le debolezze di questo pensiero, soprattutto quando denuncia con vigore la sua incapacità di dare una risposta seria ai drammatici problemi, con cui si confronta la società contemporanea.

 

D'altra parte, in opere di tutt'altro spessore (v. per es. Ideologia. Storia e critica di un'idea pericolosa, 2007), lo stesso Eagleton approfondisce tali tematiche, indicando il difficile percorso da intraprendere per rilanciare una visione complessiva e critica della società contemporanea, che sia però schierata dalla parte dei lavoratori, nel senso di tutti coloro che vendono la loro forza-lavoro in un processo, il cui fine ultimo è rappresentato dalla valorizzazione del capitale1.

Un filosofo italiano, Roberto Finelli, è ugualmente critico, sia pure in senso diverso, giacché a suo parere i temi centrali del pensiero postmoderno, dominanti da circa 40 anni, quali: “I miti della fine della storia e dei conflitti, del valore del frammento in opposizione alla totalità e al sistema, del primato del linguaggio e dell'interpretazione, della cancellazione della realtà ad opera del virtuale, sono crollati ad opera della realtà stessa e della sua lezione che ha intensificato la modernità del capitalismo nell'ipermodernità di un capitalismo globale che si propone come unica forma possibile di vita, pur nella dilatazione a <mondo> delle sue scissure, depredazioni e contraddizioni” (http://www.sinistrainrete.info/filosofia/2737-roberto-finelli-dal-postmoderno-allipermoderno.html, p. 2).

Sempre secondo Finelli tale impostazione ha spinto paradossalmente alla rinuncia di ogni tentativo di <<ricostruzione critica dei nessi sistemici e totalizzanti di una realtà tendenzialmente unitaria e globale>>, sollecitando gli intellettuali alla perenne decostruzione dei loro oggetti, i quali sono stati frantumati in una miriade di tratti irrelati e sottoposti a procedimenti ermeneutici mai conchiusi e sempre revocabili e invalidabili (Ibidem). Ciò ha ovviamente prodotto la totale smobilitazione della critica intellettuale e della lotta politica, dal momento che coloro che con molta prosopopea si presentavano come gli autentici lottatori si sono privati consapevolmente o inconsapevolmente delle armi indispensabili a tale battaglia, mostrando ancora una volta che l'estremismo radicale si capovolge nella reazione e nell'accettazione dello status quo. Non possiamo fare a meno di osservare che, nella migliore delle ipotesi, sono stati degli ingenui, se non degli irresponsabili2, i quali molto probabilmente hanno anche ottenuto vantaggi in termini di prestigio e di influenza per le posizioni assunte e che di tale catastrofico atteggiamento dovrebbero rendere conto di fronte a tutti coloro che hanno dovuto subire le drammatiche conseguenze degli avvenimenti degli ultimi decenni, soprattutto a partire dalla dissoluzione del blocco socialista est-europeo. Posizioni e atteggiamento che hanno contribuito, da un lato, ad oscurare le ragioni di ciò che stava avvenendo, dall'altro hanno presentato la società post-moderna come un'espansione delle libertà individuali e del pluralismo culturale3. Aspetti attribuiti al grande sviluppo delle comunicazioni, del settore terziario, alla crisi delle grandi organizzazioni collettive (compreso lo Stato), alla sostituzione della struttura verticale del potere con articolazioni a rete4 che di fatto nascondono l'effettivo funzionamento di quest'ultimo e l'antagonismo inerente alla differenza dei ruoli attribuiti ai capi e ai lavoratori. D'altra parte, già nel 1970 Zbigniew Brzeziski scriveva dell'indebolimento di alcuni Stati di piccola taglia, la cui politica è diretta dalle corporazioni internazionali multimilionarie, dalle banche e dagli interessi finanziari, oltre che da organizzazioni transazionali di carattere religioso o ideologico e istituzioni internazionali, dietro le quali si cela la potenza degli organismi politici più forti (1970: 8), rendendo noto così che il potere in quanto tale non è scomparso, ma si è trasformato, facendosi sempre più impersonale e occultando sempre di più le sue responsabilità. E in particolare, a causa della cosiddetta globalizzazione, rendendo sempre più difficile la distinzione tra politica locale e politica internazionale (Brzezinski 1970: 5).

Se ha ragione l'antico consigliere del presidente James Carter, nonostante le previsioni relative alla democratizzazione delle società, in cui il benessere sarebbe assicurato alla maggioranza, i bisogni individuali sarebbero fortemente valorizzati e l'autorità centralizzata avrebbe perso prestigio e valore – elementi tutti collegati alla post-modernizzazione - (v. Inglehart 1998: 111-113), stiamo di fronte soltanto ad una metamorfosi del potere, che si è fatto più penetrante e capillare e che “gestisce”5 ormai tutte le nostre vite, senza comparire direttamente. E che soprattutto ha stroncato i suoi potenziali oppositori, attaccando la loro stabilità identitaria, diluendola nel continuo flusso dei desideri costruiti e sollecitati dal mercato dei consumi.

Non mi soffermo sulla validità della lettura del pensiero di Marx proposta da Finelli, il quale dichiara in una recente intervista, fattagli da A. Garofano, che rifiuta <<l’hegelo-marxismo, con la sua valorizzazione della contraddizione e della negazione come fattori esplicativi della realtà storica e sociale...>>, e che propone <<un marxismo dell’astrazione, istituito invece sulla monofattorialità operativa di un soggetto astratto [il capitale], che si impone al mondo del concreto e della vita attraverso un processo di svuotamento/surdeterminazione della superficie>> (http://www.filosofia-italiana.net/wp-content/uploads/2015/07/Intervista_Finelli.pdf, p. 18)6.

Mi interessa, sottolineare, tuttavia, che, richiamandosi a Fredric Jameson (2007)7, Finelli ha stabilito una stretta connessione tra postmodernismo e postfordismo, mostrando che non sono certo le dispute accademiche che possono sconfiggere e ribaltare le prese di posizione ideologiche, le quali come vedremo sono profondamente radicate nelle nostre condizioni di vita, e da esse tratte e legittimate dagli ammiratori dell'attuale status quo, che a loro appare incarnazione legittima e auspicabile di quello che dovrebbe essere l'ordine mondiale. In particolare, questi ultimi ritengono che: <<...proprio l'apparente caos della società postmoderna, che ci mette costantemente in contatto con mondi, esperienze, situazioni sempre diverse, rappresenta una possibilità di emancipazione che fa appello non alla ricomposizione dell'unità, ma alla moltiplicazione delle differenze, no alla stabilità, ma all'oscillazione e alla fluidificazione>> (Chiurazzi 2002: 44)

Se l'ideologia costituisce un discorso che interpreta da un determinato punto di vista la realtà circostante e lo fa a vantaggio di certi determinati interessi, incarnando in pratiche concrete una certa prospettiva politica, i suoi contenuti non si dissolvono mai nel puro significato, ma quest'ultimo deve sempre esser messo in relazione con il suo referente, rappresentato dall'insieme della situazione economico-sociale. Ovviamente, nella misura in cui in un certo assetto sociale sono operanti e in conflitto interessi di natura diversa, le prospettive ideologiche saranno difformi, seppure tra loro talvolta contaminate, e in lotta tra loro, ma non sempre con la stessa capacità di egemonizzare. In questo senso, tale battaglia, nella quale si possono contrapporre sistemi globali di vita, non sempre chiaramente intesi e formulati, non può esser mai interpretata come un contrasto meramente accademico e intellettuale, benché ciò non significhi che sia possibile ricavare in maniera semplicistica e riduttiva da un pensatore seminale, come per esempio Marx, immediate indicazioni di carattere pratico-politico. Nemmeno è immaginabile, come la storia ci mostra, che chi si trova in una certa posizione economico-sociale adotta in maniera automatica la prospettiva ideologica più adeguata a difendere i suoi interessi in senso non grettamente utilitaristico, nel senso che tale posizione costituisce una condizione necessaria, ma non sufficiente a che la scelta avvenga in maniera ragionevole e ragionata (Eagleton 2007: 260).

Molto si è scritto sul tema delle relazioni tra struttura e sovrastruttura e, in particolare, sulla cosiddetta teoria del riflesso, che in forma riduttiva considera la coscienza come un <<insieme di semplici “riflessi, echi, fantasmi e sublimazioni”>>, al quale viene contrapposta alla <<coscienza intesa come “verità scientifica”, basata sulla conoscenza reale del mondo materiale>> (Williams 1979: 127). Commentando e rigettando questa linea teorica, Williams critica fortemente l'opposizione tra struttura e sovrastruttura, intese come entità separate, che entrano in contatto, sottolineando che, se struttura e sovrastruttura possono essere distinte a scopo d'analisi, d'altra parte esse costituiscono due elementi inscindibili; formano, infatti, <<l'insieme di attività e prodotti specifici degli “uomini reali”>> (1979: 107). D'altra parte, egli rifiuta anche la contrapposizione tra produzione industriale meramente materiale e produzione dell'ordine politico e culturale, che sarebbe invece immateriale, la quale sarebbe scaturita dalla stessa organizzazione capitalistica (Williams 1979: 122-123). A suo parere, invece, in entrambi i casi alla loro base stanno <<pratiche produttive diverse e variabili, dotate di condizioni e finalità proprie>> dal carattere materiale, che si esplica, per esempio, nella costruzione di castelli, chiese, prigioni, armi da guerra e controllo della stampa (1979: 123-125). Anche se ciò non comporta che l'ideologia sia completamente diluibile nella dimensione materiale, giacché – come ricorda Eagleton – essa è legata al significato e quest'ultimo <<non è un fatto materiale quanto sanguinare o urlare>> (2007: 181).

La riflessione di Williams, cui si ispira il già menzionato Eagleton (si tratta di due esponenti importanti del marxismo britannico), parte dalla nozione di “coscienza pratica”, che Marx e Engels nell'Ideologia tedesca applicano al linguaggio, per delineare i processi attraverso i quali i sistemi culturali o ideologici contribuiscono a plasmare la stessa sfera socio-economica, e quindi non possono essere considerati qualcosa che scaturisce semplicemente da essa e che si forma dopo che questa si è costituita. In questo senso, essere sociale e coscienza non costituiscono due momenti, due stadi di sviluppo, che entrano in relazione tra loro, ma sono simultanei, e si condizionano reciprocamente, sebbene questo processo non possa esser compreso nella sua complessità se non si tiene conto della <<forza organizzatrice dell'elemento economico>> (Williams 1968: 319)8. Così Williams sviluppa questo tema: << Una teoria marxista della cultura – alla cui costruzione egli ha contribuito significativamente – riconoscerà la diversità e la complessità, terrà conto della continuità all'interno del cambiamento, ammetterà il caso e certe limitate autonomie, ma, con queste riserve, considererà i fatti della struttura economica e le conseguenti relazioni sociali come il filo conduttore su cui si tesse una cultura, e seguendo il quale una cultura deve essere compresa>> (Ibidem).

Sulla base di queste considerazioni vorrei aggiungere altri due elementi che mi sembrano indispensabili per affrontare lo studio di un certo sistema ideologico, di cui è esempio il postmodernismo. In primo luogo, bisogna dire che sicuramente l'efficacia e la pervasività di un'ideologia sono certamente il frutto della capacità di diffonderla e di sostenerla attraverso l'uso dei cosiddetti mezzi di comunicazione di massa, del prestigio che ad essa viene attribuito nei processi di trasmissione, dei privilegi di cui godono in un certo assetto sociale i suoi fautori e divulgatori. Come mostrano vari studi (basti pensare al classico Apparati ideologici di Stato di Louis Althusser)9 dietro un'ideologia egemonica c'è sempre un forte apparato organizzatore (anche materiale) che la forgia, ne alimenta la diffusione, cerca di eliminare le contraddizioni presenti nelle sue varie manifestazioni, la trasforma sempre più in pratica quotidiana, di modo che appaia ai più come l'unica strategia compatibile con la risoluzione dei propri problemi quotidiani. Inoltre, tale apparato, anche con il solo uso di certe espressioni al posto di altre che vengono semplicemente bandite, ostracizza ed emargina coloro che non si lasciano omologare, i quali se esprimono il loro punto di vista dissonante nel migliore dei casi non vengono compresi (date le barriere ideologiche in cui sono confinati), e certo non ripagati con funzioni dirigenti. Ma c'è anche un altro aspetto che occorre prendere in considerazione e che ancora una volta è stato messo in risalto da Williams: anche il più abile apparato di trasmissione e di diffusione di un'ideologia non riuscirà nel suo intento, se quest'ultima non è in qualche modo confermata dall'esperienza che ognuno di noi fa nella sua vita complessiva, e quindi se non tiene conto della forma di risposta e di ricezione (Williams 1968: 369).

Se capisco bene cosa intende lo studioso britannico, ciò vuol dire che l'uso che facciamo di un certo sistema ideologico deve avere delle corrispondenze con quanto sperimentiamo nella nostra vita quotidiana, deve funzionare, deve mostrarsi efficace nel dar conto di quanto accade attorno a noi, anche se tale “verità” ed “efficacia” valgono solo in quel contesto e spesso si fondano sull'incapacità di correlare contesti diversi, il cui funzionamento smentirebbe tali proprietà del sistema in questione. In definitiva, operando in una certa sfera, in questa stessa sfera il sistema ideologico si autoconferma e si perpetua, e non si può uscire da esso se non ci si pone da un altro punto di vista, che costituisce un livello più elevato di generalizzazione ignorato da chi è sprofondato nella quotidianità, e che parte dalla visione della società contemporanea come un groviglio di contraddizioni; solo la percezione di tali contraddizioni e la riflessione su di esse può aprire la strada alla messa in questione di una certa ideologia e il possibile allontanamento da essa, che però può avvenire in varie forme: non partecipazione, distacco, disinteresse. Oppure può favorire l'adozione di altre ideologie apparentemente distanti da quella egemone, ma di fatto non pericolose per la sua supremazia, e che spesso essa coltiva amorevolmente proprio per consentire che i non completamente omologati abbiano vie di fuga e di compensazione alle loro inevitabili frustrazioni. A mio parere il postmodernismo rientra in questa categoria.

In questo scritto mi limiterò a trattare (mi rendo conto che non è poca cosa) due aspetti delle tematiche postmoderne: la nozione di alterità e quella di frammento, dalle quali scaturiscono, da un lato, l'apprezzamento per la marginalità, la separatezza, la disomogeneità e, dall'altro, il vagheggiamento di un universo armonico; in quest'ultimo le differenze debitamente riconosciute e valorizzate dovrebbero penetrarsi reciprocamente in un processo dialogico intimo e profondo, conquistato cancellando misticamente le contraddizioni laceranti, che hanno prodotto la frammentazione al contempo lodata e deprecata.

Ho scelto questi due aspetti sia per la rilevanza che hanno nel pensiero antropologico, nel cui ambito ho sempre lavorato, sia per la centralità che hanno assunto negli stili di vita in particolare delle giovani generazioni, dalle quali purtroppo noi vecchi, che abbiamo coltivato un altro modello di umanità, ci sentiamo talvolta distanti, anche se desiderosi di un riavvicinamento.

Ricordo che il concetto di “altro” è già presente nell'opera di Claude Lèvi-Strauss, in particolare nel saggio dedicato a Jean-Jacques Rousseau, considerato il fondatore dell'etnologia. In questo scritto, l'antropologo francese descrive i procedimenti analitici e interpretativi dell'etnologia, che a suo dire – seguendo Rousseau – deve partire dall'osservazione delle differenze tra gli uomini per arrivare poi a scoprire le profonde somiglianze. Tale pratica conoscitiva prende le mosse dall'analisi dello stesso soggetto indagante ed è accompagnata dalla <<volontà sistematica di identificazione all'altro>>, che, tuttavia, non si conclude mai con l'identificazione di questi al sé (Lévi-Strauss 1967: 87); posizione che lascia intravedere il motivo dell'irriducibilità dell'alterità.

Del resto, tale tematica continua ad essere centrale come dimostrano i vari manuali di antropologia culturale, tra i quali mi limito menzionare quello di Barbara Miller, secondo la quale lo scopo dell'antropologia o etnologia è quello di <<conoscere, interpretare, ma anche salvaguardare le differenze culturali espresse dalle culture “altre” (definite in passato “primitive”)>>; a suo parere, tuttavia, l'antropologia si pone anche un altro obiettivo, il quale consiste nella riflessione critica sulla società occidentale, sviluppata in un continuo confronto con l'alterità (2014: 4). Purtroppo tale confronto si è fatto, a partire dagli ultimi decenni del Novecento, sempre più oscuro e sfuggente, giacché spesso il pensiero postmoderno nega la stessa esistenza di una totalità, nella quale le diverse forme sociali e culturali operano e interagiscono, prefigurando sostanzialmente un mondo di tante monadi separate e distanti. Tuttavia, è più corretto a proposito di questo motivo distinguere all'interno dell'antropologia post-moderna due tendenze: una rigida e una moderata (secondo la definizione proposta da Michael Herzfeld nella sua opera commissiona dal'UNESCO, v. 2001: 52-54). La prima è caratterizzata <<dall'abbandono totale di ogni forma di razionalismo>> e dalla rinuncia alla rappresentazione in nome dell'evocazione; la seconda, invece, sottolinea che dalle radicali trasformazioni degli ultimi decenni sono scaturite <<modernità multiple>>, e che è necessario riflettere sulla <<costante tensione tra le modernità e le razionalità>>, dimostrando di essersi distanziati dalla <<razionalità occidentale>> (Herzfeld 2001: 54). Per i sostenitori di quest'ultima posizione occorre <<intensificare il resoconto etnografico>>, utilizzando <<forme di scrittura “dialogiche” e “polifoniche” (Herzfeld 2001: 51). In questo secondo caso sembrerebbe che l'universo costituito da organismi culturali isolati e incomunicabili, perché non collocabili un unico schema interpretativo ed esplicativo, venga sostituito da un insieme di entità fluide, <<non più, circoscritte, discrete e localizzate, ma deterritoralizzate e soggette a multiple ibridazioni>> dovute alle migrazioni e alla globalizzazione (Escobar cit in Herzfeld 2001: 58). Nonostante le differenze, i due punti di vista sono accomunati dalla convinzione che ogni forma di generalizzazione costituisca un'indebita reificazione, e che per questo l'interesse dell'antropologo debba focalizzarsi sul fluido e liquido scorrere dei processi, il cui corso non si cristallizza mai in niente di stabile. Infatti, anche le culture “monadi” costituiscono un coacervo di tendenze contraddittorie che mai si rapprendono, e nelle quali giocano un ruolo centrale le variegate intenzionalità degli individui, indicate contraddittoriamente con il termine onnicompresivo di agency (agentività) (v. Miller 2014: 7)10.

L'atteggiamento postmoderno generato dalle condizioni di vita nella società contemporanea

Mi sembra importante cominciare con l'analizzare il concetto di “alterità” che, nonostante la sua origine erudita, che lo associa all'alterità dell'inconscio e a quella della divinità, è impiegato assai spesso dalla cultura mass-mediatica e politica corrente, anche se talvolta sostituito dalla parola “diverso”, a cui si aggiunge enfaticamente “da noi”. Di fronte ai disastri che sconvolgono milioni di individui appartenenti alle popolazioni extraeuropee, provocati dalle potenze occidentali, queste forme di cultura non fanno che parlare di alterità e della necessità ipocrita di instaurare una relazione dialogica e paritaria con i “diversi”, le cui difformi usanze e abitudini, sostanzialmente se innocue per noi, dovrebbero essere accettate e tollerate.

Come è noto, l'inconscio costituisce una dimensione altra rispetto alla coscienza, alla quale per Freud però deve essere riconquistato attraverso il lavoro psicoanalitico svolto dal paziente in collaborazione con l'analista. Dopo Jacques Lacan, con autori come Gilles Deleuze e Félix Guattari, diventa un altrove, un altro spazio in cui collocarsi, e dove <<il desiderio possa prodursi e agire liberamente senza essere costretto dalle macchine molari, le grandi macchine – tra cui l'apparato interpretativo freudiano – della ragione, entro confini che finirebbero per strangolarlo>> (Rella 1978: 34). Per comprendere, invece, l'altro in senso religioso, possiamo riferirci all'opera classica di Rudolf Otto Il sacro (ed. or. 1917), in cui l'autore ripropone l'approccio mistico alla divinità come realtà totalmente altra, che, quando entriamo in contatto con lei, ci esalta e al contempo ci annichilisce.

Queste due rapide citazioni ci permettono di capire che questa nozione di alterità – divenuta luogo privilegiato del sentire - nasce da una serie di processi assai complicati e tormentosi, dai quali scaturisce il rigetto della società industriale moderna e della concezione del mondo da essa sviluppata all'insegna della ragione, che viene identificata – in maniera troppo sbrigativa - con la ratio capitalistica. Quanto all'antropologia, essa nasce dalla “scoperta” che questa disciplina ha le sue radici nell'esperienza coloniale, la quale con la sua ideologia paternalistica del progresso avrebbe plasmato le stesse categorie e gli stessi metodi impiegati dagli antropologi nella loro ricerca e nella loro scrittura dei resoconti etnografici. Da questa “scoperta” scaturisce il rigetto sia della società occidentale, per l'oppressione da essa esercitata sulle culture altre, sia della concezione scientifica da essa prodotta venata di un riprovevole etnocentrismo e generalmente identificata con il positivismo e con l'idea assai discussa della neutralità della scienza11.

Il richiamo a Otto e alla teologia negativa si spiega con il fatto che il dio dei mistici costituisce una dimensione oscura e misteriosa che non si manifesta mai direttamente, ma sempre attraverso la negazione di quanto per noi è più ovvio e abituale; insomma, egli non rappresenta un'estensione e un potenziamento della nostra vita, ma un qualcosa di totalmente altro che sfugge alle nostre normali modalità di comprensione, alle quali non possiamo ridurlo, perché in questo caso banalizzeremmo la nostra esperienza religiosa che si confronta, in uno sforzo costante di riavvicinamento cui seguono angosciosi momenti di distanziamento, con il trascendente e l'ineffabile.

In un certo senso, sembrerebbe potersi dire che lo sconcerto e l'esaltazione dei mistici dinanzi ad una divinità indicibile e assai difficile da cogliere assomigliano alla perplessità dei post-moderni nei confronti della possibilità di dare ordine al reale, di inquadrarlo in schemi generali, di costruire a partire da tale ordinamento le tanto deprecate “grandi narrazioni”12, accompagnata dall'entusiasmo di aver scoperto in un nuovo modo di guardare volto alla vita pulsante e fluida del particolare e del frammento. A loro parere il dare ordine implica ingabbiare il reale in una prospettiva che a quest'ultimo è estranea, e nella quale si esprime soltanto l'ideologia – di qui l'etnocentrismo – di chi si propone di realizzare questa operazione, che rende omogeneo e conforme ciò che è irriducibilmente differente.

In definitiva, seguendo l'analisi puntuale di Franco Rella (1978) sulle ragioni del sorgere della nozione di “alterità”, possiamo affermare che essa scaturisce dalla crisi del modello unitario della ragione, alla quale sono stati opposti linguaggi diversi, ad essa non riconducibili e da essa non più traducibili in un linguaggio più alto, un metalinguaggio. Da questa crisi, la cui origine dovrebbe esser rintracciata nelle trasformazioni della società capitalistica realizzatesi a partire dagli ultimi decenni del Novecento, germoglia l'enfasi sull'alterità e sulla differenza, che si cristallizza in quello che Eric J. Hobsbawm ha definito “individualismo asociale assoluto” (1995: 28). L'emergere di questa ideologia coincide con l'attacco condotto allo Stato sociale, e quindi con l'assalto ai diritti sociali dell'individuo che facevano di esso un membro della comunità, nel cui seno avrebbe dovuto trovare tutti quegli strumenti idonei a trasformarlo in un cittadino a tutti gli effetti. Con Margaret Thatcher abbiamo imparato che la società non esiste13 e che ognuno deve farsi carico individualmente del proprio “successo” sociale, anche nel caso in cui ciò significa il raggiungimento stento della mera sopravvivenza14.

Come osserva Stuart Hall, in Gran Bretagna, per esempio, tale atteggiamento antistatalista e anticollettivista, scaturito dall'abbandono del keynesismo postguerra e dal trionfo del monetarismo, è stato preparato per anni da organismi come l'Institute for Economic Affairs, ed è stato accompagnato dal populismo autoritario, che ha posto l'accento sulle virtù del popolo britannico. Queste ultime sarebbero <<la fiducia in se stessi e... la responsabilità personale>> che i leader conservatori contrappongono <<all'immagine di un individuo supertassato, infiacchito da uno Stato assistenziale che lo “coccola” e la cui fibra morale è stata irreparabilmente indebolita dai “sussidi statali”>> (Hall 2006: 209-210)15.

A ciò si aggiunga un'altra caratteristica del linguaggio populista: il suo offuscare l'esistenza delle classi sociali, che sono inglobate nella categoria vaga e generica di popolo, e che vengono scavalcate con il dirigersi direttamente alle persone, le quali sono così illuse che i loro problemi individuali saranno realmente presi in considerazione, come se questo fosse possibile senza tenere conto della loro effettiva collocazione sociale.

E' interessante osservare che i critici della ragione classica sono anche al contempo i critici delle grandi organizzazioni di massa (sindacati, partiti etc.), a cui è attribuita la colpa di non esser in grado di recepire le autentiche istanze della base e per la loro struttura burocratica e per la loro collusione con il potere; allo stesso tempo, essi criticano la lettura della vita sociale e della sua dinamica fondata sul richiamo alla struttura di classe per il suo riduzionismo economicistico. A questo proposito Rella cita la riflessione di un autore, la cui opera ha dato un contributo essenziale alla fondazione del post-modernismo, Jean-François Lyotard, il quale considera partiti e sindacati <<blocchi repressivi>> al pari di <<tutti i discorsi e tutte le azioni rivendicative e politiche>>, giacché implicano il rifiuto di <<farsi eco e di dar seguito alle modificazioni di investimento libidinale>> (cit. in Rella 1978: 38). Ovviamente Rella non ritiene che, per il loro distanziamento dalle masse e per la loro burocratizzazione, partiti e sindacati (anche di sinistra) non siano criticabili, ma correttamente non condivide l'idea che essi siano esiziali in sé, sollecitando l'analisi e la valutazione delle diverse situazioni concrete. Inoltre, gli pare del tutto rinunciatario e paralizzante l'auspicio che essi vengano sostituiti da <<gruppi elementari>>, formati da elementi tradizionalmente devianti e marginali come <<donne, omosessuali, divorziati, prostitute, immigrati>>, i quali costituirebbero una realtà multipla e ineffettuale, nel senso che per Lyotard deve sempre restare minoranza e, proprio per questo, non può <<farsi blocco opaco, resistente ai flussi libidinali>> (cit. in Rella 1978: 38-39). Le conseguenze di tale posizione sono evidenti: i gruppi elementari debbono restare imbrigliati nella loro singolarità, astenendosi dal formare entità integrate e coese all'insegna di valutazioni e obiettivi ragionati e condivisi, votandosi così a quella che Rella chiama “volontà dell'impotenza” (1978: 40).

Si può, dunque, constatare che la crisi della ragione classica, così come è letta dai post-moderni, produce tragiche conseguenze anche sul piano etico-politico: non è più possibile l'elaborazione di un progetto comune di trasformazione sociale, anzi il porsi in questa logica significherebbe assimilare e mettere in pratica la prospettiva stessa della società capitalistica, la quale ha fondato se stessa e si è legittimata sulla base di un disegno sedicente progressivo, il cui risultato sarebbe stato lo stritolamento dell'individuo e dei suoi bisogni elementari16.

Possiamo ricavare – mi pare – una considerazione importante dalle riflessioni su sviluppate: da un lato, il nuovo capitalismo tende a distruggere tutte quelle forme che aggregavano, a vari livelli, in una collettività gli individui, mettendo in discussione la stessa ipotesi che essi possano riconoscersi in un contenitore e in un progetto comune; dall'altro lato, recependo in maniera acritica tale progetto e presentandosi come propugnatori di una socialità più aperta e più libera, gli intellettuali post-moderni mettono l'accento sull'unicità del singolo, sul suo essere irrimediabilmente “altro”, quindi inesorabilmente estraneo al “noi”, che tenta invano di comprenderlo e di comunicare con lui. Da questo duplice atteggiamento scaturisce la già menzionata “crisi delle grandi narrazioni”, nella quale, da un lato, si concreta il disegno del nuovo capitalismo di frammentare la società in individui isolati e votati solo al consumo, sulla base di un progetto paradossalmente unificante17; dall'altro, essa comporta la negazione che sia possibile elaborare una lettura complessiva e totalizzante di quanto ci circonda, perché tale pretesa annienterebbe la specificità e l'irriducibilità del singolo o delle diverse culture che costellano il nostro universo disomogeneo e salutarmente frammentato.

Ovviamente il motivo del frammento è strettamente connesso a quello dell'alterità, giacché in un universo in cui le singole entità – in realtà mai stabili e consistenti - non si muovono secondo una logica comune, ma secondo le loro specifiche prospettive, esse costituiscono frammenti che possono casualmente intersecarsi o anche entrare in conflitto; d'altra parte, tale aspetto illumina anche il carattere aporetico della società post-moderna: profondamente omogeneizzata sul piano economico e culturale dalla cosiddetta globalizzazione, fortemente differenziata per le disuguaglianze che tale processo produce, frammentata e conflittuale per le reazioni anche ostili e violente da essa suscitate (Pesare 2003).

Come si può vedere, viene a realizzarsi così una bizzarra alleanza tra i neoliberisti, che vogliono tornare al laissez faire e all'enfasi sull'individuo come agente sociale, e quegli anti-modernisti – tali si dichiarano - che invece desiderano sbarazzarsi delle istituzioni fondative della modernità e del suo pensiero generalizzante e omologante, in nome della molteplicità infinita dei processi, nei quali costantemente si dissolvono tutte quelle entità cui inopinatamente attribuiamo una qualche stabilità come, per esempio, l'identità, sia essa personale o collettiva.

Zygmunt Bauman mette in relazione l'affermarsi dell'identità fluida e instabile, considerata un valore e contrapposta all'identità rigida propria della modernità, alla quale vengono attribuiti disastri e crimini, (v. Remotti 1996), con lo sviluppo del consumismo. Quest'ultimo propone agli individui sempre nuovi beni da acquisire, usare e gettare, i quali costituiscono quei segni di riconoscimento necessari all'indispensabile aggiornamento dell'io18, che ci rende apprezzabili nella società dei consumi. A suo parere, la struttura psichica compatibile con il consumismo è rappresentata dall'homo eligens, <<un io stabilmente instabile, completamente incompleto, definitamente indefinito, e autenticamente inautentico>>. È anche convinto che <<L'homo eligens e il mercato dei beni di consumo vivono in perfetta simbiosi: essi non potrebbero sopravvivere se non sostenuti e alimentati l'uno dall'esistenza dell'altro. Il mercato non vivrebbe se i consumatori si tenessero stretti ciò che hanno>> (Bauman 2008: 26-27).

Se, come credo, ha ragione Bauman, la categoria di identità fluida e instabile, la cui formulazione si incontra già nella riflessione di Hume, non è meno etnocentrica e quindi, determinata culturalmente e socialmente, di quella rigida, in quanto sgorga dal capitalismo flessibile e dalla sua concezione del mondo. Inoltre, se l'identità rigida ostacolava la piena estrinsecazione di tutte le potenzialità individuali, anche quella fluida produce gravi danni sulla vita degli individui, seppure di segno diverso; infatti, impedisce lo sviluppo di una prospettiva a lungo termine, rende precarie le relazioni personali e affettive e offre motivazioni comportamentali effimere e fugaci19.

Non bisogna neppure credere – come talvolta sembrano ritenere i post-moderni – che l'affermarsi di quest'ultima implichi un indebolimento nelle strutture e nell'esercizio del potere. Con il passaggio al nuovo capitalismo si consolida un sistema di potere che è <<più scaltro, più sottile di quello del totalitarismo>> (Foucault cit. in Simoncini 2013); così almeno pensava Foucault, il quale era convinto che negli Settanta del Novecento non si stava assistendo al ritorno dello Stato fascista, ma all'instaurazione di nuove forme di controllo fondate sugli stessi meccanismi economici operanti nel mercato, e che trasformano il singolo in una sorta di azienda capitalistica. Infatti, riferendo le analisi del filosofo francese, così scrive Simoncini (2013): <<I neoliberali pensavano ad un soggetto che – quand’anche viva una realtà di lavoratore precarizzato o “fuori mercato” - si vuole integralmente responsabile di sé, volontariamente privo di supporti statali contro i rischi sociali e, proprio per questo, mobilitato in permanenza nella massimizzazione del proprio capitale umano: l’unica risorsa con cui poter far fronte al dinamismo concorrenziale del mercato>> (Simoncini 2013). Così l'individuo si trova ugualmente stritolato, da un lato, come consumatore, i cui desideri vengono creati, stimolati e orientati, dall'altro, come lavoratore sempre spinto al dare il massimo di se stesso per rimanere a galla nel regime di spietata concorrenza in cui si trova ad operare. Elementi questi che abbiamo trovato nella riflessione di Bauman e che sono presenti in quella di Richard Sennett, sui cui ora ci soffermeremo.

Quest’ultima può aiutarci a fare chiarezza, per quanto è possibile, in questo groviglio di problemi, in cui i cambiamenti economico-sociali sono strettamente intrecciati alle posizioni ideologiche via via assunte; mi riferisco al saggio di Sennett intitolato L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale (2009), che si muove in maniera incalzante tra sociologia e antropologia. In particolare, mi sembra interessante quanto scrive a proposito del radicale cambiamento realizzatosi nelle condizioni lavorative di coloro che si trovano a vivere nel nuovo capitalismo, di cui Sennett indica con precisione i caratteri. A suo parere il nuovo lavoratore è flessibile (nel senso che deve continuamente adattarsi ai cambiamenti della domanda, che il suo datore di lavoro vuole capitalizzare), precario (nel senso che non ha contratti stabili e cambia costantemente lavoro), all'oscuro del processo di lavoro complessivo governato da sistemi computerizzati controllati e decisi da un pugno di dirigenti, operante in una prospettiva a breve termine e costretto pertanto a vivere in “un eterno presente”. Tale condizione è particolarmente frustrante, perché – come rimarca più volte il sociologo statunitense – il lavoratore si trova costantemente ad assumere dei rischi, che lo sprofondano in un costante stato di ansietà e di insoddisfazione; inoltre, ben presto si rende conto che, anche se ha conseguito un successo alla prima mossa, da ciò – come in una partita di dadi - non scaturisce <<la possibilità di avere un altro esito fortunato>> nel lancio successivo (2009: 81). Ciò fa sì che chi vive in tali condizioni sente che la propria vita è governata dal cieco caso, e tale terribile dominio della casualità20, derivante dall'assunzione dei rischi di cui si diceva, impedisce lo sviluppo di una narrazione, di un racconto, giacché in tale contesto gli eventi che si producono non conducono ad un altro e lo condizionano (2009: 82). La risposta a tale stato d'animo è duplice: in primo luogo, lo scarso attaccamento al proprio lavoro, in secondo luogo, il cambiamento alla ricerca di una posizione migliore e più remunerata. Ma, in un contesto in cui <<la stabilità sembra quasi una morte in vita>>, il cambiamento, da un lato, produce l'azzeramento delle capacità acquisite, che in un mondo cangiante e variabile non vengono né riconosciute né apprezzate, dall'altro non garantisce in alcun modo l'ascesa nella scala economica e sociale (Sennett 2009: 86-87). Anzi, se prendiamo per buono quanto scrive Sennett, <<Sembra piuttosto che mettendosi in movimento si sospenda all'improvviso la propria realtà, e più che calcolare e scegliere razionalmente ci si limita a sperare che facendo un cambiamento salti fuori qualcosa di positivo>> (2009: 87). Né bisogna credere che tali continui spostamenti da un'attività lavorativa ad un'altra generino alla fine un miglioramento, producendo così maggiore uguaglianza di condizioni tra i lavoratori ormai dotati di identità fluide contrapposte alla rigidità psichica dell'uomo moderno. Infatti, osserva sempre Sennett citando vari studi, nel capitalismo flessibile statunitense – ma ciò vale probabilmente anche per altri paesi - si sta realizzando un sensibile trasferimento di ricchezza dai lavoratori poco qualificati ai proprietari di aziende e alla nuova aristocrazia costituita da tecnici qualificati, la cui preparazione è formalmente riconosciuta e che propugnano la meritocrazia (2009: 88)21.

La profonda e dettagliata analisi di Sennett ci induce a far nostra una delle tesi centrali del libro, sviluppata nel 4 capitolo intitolato Illeggibilità, nel quale si mostra come sostanzialmente le condizioni dei lavoratori, le loro prospettive di miglioramento, lo svolgimento della loro stessa attività siano totalmente illeggibili e sfuggenti, se comparate con quanto scaturiva dalla contrattazione tra padroni e sindacati e che riguardava intere categorie di individui (2009: 85)22.

A commento di questa tesi di Sennett vorrei aggiungere che, se il processo lavorativo e produttivo ci sembra più impenetrabile che in passato23, non lo è da meno – se ci si identifica con la prospettiva post-moderna – il profondo cambiamento che ha segnato la società capitalistica a partire dagli ultimi decenni del Novecento preconizzato da Bzrezinski nel libro già ricordato. Tale cambiamento ha portato all'instaurarsi di quello che, seguendo Sennett abbiamo chiamato “capitalismo flessibile” (come si è visto, Jameson parla di tardo capitalismo), fondato sullo smantellamento dello Stato sociale, il cui avvento è legato ad avvenimenti sconvolgenti, che rendono sempre più plausibile lo scatenamento di una guerra planetaria24. Tali avvenimenti sono: la rottura dell'equilibrio – sia pure del terrore – raggiunto nel dopoguerra dall'URSS e dagli Stati Uniti, il ribaltamento della decolonizzazione e l'affermarsi sempre più sfrontato del neo-colonialismo, i disastri prodotti dallo sfruttamento capitalistico delle risorse naturali, le cui conseguenze danneggiano ampi strati della popolazione mondiale con continui episodi di inquinamento, il restringimento degli spazi democratici nei paesi dotati di una democrazia formale dovuto alla necessità di mantenere coesa la nazione nelle guerre aggressive ormai tornate alla ribalta, e alla volontà di imporre misure di politica economica largamente impopolari sostenute dagli organismi politico-economici internazionali.

Per comprendere le ragioni di tale trasformazione radicale e il suo significato profondo bisognerebbe disporre di una “grande narrazione” o di un intelligente schema teorico, ma come si è visto – è proprio ciò che i post-moderni guardano con disgusto e con esplicita riprovazione. Ma sono assai gravi, sia sul piano teorico che su quello etico-politico, le conseguenze di tale atteggiamento; esso comporta l'incapacità di spiegare il sorgere di quella che essi chiamano “società post-moderna”, vista acriticamente come il nuovo e perciò inevitabilmente il meglio, attraverso l'analisi puntuale dei processi che hanno innescato il passaggio dal capitalismo moderno a quello avanzato.

Ma c'è un'altra considerazione da fare ugualmente importante, che mette in questione alla radice la descrizione stessa della post-modernità. Come sottolinea Mimmo Pesare in un interessante saggio già citato, gli stessi processi globalizzanti – considerati espressione compiuta del passaggio di fase - smentiscono in maniera evidente la meta-narrazione post-moderna focalizzata sulle diversità e sui frammenti disaggregati. Infatti, egli scrive: <<La globalizzazione... se teniamo conto della sfera socio-semiotica caratterizzata dalla omologazione degli stili di vita, e del settore economico-finanziario, dominato dal monopolio dei grandi Organismi sovranazionali - come il Fondo Monetario internazionale (FMI), la Banca Mondiale (BM) e l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) - ci appare una nitida icona del moderno>>. E aggiunge: <<La reductio ad unum degli stilemi e delle forme etico/estetiche e l'ottica del dominio centrale e totalizzante a discapito della eterogenía delle manifestazioni di qualsiasi natura, sono, infatti, due delle più numerose istanze teoretiche della modernità che ne incarnano il point of view centrale e monodirezionale >> (Pesare 2003).

Se tale lettura è corretta, sembrerebbe più opportuno esaminare al contempo gli elementi di continuità tra le due fasi della società capitalistica e quelli innovativi e di rottura, senza nutrire il pregiudizio che tutto ciò che è nuovo è auspicabile, liberatorio, più rispettoso delle specificità individuali25, riproponendo così in forma surrettizia la tanto criticata meta-narrazione del progresso, del resto ampiamente smentita dalla disgregazione sociale e dalla conflittualità internazionale, che la post-modernità ha portato con sé. Coloro, che hanno visto una radicale rottura nel passaggio tra la società moderna alla post-moderna, hanno salutato con ingenua esultanza il crollo del muro di Berlino e l’arrivo di un quasi nero alla Casa Bianca, all’insegna del tutto è cambiato, misconoscendo che quello che stava avvenendo era una ristrutturazione del sistema capitalistico, le cui istituzioni di potere venivano soltanto articolate in modo diverso, in uno scenario internazionale profondamente modificato dalla scomparsa del socialismo reale26.

Ma c’è un altro aspetto del pensiero antropologico post-moderno, su cui occorre soffermarci, per aggiungere altri elementi utili ad una migliore comprensione delle nozioni di alterità e di frammento. Sto pensando al cosiddetto linguistic turn (svolta linguistica), che ha contrassegnato la riflessione nelle scienze umane a partire dal periodo a cavallo tra il XIX e XX secolo, e che ha fatto del linguaggio il centro del suo interesse. Naturalmente non è questa la sede per tracciare anche per sommi capi l’origine filosofica – assai complessa e diversificata - della svolta linguistica, espressione resa famosa dal filosofo statunitense Richard Rorty (1967), né ho le competenze necessarie. Mi limito pertanto a fare alcune considerazioni generali sull’influenza che tale rivolgimento ha esercitato sia sulla teoria antropologica che sulla ricerca etnografica, mostrando come esso abbia acuito il senso della profonda alterità delle culture extra-occidentali, ed abbia confermato come la nostra comprensione possa procedere solo per assemblaggio di frammenti selezionati in base alla nostra sensibilità soggettiva.

In ambito antropologico, l’evento, strettamente legato a questa problematica filosofica e che avrebbe portato all’abbandono delle impostazioni antropologiche precedenti, spesso di carattere positivistico-empiristico, è spesso identificato con il seminario organizzato nel 1984 a Santa Fe (New Mexico) dalla School of American Research, cui parteciparono vari studiosi e da cui scaturì un libro divenuto celebre, Writing Culture: Poetics and Politics of Ethnography, di J Clifford e G. E. Marcus (1986, trad. it. 1997). Il tema centrale di quest’opera è rappresentato dalla <<natura costruita e artificiale delle descrizioni culturali>>, le quali scaturiscono dall’invenzione delle culture operata dagli antropologi nel corso della loro ricerca sul campo e confrontandosi con i protagonisti della vita sociale che studiano (1997: 25). In questa nuova prospettiva, la ricerca antropologica si trasforma in ermeneutica, in quanto il compito dello studioso consiste nel decifrare i significati elaborati in mondi culturali diversi e distanti, sviluppando così interpretazioni di interpretazioni e senza mai poter giungere ad una dimensione diversa da quella soggettiva, in qualche modo fondante ed extra-culturale La cultura studiata diventa un testo da interpretare, il cui senso non è mai possibile esaurire, dal momento che nessuna interpretazione è mai definitiva27. Scrive Clifford Geertz, uno dei più brillanti sostenitori di questo indirizzo, che fare etnografia assomiglia a <<leggere (nel senso di “costruire una lettura di”) un manoscritto – straniero sbiadito, pieno di ellissi, di incongruenze, di emendamenti sospetti e di commenti tendenziosi, ma scritto non in convenzionali caratteri alfabetici, bensì in fugaci esempi di comportamento dotato di forma>> (1987: 46-47); manoscritto che occorre decifrare, se si vuole penetrare un certo universo culturale e ampliare la conoscenza delle potenzialità umane, proponendo una sua decodificazione, che deve esser considerata una sorta di romanzo costruito a partire dall'incontro intimo e profondo tra l'etnografo e la cultura altra28. E tale incontro è foriero di trasformazioni, giacché in esso avverrebbe un continuo rimescolamento, grazie al quale verrebbe a consolidarsi un’esperienza diversa, scaturita dall’interrelazione tra ricercatore e nativo, un <<mondo condiviso>> dai due protagonisti di questa vicenda antropologica (Fabietti 1999: 37).

Per concludere questo breve intervento, che come si è visto si muove tra teoria e prassi politica, mi sembra importante soffermarmi brevemente su un’altra delle conseguenze prodotte su queste due dimensioni dall’affermarsi del pensiero post-moderno e che a mio parere deve essere individuata nel rigetto della stessa attività teorica in nome del pragmatismo e assai spesso camuffata da un discutibile eclettismo. Ciò è ben visibile dal titolo dell'opera già menzionata di Herzfeld, il quale definisce l'antropologia <<la pratica della teoria nella cultura e nella società>>. Quest'ultima dovrebbe fondarsi sulla presa di distanza dalle <<espressioni più dogmatiche del postmodernismo... e del positivismo>>29, e allo stesso tempo richiamarsi a una <<comprensione pragmatica relativa alla sua stessa base epistemologica>>. A sua volta tale comprensione pragmatica è legata alle pratiche e non alle grandi astrazioni teoriche (Herzfeld 2001: XV), sempre considerate indebite reificazioni prodotte da occulti interessi; essa non parte dalla definizione formale dell'antropologia e delle sue teorie, ma da quello che fanno di fatto coloro che la praticano, ossia gli etnografi (2001: 29).

Tale impostazione abbandona la grande riflessione teorica sulle categorie, che spesso viene ridotta a una semplicistica identificazione di esse con le strutture portanti della società occidentale, che scaturirebbe dalla perversa volontà di universalizzare una teoria meramente locale; inoltre, pur definendosi critica, ma adottando un atteggiamento più pragmatico verso le strutture di potere (v. Herzfeld 2001: 33), rinuncia ad analizzare nel profondo le implicazioni etico-politiche delle prospettive adottate, non riflettendo – come si è cercato di fare in questo scritto – sulla stretta connessione tra le tendenze intellettuali contemporanee e le trasformazioni, che hanno dato vita al tardo capitalismo, asse portante della contemporaneità30. Tale atteggiamento spiega il sorgere di un'infinità di antropologie settoriali, legate a mode effimere, come l'antropologia femminista, quella urbana, medica, ecologica, del corpo, del turismo, la cui separatezza e specificità vengono giustificate assai sbrigativamente e che consentono l'impiego di procedure interpretative diverse e sovrapponibili, senza porsi il problema della loro effettiva validità; e ciò in nome di un disordinato eclettismo31, nel quale traspare l'universo contemporaneo, multiforme, multiculturale e frammentato, anche se ancorato a un ben preciso disegno soggiacente e unificante, che ci si rifiuta di vedere.

Se queste solo le caratteristiche di una delle tendenze dominanti in ambito antropologico, credo si possa giungere alla conclusione che coloro che praticano tale disciplina fanno parte di quella élite globale o classe meticcia, la quale, godendo della extra-territorialità, ha recepito in toto il messaggio post-moderno e apprezza la cultura ibrida, pertanto non vuole essere ingabbiata in identità predefinite e statiche e sfida tutti quei criteri, che ne limitano la possibilità di movimento e di pensiero (v. Bauman 2008: 23-25). Euforici perché si sentono liberati e emancipati dal sistema costrittivo della modernità, non colgono il sistema ugualmente impositivo e spietato della post-modernità, che si palesa nella frammentazione, nella differenza e nella disuguaglianza, le quali sono tuttavia prodotto di un processo unitario governato dal capitalismo multinazionale. E proprio per questa ragione non intendono la reazione delle vittime del processo di globalizzazione32, le quali collocate in tutt'altra posizione sociale rimangono attaccate alla loro identità tradizionale e percepiscono le accresciute possibilità di scelta culturale come un assalto alla loro sicurezza (v. Bauman 2008: 3031).

Nelle prime pagine di questo scritto mi sono soffermata sulle caratteristiche che fanno sì che un'ideologia venga accettata e diffusa, in quanto confermata nella vita quotidiana. Mi pare di aver già risposto in parte a questa domanda, mostrando come il post-modernismo, in particolare nelle sue forme popolarizzate33, emerga dalle condizioni attuali di vita, in particolare da quelle dei giovani, e nello stesso tempo le presenti come positive e arricchenti. Soprattutto la sua pretesa di valorizzazione le diverse potenzialità umane esercita una straordinaria attrattiva, benché di fatto - come si è visto - l'esaltazione della individualità costituisca la meta di un processo mai realizzato e irrealizzabile, giacché si dispiega secondo la logica superficiale e ingannevole del consumismo; tuttavia, quest'ultimo fornisce sempre nuove gratificazioni effimere e momentanee, che sollecitano il singolo alla perpetua ricerca della soddisfazione successiva. D'altra parte, la lettura post-moderna trova anche conferma nel frammentato tessuto lavorativo, in cui si trovano oggi inserite le giovani generazioni, le quali, animate dal legittimo desiderio di autorealizzarsi, si identificano con l'individuo-azienda che entra in competizione con gli altri per valorizzare il proprio “capitale umano” e per ricavare da esso profitto. E tale individuo-azienda, dotato di un'identità fluida prodotta dalle seduzioni consumistiche e dall'instabilità lavorativa, che non gli attribuisce più un preciso ruolo sociale, si accontenta di limitate trasgressioni ormai permesse e addirittura sollecitate, ma non ha la statura né la struttura morale di un vero e proprio oppositore allo status quo.

 

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* Sapienza – Università di Roma

1Ossia, secondo quanto osserva Stefano Garroni, a proposito di Marx, il lavoratore non è solo colui che estrinseca la sua forza-lavoro in una merce, in un oggetto materiale, ma colui che in forme diverse (competenze tecniche, intellettuali, erotiche come la prostituta etc.) fornisce al suo datore di lavoro “un sovrappiù di valore, che non è altro se non lavoro non pagato” (www.metabasis.it, nov. 2007, anni II, n° 4, p. 10).

2Irresponsabili perché non hanno valutato le conseguenze politiche delle loro posizioni ideologiche o, peggio ancora, perché hanno operato scientemente per produrre tali conseguenze. E' interessante osservare che una parte consistente di questi “irresponsabili” proviene da quella che è stata definita a partire dagli anni Sessanta del Novecento “nuova sinistra” e/o “controcultura”.

3Per esempio, così scrive ne' La società trasparente Gianni Vattimo <<Caduta l'idea di una razionalità centrale della storia, il mondo della comunicazione generalizzata esplode come una molteplicità di razionalità «locali» -- minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche -- che prendono la parola, finalmente non più tacitate e represse dall'idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti>> (1989: 17). A Vattimo si potrebbe opporre ciò che scrive Zbigniew Brzezinski, sul cui pensiero torneremo, a proposito della rivoluzione delle comunicazioni. Infatti, egli osserva che tutte le tecniche innovative in tale ambito potrebbero servire a imporre su ogni cittadino una quasi totale sorveglianza politica (1968: 17).

4Le aziende postfordiste si strutturano a rete, nel senso che rinunciano alle grandi concentrazioni di masse operaie, in primis, perché pericolose e rivendicative; inoltre, tale processo è favorito anche da questi fattori: le comunicazioni tra i vari rami avvengono in tempo reale, la dislocazione consente di trovare regioni dove il costo del lavoro è più basso, i costi dei trasporti e di immagazzinamento sono tagliati, si può rispondere più rapidamente alle richieste dei mercati locali.

5Nel senso dell'inglese manage, che vuol dire <<sottoporre persone, animali etc. al proprio controllo...agire su>> (Bauman 2008: 50).

6Si può, tuttavia, affermare che, se abbandoniamo la natura aporetica della società capitalistica, ci togliamo qualsiasi punto di appoggio su cui fondarsi per determinarne la trasformazione, né d'altra parte l'emergenza di altri soggetti sociali - che secondo alcuni avrebbero assunto il ruolo rivoluzionario non più incarnato nella classe operaia – ha aperto spiragli di cambiamento. Tale processo di depotenziamento della spinta trasformatrice è senz'altro dovuto a vari fattori, ma anche alla capacità della classe egemone di incorporare in forma subordinata e ammorbidita esigenze provenienti del basso, che sono state funzionalizzate al mantenimento dello status quo.

7Per Jameson la <<cultura post-moderna, mondiale e tuttavia americana, è l'espressione interna e sovrastrutturale di tutto il nuovo corso del dominio economico e militare dell'America nel mondo: in questo senso, come per l'intera storia di classe, l'altra faccia della cultura è sangue, morte tortura e orrore>> (cit. in Chiurazzi 2002: 116). E a parere dello studioso statunitense tale cultura germoglia nell'epoca postmoderna che, sulla scorta di Ernest Mandel, egli definisce tardo capitalismo, il capitalismo più puro mai insediatosi succeduto alla <<fase suprema>> di Lenin e che tuttavia intrattiene relazioni di continuità con il capitalismo studiato da Marx (2007: 5-7).

8A proposito di questo motivo mi sembra importante citare Garroni (2015), il quale ritiene sia scorretto pensare che la sfera socio-economica “determini” la sovrastruttura, giacché il verbo tedesco bestimmen, usato da Marx, e tradotto spesso con “determinare” significa anche “sollecitare”. In questo senso, <<se è vero che l'essere (storico-) sociale sollecita la coscienza, quest'ultima non è detto raccolga la sollecitazione, né esiste un solo modo di adeguarsi alla “voce”, al “richiamo”, che viene dalla cosiddetta base strutturale>> (2015: 128-129).

9Pubblicato in italiano per la prima volta sulla rivista Critica marxista, n° 5, 1970, pp. 23-65.

10Consapevole dei rischi, che deriverebbero da un'”antropologia etnica”, scaturita dal relativismo culturale estremo, che fa delle culture e delle società <<universi intraducibili>> o che peggio ancora giustifica qualsiasi scelta culturale è Ugo Fabietti (1999: 107).

11A questo proposito così scrive Hinglehart (1998: 112): <<Come sostengono i filosofi post-moderni, un attributo essenziale della post-modernità è una diminuzione di fiducia nella scienza, nella tecnologia e nella razionalità>>. E aggiunge: <<...così come la cultura della razionalità strumentale si identifica con l'Occidente, la post-modernità è connessa con il rifiuto dell'Occidente>>. Tale fenomeno riguarda, tuttavia, in maniera consapevole talune élites, anche se a livello di massa possiamo riscontrare fenomeni di revival del “primitivismo”, come i piercing e i tatuaggi, che però nel contesto odierno sono praticati allo scopo di sottolineare la propria unicità individuale, in linea con l'”individualismo asociale assoluto” di cui si parlerà più avanti. È interessante osservare che, nel Mondo magico, Ernesto De Martino considera gli ornamenti del naso, delle orecchie, delle labbra <<mezzi magici che, all'ingresso degli orifizi naturali, sorvegliano l'ingresso o il deflusso della forza, costituendo in tal guisa, un compenso all'angoscia esistenziale>> (1973: 142). Dove forza sta ad indicare il sentimento della propria consistenza, dell'esserci nel mondo che il capitalismo flessibile tende a disgregare.

12Come osserva acutamente Alan Barnard, per i post-moderni non c'è <<spazio per nessun tipo di teoria generale (con l'eccezione, potrebbe sostenere un cinico, del post-modernismo stesso)>> (2002: 212).

13Questa è la frase completa, pronunciata in un'intervista del 1987: <<La vera società non esiste. Ci sono uomini e donne, e le famiglie. E nessun governo può fare nulla se non attraverso le persone. La gente deve guardare prima a se stessa. È nostro dovere badare a noi stessi e poi prendersi cura del prossimo. La gente ha tenuto troppo i diritti in mente, senza obblighi, ma non può esistere un diritto senza che qualcuno non abbia prima incontrato un obbligo>> (Keay, Woman's Own, 31 ottobre 1987, pp. 8-10).

14Negli anni Novanta politiche simili furono condotte da Bill Clinton, il quale ebbe a proclamare <<la fine dello Stato-provvidenza per come l'abbiamo conosciuto finora>>. Da parte sua, Hilary Clinton ha appoggiato questo orientamento sostenendo la legge del 1996, che ha tagliato gli aiuti ai più poveri (Sunkara 2016: 24). Naturalmente su questa linea si sono mossi anche gli altri governi europei e tutti quei governi, cui sono state imposte le ricette neoliberali.

15Su questo tema scrive Sennett, autore che menzionerò più nel dettaglio nelle pagine successive: <<L'attacco allo Stato sociale, che cominciato nel regime neoliberista e angloamericano si sta diffondendo anche in altre economie, di tipo più “renano”, tratta chi dipende dallo Stato come un parassita sociale, piuttosto che come una persona bisognosa di aiuto>> (2008: 140).

16Anche il marxismo e il cosiddetto socialismo reale sono considerati un'estensione di questa logica e espressione piena della tanto deprecata modernità

17Tale aporia è messa ben in luce da Bauman, il quale rimarca come la ricerca di unicità da parte dei singoli, realizzata grazie all'acquisizione consumistica di oggetti sempre nuovi, è sollecitata da una norma generale che li orienta in maniera conformistica in questa direzione. A suo parere assai significativo in questo senso è lo slogan pubblicitario: <<Sii te stesso: scegli Pepsi>> (2008: 14).

18Il capitalismo flessibile sostituisce all'obsolescenza per usura di un prodotto l'obsolescenza tecnologica.

19 È interessante osservare, a questo proposito, che nel suo saggio del 1968 Brzezinski parla di masse prive di scopo, che vivono in una società orientata al divertimento, drogata da eventi spettacolari come lo sport e la televisione (1968: 17).

20Per David Hume l'atteggiamento religioso scaturisce dal nostro esser dominati dal caso e si fa più intenso più forte è questo dominio, che angosciosamente cerchiamo di fronteggiare. D'altra parte, la parola “precario”, che si riferisce alla tipologia ampiamente diffusa di relazioni lavorative nel tardo capitalismo e che sottomette il lavoratore ai capricci del padrone, significa “supplice”.

21 Brzezinski definisce questi ultimi la nuova élite meritocratica, che gestisce la società americana, utilizzando le università, sfruttando le più moderne tecniche di comunicazione, impadronendosi il più rapidamente possibile delle tecnologie più innovative (1968: 24).

22Da parte sua Jameson osserva come sia assai difficile rappresentare la società post-moderna per la sua complessità, ma nello stesso tempo sottolinea che è indispensabile farlo per comprendere la nostra collocazione in essa, senza la cui conoscenza non è possibile lottare contro di essa (Chiurazzi 2002: 17).

23Come è noto, per Marx tale difficoltà di comprensione, permeata di religiosità, può dissolversi solo <<quando i rapporti della vita pratica quotidiana presentano agli uomini giorno per giorno relazioni chiaramente razionali fra di loro e fra loro e la natura>> (1997: 48-49). Perciò, essa caratterizzava il capitalismo emergente, ma si è fatta ancora più ardua in quello tardo.

24Ricordo, in particolare che, all'alba del 17 gennaio 1991, una coalizione di Stati aggredisce l'Irak, producendo con la guerra sanguinosa e il successivo embargo la disintegrazione del paese e la morte di una parte cospicua della popolazione. Ciò avvenne dopo il crollo de muro di Berlino e in prossimità con la dissoluzione dell'Unione Sovietica e il patto di Varsavia, Questi avvenimenti hanno consentito agli Stati Uniti di immaginare un futuro di dominio incontrastato.

25A questo proposito vale la pena ricordare che il post-modernismo è stato considerato una corrente che ha evidenziato i limiti del moderno, denunciando il lato oscuro dell'idea di progresso, lo sfruttamento senza limiti della natura, il carattere omologante del razionalismo, in nome dell'ecologismo, della tolleranza e del diritto alla differenza (Chiurazzi 2002: 1014).

26A mio parere Jameson correttamente osserva che, per evitare una visione celebrativa pseudoutopica dell'epoca attuale occorre sottilineare <<la continuità tra la soggiacente dinamica economica della postmodernità e della globalizzazione e le strutture analizzate da Marx nelle prime epoche del capitalismo>> (2007: 6).

27L'emergere della testualità o della riduzione del tutto alla cultura, che nell'arte porta alla scomparsa dell'oggetto, viene collegata al predominio delle immagini, diffuse dai mezzi di comunicazione di massa, e a quello del valore di scambio su quello d'uso; predominio dal quale scaturirebbe il processo di derealizzazione degli oggetti e dei fatti ridotti a meri simulacri circolanti nel mondo comunicazionale (Chiurazzi 2002: 21-22).

28Dal momento che il resoconto dell'incontro è costruito all'interno di un genere di scrittura, esso ha un carattere fittizio derivato dalla sua connotazione storica e contestuale, in esso domina un atteggiamento ironico, proprio di chi fa affermazioni sulla cui validità non è disposto a giurare (sull'ironia a proposito delle categorie antropologiche v. Herzfeld 2001: 58). Possiamo considerare l'ironia l'altra faccia del disimpegno?

29Come se lo spazio teorico fosse occupato solo da queste due tendenze.

30In questo senso, l'antropologia postmoderna, che si definisce riflessiva, è assai poco autocritica.

31Tale eclettismo, definito anche come “nomadismo teorico”, rifugge la logica lineare e gerarchica e si ispira a alla figura del rizoma, che si sviluppa in vari rami e in maniera non unitaria, e a quella del labirinto ugualmente distribuito in maniera orizzontale (Chiurazzi 2002: 53-54).

32Ossia coloro che sono esclusi dal mercato mondiale o le cui risorse diventano oggetto di spartizione e di depredazione.

33Si tenga presente che un altro dei fondamenti del pensiero post-moderno è l'abbattimento della barriera tra la cultura alta e quella quotidiana, prodotta dall'industria culturale di massa.

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Lukács: etica e politica

Categoria: Libri Hits:114

 

Lelio La Porta

 

I momenti della vita turbolenta e tempestosa di György Lukács sono stati segnati da passaggi fondamentali del suo pensiero. Questo nesso stretto tra vita e pensiero viene colto e realizzato nella forma di una ponderosa biografia intellettuale da Antonino Infranca al culmine di una meritoria e convinta ricerca pluridecennale[1]. Il nodo teoretico che l’autore individua come centrale è quello costituito da etica e politica.

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Rivoluzioni colorate. Genesi, applicazione e crisi di uno strumento di guerra ibrida

Categoria: Relazioni e Interventi Hits:697

 

Laura Ruggeri

(Relazione presentata ad un convegno in Umbria, 29 giugno 2024; fonte: https://laura-ruggeri.medium.com/rivoluzioni-colorate-genesi-applicazione-e-crisi-di-uno-strumento-di-guerra-ibrida-853b9e1af995)

 

Immagino che tutti voi sappiate che cosa si intende quando si parla di rivoluzioni colorate e possiate elencarne almeno alcune. In realtà la lista è molto lunga visto che uno dei teorici di queste rivoluzioni, Gene Sharp, scrive il suo libro The Politics of Nonviolent Action (La politica dell’azione nonviolenta) già nel 1973. Quel libro si basava su una ricerca che Sharp aveva condotto quando studiava ad Harvard alla fine degli anni Sessanta e che era stata finanziata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. A quel tempo l’Università di Harvard era l’epicentro dell’establishment intellettuale della Guerra Fredda — vi insegnavano Henry Kissinger, Samuel Huntington, Zbigniew Brzezenski. E anche la CIA era di casa.

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Che fare? Fattori favorevoli e sfavorevoli allo sviluppo del socialismo

Categoria: Saggi Hits:420

 

Domenico Moro

 

Secondo Marx ed Engels il socialismo – come fase intermedia tra capitalismo e comunismo - può affermarsi soltanto in virtù di un alto sviluppo economico del capitalismo che crei la base materiale per la sua instaurazione. Senza questo sviluppo, non si potrebbe procedere all’abbattimento della proprietà privata dei mezzi di produzione e alla affermazione della proprietà collettiva.

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La "Critica dell’ideologia fascista" di György Lukács

Categoria: Saggi Hits:842

 

Antonino Infranca*

 

In questo volume ripropongo due saggi pubblicati nel 1982 dall’Archivio Lukács di Budapest presso la casa editrice Akadémiai Kiadó e curati dall’allora direttore dell’Archivio László Sziklai. La stessa operazione editoriale fu compiuta, nel 1989, dalla casa editrice dell’allora Repubblica democratica tedesca, Aufbau Verlag.

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Trasformazione sociale ed emancipazione della donna

Categoria: Saggi Hits:889

 

Alessandra Ciattini

 

Chi trasforma la società capitalistica?

Ovviamente nessuno può mettere in discussione che uno dei problemi centrali della società contemporanea, sia nei paesi a capitalismo avanzato che nel cosiddetto Sud globale, non toccati a fondo dalle rivoluzioni borghesi, è quello dell’emancipazione della donna, sesso a cui appartengono più della metà degli esseri umani.

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Riflessioni su alcune ideologie contemporanee

Categoria: Saggi Hits:729

 

Alessandra Ciattini *

 

Per alcuni viviamo in una fase storica radicalmente nuova – cosa di cui era fortemente convinto, come si vedrà, l’autorevole Zbigniew Brzezinski - che ha scavato un abisso con la fase storica precedente, caratterizzata dalla presenza consistente nei paesi occidentali dello Stato del benessere, dalla crescita economica, dalla forte presenza della grande industria anche di Stato, dall’esistenza di ben radicate organizzazioni di massa (partiti e sindacati).

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Gli Scritti etno-antropologici di Marx ed Engels: Presentazione dei curatori

Categoria: Articoli Hits:3984

 

Ferdinando Vidoni, Stefano Bracaletti

 

Il presente volume delle Opere complete di Marx ed Engels intende anzitutto fornire la traduzione completa dei cosiddetti «Quaderni di etnologia» marxiani, forse più compiutamente denominabili come «Quaderni etno-antropologici». Negli ultimi anni della sua vita, dal 1879 al 1882, Marx allargò infatti i suoi interessi anche alle nuove scienze umane dell’etnologia e di quella che oggi si usa chiamare antropologia culturale o sociale, che si andavano rapidamente sviluppando su uno sfondo evoluzionistico e che offrivano preziosi elementi di collegamento e confronto con il suo «materialismo storico». Compilò così corposi quaderni di Exzerpte o estratti con citazioni, riassunti, commenti da opere soprattutto di Lewis H. Morgan, John Phear, Henry S. Maine, John Lubbock.

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Il radicamento del pensiero antropologico post-moderno nella società contemporanea

Categoria: Saggi Hits:9997

Alessandra Ciattini*

 

Introduzione

Negli ultimi decenni numerose sono state le opere di più o meno grande diffusione, nelle quali si sono analizzate e sono state ampiamente confutate le tesi sostenute dai cosiddetti autori post-moderni, sia pure nella consapevolezza che tale corrente di pensiero non costituisce un filone omogeneo, giacché contiene in sé varianti, sfumature e tendenze non omologabili in uno stesso cliché. Sono convinta, tuttavia, che il noto pamphet di Terry Eagleton (Le illusioni del post-modernismo, 1998) colga nel segno quando individua le debolezze di questo pensiero, soprattutto quando denuncia con vigore la sua incapacità di dare una risposta seria ai drammatici problemi, con cui si confronta la società contemporanea.

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L'antropologia marxista

Categoria: Saggi Hits:16413

  1. Vito Bongiorno*

 

Nuestros pueblos originarios han conservado sus raices socialistas
Hugo Chávez

 

Concetti basilari

Dalla fine del secolo XIX e lungo tutto il corso del XX la cultura marxista ha raccolto la sfida della descrizione della diversità culturale. Prendendo spunto da alcune delle idee fondamentali degli scritti di Marx e di Engels, alcuni studiosi hanno analizzato istituzioni e strutture sociali appartenenti alle differenti società umane; in alcuni casi, tali analisi hanno reso possibile la formulazione di generalizzazioni e l’elaborazione di teorie antropologico-culturali di carattere generale.

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“Esterno notte”: lo sguardo di Bellocchio sul caso Moro e la crisi della Repubblica

Categoria: Film Hits:894

  Salvatore Tinè   Con "Esterno-notte", Marco Bellocchio ritorna di nuovo dopo “Buongiorno, notte” sul caso Moro, ma questa volta provando a ricostruire la vicenda del sequestro e dell’assassinio del grande statista democristiano non solo nei suoi nessi interni con il più vasto e complesso quadro storico nazionale e internazionale in cui essa si svolse ma anche in rapporto con il processo di crisi dello stato italiano e del potere “democristiano” consumatosi alla fine degli anni ‘70 e di cui rappresentò un momento per molti versi decisivo. Una crisi che nel film ci appare in primo luogo come una crisi ideologica per molti...

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C’era due volte Gianni Rodari: l’omaggio di Alberto Scanzi al “favoloso Gianni”

Categoria: Libri Hits:1771

  Stefania Burnelli *    Gianni Rodari nasce nel 1920 e scompare all’improvviso a 60 anni, nel pieno delle sue impegnative e variegate iniziative. Nel 2020, centenario della nascita, sono stati innumerevoli gli omaggi editoriali, i tributi e le ricerche pubblicate su di lui (non ultimo il Meridiano Mondadori di 2000 pagine con tutte le Opere a cura di Daniela Marcheschi) e ancora questo gennaio ne sono usciti altri tra cui un’importante monografia di Electa a cura di Vanessa Roghi e Pino Boero.

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Le Poesie giovanili di Volponi tra materialismo e corporalità

Categoria: Libri Hits:2621

  Gian Luca Picconi   La pubblicazione nella collana bianca Einaudi delle Poesie giovanili di Paolo Volponi, a cura di Salvatore Ritrovato e Sara Serenelli (P. Volponi, Poesie giovanili, a cura di S. Serenelli e S. Ritrovato, Torino, Einaudi, 2020), apre uno squarcio sulle fasi più antiche dell’officina del poeta e sul suo apprendistato letterario contribuendo così a ridefinirne l’immagine e a ristoricizzarne la figura.

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La gig economy protagonista del cinema realista di Ken Loach

Categoria: Film Hits:2647

  Sabato Danzilli   Ken Loach si conferma con Sorry, we missed you, la sua ultima fatica, come un regista d’altissimo livello. Sempre dedito nel suo cinema alla descrizione delle condizioni di vita degli sfruttati e degli emarginati, il cineasta vanta la vittoria per due volte della Palma d’oro al festival di Cannes, nel 2006 con Il vento che accarezza l’erba e nel 2016 con I, Daniel Blake, nonché il Leone d’oro alla carriera del festival di Venezia nel 1994. È confermata anche in questo film la sua lunga collaborazione con lo sceneggiatore Paul Laverty, tra i cui frutti, oltre ai film citati...

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D’Annunzio fra i pastori

Categoria: Articoli Hits:4241

di Salvatore Ritrovato Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d’acqua natia rimanga né cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d’avellano. E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente, su le vestigia degli antichi padri. O voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina! Ora lungh’esso il litoral cammina La greggia. Senza mutamento è l’aria. Il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacquio, calpestio, dolci...

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Elezioni europee, cosa cambia?

Categoria: Articoli Hits:374

Domenico Moro, Fabio Nobile

 

Per fare una valutazione del risultato della competizione elettorale per il Parlamento europeo, è necessario precisare quali sono le attribuzioni di questo organismo. Il Parlamento europeo ha tre funzioni principali: a) condivide con il Consiglio dell’Unione la funzione legislativa; b) approva o respinge i candidati a componenti della Commissione europea (il governo della Ue); c) Condivide con il Consiglio dell’Unione il potere di bilancio della Ue e può pertanto modificare le spese dell’Ue.

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Capitale /lavoro

Categoria: Saggi Hits:26

Carla Filosa

 

Non è sicuramente impresa facile affrontare il rapporto capitale/lavoro, dopo che un intellettuale come Cacciari ne ha negato l’attualità (intervista a Ottolina tv, 1.09,’24) nel presente momento storico in cui la cultura in genere, e quella ispirata all’analisi marxista ancor più, è stata gettata alle ortiche.

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"L’economia cinese contemporanea": l’ultima ricerca di Alberto Gabriele

Categoria: Libri Hits:22

Francesco Schettino

 

Il punto di partenza del libro di Alberto Gabriele* è lo straordinario sviluppo economico della Cina. Alla fine degli anni Settanta il prodotto interno lordo cinese era simile a quello indiano e circa un ventesimo di quello degli Stati Uniti; nel 2022 era passato ad essere quasi l’80% di quello degli Stati Uniti e più di cinque volte quello dell’India.

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Le pressioni di mercati e UE su una Francia in crisi

Categoria: Articoli Hits:321

 Domenico Moro

 

Le elezioni francesi hanno restituito una assemblea nazionale (il parlamento francese) spaccata in tre blocchi, nessuno dei quali in possesso della maggioranza su cui far nascere un governo con un chiaro colore politico. L’incertezza su quale sarà il futuro governo del secondo paese della Ue e unica potenza nucleare europea sta preoccupando i mercati, o, per dirla in altri termini, il grande capitale finanziario francese e europeo. Del resto la Borsa francese all’indomani delle elezioni è calata dello 0,63%.

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L’imperialismo e il conflitto tra aree valutarie

Categoria: Saggi Hits:825

 

Carla Filosa, Francesco Schettino[1] 

 

Imperialismo transnazionale e aree valutarie

La concatenazione transnazionale che ha cambiato la configurazione della lotta interimperialistica, ormai da molto non più rigidamente suddivisa per prevalente appartenenza statuale, appare nella richiesta di un’accresciuta capacità di penetrazione del capitale nel mercato mondiale. Perciò la predeterminazione di aree valutarie di riferimento supera in importanza la mera collocazione storica geografica dell’investimento.

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In memoria di Gianfranco Pala. Lo sviluppo economico capitalistico e la guerra

Categoria: Saggi Hits:1518

In memoria di Gianfranco Pala, ex docente di Economia alla Sapienza di Roma e deceduto il 14 di questo mese, si intende ricordarlo con la pubblicazione di un suo articolo sullo sviluppo economico capitalistico e la guerra, scritto nel 2005, 18 anni fa. Nonostante alcuni riferimenti ovviamente datati, l’analisi si presenta nella sua difficile ma pregnante attualità.

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Quale pace (perpetua) oggi?

Categoria: Saggi Hits:676

 

Giorgio Grimaldi

(da https://fuoricollana.it/)

 

La gestione statunitense dell’ordine mondiale non sana, anzi aggrava la conflittualità internazionale. Rileggere il progetto kantiano Per la pace perpetua può essere estremamente istruttivo per orientarci nel presente.

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Il marxismo di Dussel

Categoria: Saggi Hits:720

 

Antonino Infranca*

 

Enrique Dussel è considerato il maggior conoscitore di Marx al mondo, nonostante che provenga dal cosiddetto “Terzo Mondo”; in particolare la sua lettura proviene dall’America latina, che storicamente è stata la prima vittima del capitalismo, anzi si può affermare che senza la Conquista dell’America latina il capitalismo non sarebbe potuto nascere, perché quella conquista offrì la quantità di metalli preziosi per innescare il meccanismo di accumulazione originaria del capitale, per usare la terminologia di Marx. Dunque per capire la Modernità bisogna partire dalla condizione di vittima dell’America latina. Sarà, quindi, una lettura non eurocentrica, perché condotta dall’esteriorità del Primo Mondo, che alla caduta del socialismo ha decretato la morte del marxismo.

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Le tesi di Dussel sul populismo

Categoria: Libri Hits:1512

Lelio La Porta

 

Enrique Dussel è un intellettuale argentino, naturalizzato messicano, in esilio. È fra i fondatori del movimento Filosofia della Liberazione ed è conosciuto in quanto critico dell’eurocentrismo ed autore di opere importanti su Marx (Metafore teologiche di Marx), di scritti politici (20 tesi di politica), di lavori sul concetto di liberazione, divisi in Etica, Erotica e Pedagogica, che vedranno fra breve la loro comparsa in Italia, grazie al lavoro indefesso di Antonino Infranca, traduttore princeps dell’intellettuale latino-americano. Proprio ad Infranca si devono la traduzione e l’Introduzione di un recente, breve, ma ricco di implicazioni destinate ad una discussione ponderata, saggio di Dussel: Cinque tesi sul populismo (Castelvecchi, Roma, 2021, pp. 57, €. 9,00).

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Traverso e Lukács: note per un dibattito

Categoria: Libri Hits:1955

 

Sabato Danzilli

 

La pubblicazione della nuova edizione inglese di Die Zerstorung der Vernunft (Georg Lukács, The Destruction of the Reason, London, Verso, 2021) merita grande attenzione, perché rende nuovamente disponibile sul mercato anglosassone un testo che, come dimostra la sua traduzione tardiva (la versione di Palmer per Merlin Press, qui ripresa, è soltanto del 1980), non ha mai riscontrato grandi favori, e perché è introdotta da un lungo e interessante saggio di Enzo Traverso. Il suo contributo fornisce molte tracce per una discussione, che si cercherà qui di impostare.

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Il Marx di Berlin

Categoria: Libri Hits:1922

 

Lelio La Porta

 

Isaiah Berlin scrisse una biografia di Karl Marx, la cui quinta edizione viene oggi pubblicata in Italia (I. Berlin, Karl Marx, a cura di H. Hardy, Adelphi, Milano, 2021, pp. 309, € 28,00). Vale la pena di rammentare che non è del tutto esatto scrivere (si veda Robinson del 21 agosto) che il lavoro «appare soltanto adesso in italiano» in quanto la prima traduzione, di Paolo Battino Vittorelli, nella nostra lingua risale al 1967, per La Nuova Italia (che ripubblicò il testo nel 1994 con una revisione della traduzione condotta sulla base della quarta edizione del 1978), ed è la stessa riproposta oggi, con l’aggiunta, come sottolinea il curatore Hardy, di «note autoriali», che risalgono alla revisione del testo operata da Berlin nel 1978, e «note redazionali» in cui sono inseriti anche i rimandi alle opere di Marx in italiano alle quali l’autore fa riferimento.

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Antonio Gramsci, se insegnare è un’arte

Categoria: Libri Hits:1734

 

Lelio La Porta *

 

La parola contaminazione suscita, già al solo pronunciarla, sudori freddi che scorrono lungo il corpo di chi ascolta in quanto evoca epidemie, catastrofi e cataclismi. Ci sono casi in cui, al di fuori della terminologia medica, però, la contaminazione riesce a rendere perfettamente il senso di una dialettica profonda che consente ad un pensiero in embrione di svilupparsi e di prendere consapevolezza di sé e delle sue potenzialità fino alla definitiva maturazione. È il caso di Antonio Gramsci in rapporto alla tematica della formazione dell’uomo così come viene affrontata nel libro di Chiara Meta, Il soggetto e l’educazione in Gramsci. Formazione dell’uomo e teoria della personalità (Bordeaux, Roma 2019, pp. 185, €. 14,00).

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Pionieri del futuro. Una proposta pedagogica comunista (parte II)

Categoria: Saggi Hits:3001

 

Paola Pavese

 

Appunti per un manuale

I Pionieri del Futuro. Le attività per fasce d’età

Tutti bambini e i ragazzi dai 7 ai 13 anni possono diventare Pionieri del Futuro, una volta che abbiano aderito all’ Invito dei Pionieri (vedi più avanti). Le attività saranno però diverse per i bambini fino agli 11 anni, rispetto a quelle dei ragazzi più grandi. I più grandi aiuteranno le attività dei piccoli e si dedicheranno con maggior approfondimento ad attività di impegno sociale, anche a carattere internazionale.

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Pionieri del futuro. Una proposta pedagogica comunista (parte I)

Categoria: Saggi Hits:6038

© Paola Pavese

 

Premessa

Questo opuscolo è un’introduzione, non certo esaustiva, ad alcuni riferimenti teorici della pedagogia marxista e alla storia dei Pionieri d’Italia.

Ma è soprattutto un manuale, in cui ho immaginato una possibile organizzazione per bambini e ragazzi, a cui ho voluto dare un nome, che mi è sembrato bellissimo: Pionieri del Futuro. Per scriverlo ho seguito le orme di Gianni Rodari e del suo Manuale dei Pionieri, che a leggerlo pare anch'esso un esercizio di fantasia, basato su un qualche testo che l'autore pare avere sotto gli occhi. Ovviamente, fare esercizi di fantasia seguendo le orme di Rodari viene facile, direi che viene quasi automatico, ed è probabile che in più di un'occasione mi sia fatta trascinare dall'entusiasmo.

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Marxismo e intercultura

Categoria: Saggi Hits:6130

Donatello Santarone*

 

Gli studi interculturali sono molto vasti, un enorme contenitore dove convivono prospettive scientifiche e culturali spesso opposte. C’è un’intercultura “aziendalista” (e persino “militarista”) che vuole conoscere il cosiddetto “altro” per meglio colonizzarlo (un po’ come i primi antropologi al servizio degli eserciti coloniali nell’800): è una visione tutta strumentale della relazione con i paesi e i popoli del Terzo e Quarto Mondo, finalizzata esclusivamente alla dimensione mercantile del rapporto.

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Possibilidades Lenineanas para uma Paidéia Comunista

Categoria: Saggi Hits:4134

Antonio Carlos Mazzeo

 

I. Os Pressupostos

A preocupação em abrir o debate sobre a conexão entre educação e socialismo nas universidades brasileiras é muito relevante. Até por que, nada mais conectado e articulado do que aprendizado, educação e socialismo. Recuperar esse vínculo já vale um evento como este. Recentemente participei de um seminário na Faculdade de Educação da Unesp/Marília intitulado Marx, Gramsci e Vigotsky: Aproximações, do qual resultou um livro com as palestras proferidas, onde está publicada minha intervenção no evento , uma prazeirosa experiência, pois raramente tenho a oportunidade de dialogar com pedagogos estando, na maioria do tempo, restrito à minha área de Ciências Sociais e de Historia.

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La piattaforma di intermediazione commerciale della Cina e la de-dolla …

Categoria: Articoli Hits:26

Domenico Moro

 

Sui mass media si è dato molto risalto alle dichiarazioni di Trump secondo le quali gli Usa avrebbero portato i dazi sull’import dalla Cina al 60%. Pochi, però, hanno ricordato che già Biden aveva alzato i dazi per tutta una serie di prodotti, quadruplicandoli per le auto elettriche (102,5%), e aumentandoli notevolmente per le batterie al litio (25%), e per i chip e i pannelli solari (50%). Di fatto, quindi, siamo in piena guerra commerciale tra Usa e Cina.

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La categoria di imperialismo è ancora attuale e quali sono i paesi im …

Categoria: Saggi Hits:1244

Domenico Moro

 

Il termine di imperialismo è associato ai più importanti imperi del passato come quello romano o quello persiano. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento il termine di imperialismo è stato ripreso per descrivere la nuova realtà mondiale, caratterizzata dalla formazione di diversi imperi facenti riferimento soprattutto agli stati dell’Europa occidentale. Per questo il periodo tra la seconda metà dell’Ottocento e il 1945, quando inizia la decolonizzazione, è stato definito l’età degli imperi.

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I conflitti in America Latina

Categoria: Relazioni e Interventi Hits:63

 

Andrea Vento *

 

Il significato originale del termine latino conflictus, vale a dire "urto, scontro", esprime una delle sue accezioni più esaustive se riferito al contesto storico latinoamericano degli ultimi due secoli, vale a dire dal conseguimento dell'indipendenza della maggior parte degli Stati attuali ad oggi.

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Al via il vertice Brics+ di Kazan: fondamentale passaggio verso un nuo …

Categoria: Saggi Hits:92

 

Andrea Vento

 

Un'agenda complessa e ambiziosa che potrebbe gettare le basi per la ridefinizione dell'architettura finanziaria internazionale basata sul dollaro

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Nel mirino: un Uomo e la sua Rivoluzione

Categoria: Saggi Hits:123

 Stephen Joseph Scott*

 

Gli Stati Uniti hanno da sempre, sin dalla propria fondazione, considerato l’annessione dell’isola caraibica di Cuba come un evento predeterminato; una conclusione prestabilita, e un inevitabile geografico. Capi di Stato, da Thomas Jefferson a James Monroe a John Quincy Adams, condivisero la convinzione, che la vicinanza di Cuba suggerisse un destino manifesto. Dalla metà del 19° secolo, la posizione degli Stati Uniti nei confronti di Cuba fu resa evidente dall’allora Segretario di Stato John Clayton: “Questo governo”, dichiarò, “è risolutamente determinato che l’isola di Cuba non potrà mai essere ceduta dalla Spagna a nessun altro potere che gli Stati Uniti.”

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L’intelligenza artificiale è qui e lotta contro di noi

Categoria: Articoli Hits:1997

 

Vincenzo Vita *

 

E’ maturato il varo da parte della Commissione europea di un testo volto a disciplinare i confini dell’intelligenza artificiale. Si tratta, ovviamente, dell’inizio di un percorso, che porterà ad un Regolamento impegnativo e certamente inedito.

Chi legge potrebbe utilmente obiettare che sarebbe un buon risultato avere l’intelligenza normale. Già. Ma il tempo digitale incombe e ci impone di cambiare profondamente i nostri modelli cognitivi, l’approccio ad una realtà di cui la componente virtuale è un ingrediente fondamentale.

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Incurabili! Marx non c’entra proprio nulla con la Scienza?!?

Categoria: Saggi Hits:2816

 Angelo Baracca

 

Due anni fa ricorreva il duecentesimo centenario della nascita di Karl Marx e giustamente il mondo intero fu inondato da una marea di commemorazioni, incontri e convegni di tutti i tipi e i livelli. Nel corso di queste manifestazioni io fui colpito dal fatto che in nessuna delle iniziative di cui venivo a conoscenza compariva neanche per caso la parola Scienza: ergo, il messaggio è per il colto e l’inclita – ma molto più negativamente per tutt* i compagn* – che il marxismo ha a che fare con la politica, l’economia, la società, ma non ha nulla a che fare con la Scienza (uso volutamente la maiuscola).

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“The Donald” scopre la Luna

Categoria: Articoli Hits:1881

 

Gennaro Chiappinelli, Massimiliano Romanello

 

Il leggendario filosofo turco Nasreddin Hoca narra di un uomo che, vedendo la Luna riflessa nell’acqua in fondo ad un pozzo, cercò di recuperarla e restituirla al cielo per mezzo di una fune. La fune rimase impigliata ad una roccia sporgente e l’uomo, cadendo all’indietro per l’inutile sforzo, si compiacque nel vedere che la Luna era effettivamente tornata al suo posto.

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Migrazioni climatiche

Categoria: Saggi Hits:2574

Andrea Vento

 

Il genere umano, sin dall'epoca preistorica, è sempre stato interessato da spostamenti, su scala più o meno ampia, generati da una vasta gamma di motivazioni, fra le quali principalmente: la ricerca di nuove terre, l'aspirazione verso migliori condizioni di vita, l'espansione coloniale, la fuga da guerre, persecuzioni e discriminazioni varie ed anche da fenomeni naturali avversi quali catastrofi e cambiamenti climatici. Numerosi sono i casi storici di movimenti di interi popoli o di parte di essi sospinti da fenomeni naturali, in quanto le migrazioni hanno da sempre rappresentato una fondamentale strategia di adattamento ai mutamenti climatico-ambientali. Nonostante ciò, l'elite politica mondiale e i media internazionali non hanno, sino a pochi anni fa, prestato particolare attenzione a questo fenomeno. La comunità scientifica mondiale, invece, dalla fine del scorso secolo ha mostrato crescente interesse sia verso lo studio dei cambiamenti climatici che delle sue conseguenze, come l'impatto sui flussi migratori.

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Palmiro Togliatti, a 60 anni dalla scomparsa

Categoria: Articoli Hits:418

 Gianmarco Pisa

 

Per l’impegno e la lotta dei comunisti e delle comuniste in Italia, così come per alimentare e arricchire la riserva di forza teorica e di esperienza concreta del movimento comunista internazionale, la vicenda, teorica e politica, della direzione di Palmiro Togliatti, nella lunga stagione storica dal 1927 al 1964, resta un’eredità prospettica, di grande spessore e di vasta portata.

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D-Day 1944: il contesto storico essenziale

Categoria: Saggi Hits:512

 

Jacques Pauwels*

 

Introduzione

La Germania nazista era un colosso militare e sconfiggere la bestia era un compito erculeo che non avrebbe mai potuto essere condotto a termine singolarmente da nessuno dei suoi nemici. L'impresa riuscì, ma solo a capo di molti anni di battaglie. Richiese sforzi sovrumani da parte di tutti i paesi coinvolti nel titanico conflitto contro Hitler e il suo nazismo, ossia una varietà tedesca di fascismo, e le altre dittature fasciste che si erano allineate con la Germania, come quella di Mussolini.

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A cento anni dalla morte, perché Lenin è ancora attuale?

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Domenico Moro 

 

Il 21 gennaio 1924 moriva Lenin. Cento anni sono tanti e moltissime cose sono cambiate, eppure il lascito di Lenin è, in gran parte, ancora attuale. Lenin è stato uno dei personaggi storici più importanti del XX secolo, l’uomo che più di ogni altro ha contribuito alla Rivoluzione di Ottobre e alla fondazione dell’Unione Sovietica. Ma, come diceva il filosofo ungherese Lukács in un pamphlet, scritto subito dopo la morte di Lenin, l’importanza dell’uomo politico russo va oltre le vicende politiche immediate che l’hanno visto protagonista: “Egli resta perciò sul piano storico-universale l’unico teorico di livello pari a quello di Marx che fino ad oggi sia venuto dalle file della lotta di emancipazione proletaria”[i].

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Gli Usa e il “metodo Giacarta”: il massacro delle popolazioni come politica estera

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Piero Bevilacqua 

(Fonte: volerelaluna.it)

 

Chi legge il libro di Vincent Bevins, Il metodo Giacarta, La crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo (Einaudi, 2021) ne uscirà con una visione rovesciata della storia mondiale dopo il 1945, e con l’animo sconvolto. È successo anche a me, storico dell’età contemporanea, e testimone del mio tempo, a cui tanti fatti e vicende qui raccontate erano noti.

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La Resistenza antinazista in Europa

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 Gianfranco Pagliarulo

 

Pubblichiamo la prefazione, scritta dal Presidente dell’ANPI Gianfranco Pagliarulo, all’ultimo libro di Nunzia Augeri (La resistenza in Europa 1939-1945, NulloDie Editori 2024) sulla resistenza antinazista esercitata dai popoli di 17 paesi europei, dalla Norvegia alla Grecia, dalla Francia alla Polonia, più la resistenza ebraica e quella dei gitani, nonché l’opposizione nella stessa Germania. Una lotta che ebbe in comune la volontà di opporsi all’occupazione militare nazifascista, alla negazione dell’identità nazionale, alla violenza e all’oppressione, ma fu anche lotta politica per la riconquista delle libertà fondamentali e per il progresso politico e sociale.

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